Messaggio di auguri del Segretario Generale

E’ con grande gioia che rivolgo a tutti i lavoratori e lavoratrici, alle Strutture territoriali, ai Dipartimenti i miei più sentiti auguri di Buon Natale e di felice Anno Nuovo.

E’ stato un anno importante per la nostra Organizzazione, sia per il grande progetto di riorganizzazione interna partito dall’Assemblea di Chianciano, sia per l’ottimo risultato raggiunto con il rinnovo del contratto per i lavoratori dell’Igiene Ambientale al termine di lunghe battaglie, sia per la vittoria riportata nel referendum costituzionale.

Ci sarebbero anche altre cose da evidenziare, di questo glorioso 2016, ma non è nel mio stile cullarmi sugli allori. Anzi, io preferisco sempre guardare avanti e queste festività ci serviranno per ricaricare le batterie in vista dei numerosi impegni che ci attendono nel 2017.

Ho colto, in questi ultimi mesi, un confortante spirito di partecipazione da parte di tutte le Strutture, nella convinzione che la nostra Organizzazione può davvero fare la storia, distinguendosi, come già sta facendo, da tutti gli altri sindacati, attraverso una politica di aperto contrasto con tutte le iniziative a carattere governativo e parlamentare che puntano a svilire le nostre categorie, mettendo seriamente a rischio il futuro dei lavoratori e delle rispettive famiglie.

Ebbene, è proprio questa consapevolezza a indurmi ad affrontare con rinnovato entusiasmo le prossime sfide, sindacali e politiche, prima fra tutte quella concernente il rinnovo del contratto delle Funzioni Locali, sul quale, senza retorica, si gioca una parte del destino del nostro Paese.

Perché non vi è alcun dubbio che il primo motore della vita economica e sociale italiana sia proprio l’ente locale, che alcuni stanno tentando scelleratamente di opprimere se non addirittura di cancellare.

Essere rimasti gli unici a difendere questa realtà è, al tempo stesso, motivo di orgoglio e di malinconia per tutti noi. Ma se sapremo rimanere uniti e solidali negli obiettivi che intendiamo raggiungere, sono certo che la nostra voce riuscirà a fare breccia nel mondo della politica.

Concludo ringraziando i lavoratori e le lavoratrici che ci hanno dato fiducia e chi mi è stato vicino nel lavoro svolto in questi mesi, e rinnovando gli auspici di un sereno Natale.

 




Riuniti a Roma i Dipartimenti Welfare e Pari Opportunità

VERBALE RIUNIONE CONGIUNTA

DIPARTIMENTO WELFARE E ASSISTENZA SOCIALE

DIPARTIMENTO PARI OPPORTUNITA’ E POLITICHE DI GENERE

Roma, 19 dicembre 2016

 

Come nelle precedenti riunioni di Dipartimento, il Segretario Generale Francesco Garofalo ha spiegato in fase introduttiva gli obiettivi che il Sindacato intende perseguire con l’istituzione di tali organismi.

Nello specifico, ogni area di interesse della nostra organizzazione deve essere seguita da gruppi omogenei di persone che si assumano l’impegno di raccordarsi coi lavoratori per verificare la posizione che il CSA andrà ad assumere nel momento in cui si aprirà la discussione sul rinnovo del contratto degli enti locali (ora Funzioni Locali).

Dobbiamo quindi predisporre una piattaforma quanto più completa possibile e soprattutto vicina alle problematiche reali dei lavoratori stessi. Nel contempo, tale piattaforma dovrà avere sostenibilità dal punto di vista economico e piena attendibilità sul piano giuridico. Perciò, una volta che essa sarà stata predisposta, verrà sottoposta al vaglio dell’Ufficio Legislativo, per poi essere portata all’approvazione del Consiglio Nazionale. Tutto ciò farà da volano alle assemblee e alle manifestazioni che andremo a indire su tutto il territorio nazionale.

Il dibattito ha toccato, contemporaneamente, gli aspetti organizzativi e i contenuti.

Per quanto riguarda il primo, è stato rilevato da tutti i presenti che un Dipartimento degli Assistenti Sociali e delle Pari Opportunità rischia di essere dispersivo, per la sua eterogeneità, e che quest’ultima materia, in realtà, interessa trasversalmente tutti i settori.

Pertanto, è stato deciso di creare due distinti Dipartimenti: Welfare e Assistenza Sociale; Pari Opportunità e Politiche di Genere.

Per la fase iniziale dei lavori, nell’ambito del Dipartimento Welfare si individueranno tre responsabili di area (Nord, Centro, Sud), i quali, raccordandosi fra loro e confrontandosi con le altre persone che hanno dato la propria disponibilità, si concentreranno in primo luogo sulla predisposizione di una relazione tecnica illustrativa delle problematiche da affrontare, come espressamente richiesto dal Segretario Generale. A tal fine, è stato concordato di prendere spunto da un documento realizzato da Antonio Callea di Palermo, che è stato letto ed esaminato nel corso della riunione ottenendo l’apprezzamento di tutti i partecipanti.

Il Dipartimento Pari Opportunità e Politiche di Genere ha designato una Coordinatrice unica, Maria Giangualano, la quale avrà innanzitutto il compito di costruire una rete con i responsabili designati in ogni Regione. Sarà cura della stessa Coordinatrice recuperare il materiale elaborato tempo addietro e sottoporlo ai componenti del Dipartimento, per verificare cosa è recuperabile in funzione della piattaforma.

Per quanto concerne i contenuti, l’obiettivo comune è quello di arrivare al riconoscimento delle singole professionalità, attesa la quasi impossibilità di uscire dall’alveo del contratto collettivo nazionale, e di far si che nell’accordo decentrato vengano inserite delle garanzie per il personale con una certa anzianità, che altrimenti può essere scavalcato dai lavoratori più giovani, che hanno titoli di studio più elevati. Altro problema comune è il fatto di dover svolgere mansioni amministrative non contemplate dal contratto.

Non meno rilevanti sono temi quali l’incastro fra pari opportunità e benessere organizzativo, l’idoneità dei posti di lavoro, il sostegno delle politiche di turnover.

Va da sè che ci siano delle specificità da valorizzare e salvaguardare, ma non si può fare a meno di partire dai punti in comune per addentrarsi, in una fase immediatamente successiva, nelle singole tematiche. In questo contesto, ovviamente, non si possono trascurare le grandi differenze che vi sono fra le varie municipalità, ma piuttosto che puntare su di esse è preferibile partire dal contratto per poi cercare di polarizzarle.

Garofalo, nel corso della riunione ha più volte sottolineato l’importanza di un dialogo costante con la base e con i Comuni, perché in tal modo sarà possibile far emergere le realtà più avanzate, come ad esempio quella di Torino, e quindi tentare di far adottare le stesse regole da parte delle altre amministrazioni. Di conseguenza, occorre sviluppare una sinergia coi territori chiamando in causa anche i segretario provinciali, evitando però che ci siano sovrapposizioni.

L’obiettivo, come ha ribadito Garofalo, di individuare i punti salienti della riforma che vorremmo mettere in atto è strettamente connesso a quello di ipotizzare uno schema di contratto tipo decentrato. In questo, però, dobbiamo tener presente l’anomalia per cui il contratto nazionale è ancora legato alla pianta organica, mentre la riforma dei comparti, introducendo le Funzioni Locali, ha dato vita ad un regime assolutamente incompatibile col contratto stesso. Tant’è vero che decadendo la pianta organica si vengono a creare degli esuberi che possono provocare la messa in mobilità dei dipendenti.

Tale contratto, inoltre, non ha mai normato alcuni aspetti molto rilevanti, dando così modo a ciascun ente di decidere liberamente le regole da applicare, che naturalmente non sono mai orientate al rispetto delle singole professionalità.

Prova ne sia quanto reso noto da Antonio Callea riguardo la realtà di Palermo: gli assistenti sociali, a fronte dell’obbligo di formazione continua, non vengono risarciti dalle amministrazioni della quota di iscrizione all’albo. Non solo, gli assistenti sociali hanno persino difficoltà a farsi autorizzare la partecipazione agli eventi formativi.

In definitiva, emerge una forte frattura fra ambito statale e locale, dove è sin troppo palese l’intento di penalizzare quest’ultimo. L’idea di smantellarlo è partita dal Ministro Brunetta, che ha cercato in tutti i modi di dimostrare che quello del pubblico impiego è un carrozzone pieno di figure inutili e di lavativi. Si è poi cominciato a parlare della privatizzazione di tutto il comparto; un attacco che al tempo venne tamponato, ma che poi è stato rilanciato con prepotenza proprio attraverso la riforma costituzionale. Se fosse passato il SI, saremmo diventati ben presto il bersaglio di licenziamenti di massa!

Oramai, il CSA è rimasto solo a rappresentare il personale degli enti locali e ora che lo spauracchio della riforma è passato, dobbiamo favorire la rinascita del comparto ed altresì rigenerare la macchina comunale che è  quella più vicina ai cittadini e che funziona meglio.

Con tutto ciò premesso, l’aspetto chiave sta nella capacità di portare all’esterno le nostre idee facendo opera di convincimento. Per creare affezione fra i lavoratori bisogna portare argomenti innovativi – come quelli sin qui esposti – e lavorare con costanza sui territori, recependo quelle che sono le principali cause del loro malessere. In ultima analisi, la piattaforma non dobbiamo inventarla noi ma confrontarla coi lavoratori.

E una volta che questa piattaforma sarà stata creata, dovremo rivendicarne la paternità in tutte le sedi. La scommessa è aperta e non lascia alternative: o andiamo fino in fondo oppure alziamo le mani e accontentiamoci delle briciole che ci daranno.

Ciò che ci distingue è che noi siamo un vero e proprio movimento sindacale, mentre le altre solo organizzazioni. Consapevoli di questo, non possiamo mettere il nostro futuro nelle loro mani e, interfacciandosi coi Dipartimenti, la gente ci seguirà.

Il nuovo contratto non serve tanto a noi quanto alle future generazioni. Perciò, nel salvaguardare l’esistente, dobbiamo puntare al ricambio generazionale.

 

 

 




Comunicato Stampa CSA sul progetto Dipartimento Regioni/Province

In data odierna è stato diramato un comunicato stampa che illustra le decisioni prese nel corso della riunione del Dipartimento Enti Regioni/Province e annuncia l’avvio della raccolta di firme tra i lavoratori per l’approvazione del ricorso per l’abrogazione della Legge Del Rio

IL TESTO DEL COMUNICATO STAMPA: CSA IN CAMPO PER L’ABROGAZIONE  DELLA LEGGE DEL RIO




Verbale della riunione del Dipartimento Regioni/Province del 13 dicembre

Nel suo intervento introduttivo ai lavori, Francesco Garofalo ha evidenziato innanzitutto che il Dipartimento Enti Regioni/Province è sicuramente uno dei più importanti fra quelli costituiti nell’ambito del CSA, anche alla luce delle criticità che gli enti locali stanno vivendo in questa fase. Noi siamo stati i primi a crearlo, in funzione di ciò che doveva avvenire, e questo ci permetterà realmente di diventare “la storia”.

Del resto, alla luce del voto referendario, oggi la difesa degli enti locali e dei relativi lavoratori è diventata una priorità assoluta, da affrontare con la massima urgenza. Purtroppo siamo in mano a politici che continuano ad aggirare l’ostacolo del voto popolare, ma anche sul fronte di quelli che si sono imbarcati con noi nella battaglia per il NO si nota una certa inefficienza e una mancanza di idee chiare. Quindi, siamo ormai arrivati al punto di dover decidere il nostro futuro con le nostre mani.

Durante la campagna referendaria abbiamo evidenziato il vero problema, che è quello di dare sostegno alla parte debole del paese, ed in particolare ai lavoratori che si trovano maggiormente in difficoltà, vale a dire quelli degli Enti Locali (Province, Regioni e Comuni). E questa è la grande sfida che andremo ad affrontare, passando attraverso il Consiglio Nazionale.

In coerenza con l’obiettivo più volte annunciato di rimettere al centro la “vera” Costituzione, in tutti i suoi aspetti, è stato dato mandato al prof.Nicola Coco, responsabile dell’Ufficio Legislativo, di redigere un documento contenente alcune ipotesi di intervento, concrete e percorribili, che è stato esaminato in loco.

Tale documento – come ha spiegato lo stesso prof. Coco nel corso della riunione – traccia la possibilità di ricorrere alla Corte Costituzionale per far dichiarare l’incostituzionalità della Legge 7 aprile 2014, n.56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), altrimenti nota come Legge Del Rio, che è affetta da gravi vizi di violazione di principi e regole fondamentali per l’ordinamento italiano, sollevando il conflitto di attribuzioni fra Province e Stato.

Vincere questa battaglia significherebbe anche, e soprattutto, puntare al reintegro dei circa 20mila lavoratori degli Enti Province esodati, che oggi si vedono negare le proprie funzioni e vengono tenuti in “parcheggio”, con contestuale richiesta di risarcimento dei danni subiti dal 2014 ad oggi.

Il Dipartimento si attiverà per vagliare l’attendibilità del progetto attraverso una raccolta di firme fra i lavoratori, che permetterà anche di verificare ciò che essi vogliono realmente e di coinvolgerli come protagonisti attivi della grande sfida che stiamo lanciando alla politica. Una sfida che ha come obiettivo ultimo quello di demolire tutta l’architettura di un sistema che, in questi anni, ha messo nel mirino il lavoro pubblico e privato e che ha sminuito il ruolo degli enti locali anche attraverso la creazione delle Funzioni Locali. Altro cavallo di battaglia è la salvaguardia delle 31 funzioni delle regioni.

Secondo Francesco Garofalo, infatti, proiettare all’esterno l’analisi fatta dal prof.Coco metterà in allarme il governo e troverà spiazzate Cgil Cisl Uil. E questo ci permetterà di acquistare enorme visibilità a tutti i livelli.

Ecco perché bisogna uscire prima degli altri con la nostra proposta, che avrà un effetto così dirompente da sollevare l’interesse della gran massa dei lavoratori, a tutti i livelli. E se ciò si realizzerà, potremmo costituire un vero e proprio Movimento nazionale delle autonomie locali.

Per questo, è importante dotarsi di una organizzazione solida, capillare e convinta di dare una svolta.

Tutti i presenti hanno manifestato grande entusiasmo per l’iniziativa avanzata dal Segretario Generale, approvando all’unanimità il documento predisposto dal prof.Coco.

Su proposta di Santi Paladino, il documento in oggetto sarà integrato con la proposta di abrogazione del comma 418 della legge 190/14, per il quale “Le  province e le  città  metropolitane concorrono al contenimento della spesa  pubblica  attraverso  una  riduzione  della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l’anno 2015, di 2.000 milioni di euro per  l’anno 2016 e di 3.000 milioni di  euro  a decorrere dall’anno 2017. In considerazione delle riduzioni di  spesa di  cui  al  periodo  precedente,  ciascuna provincia e città metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del  bilancio dello Stato un ammontare di risorse  pari  ai  predetti  risparmi  di spesa. Sono escluse dal versamento  di  cui  al  periodo  precedente, fermo restando l’ammontare complessivo  del  contributo  dei  periodi precedenti, le province che risultano in dissesto alla  data  del  15 ottobre 2014. (…)”

Per quanto riguarda l’organizzazione del Dipartimento, a fronte delle varie possibilità prospettate dal Segretario Generale, i presenti, riconoscendogli la massima fiducia circa la migliore soluzione da adottare, gli hanno dato mandato di individuare i nominativi e gli incarichi che ritenga più opportuni.

Il ruolo di Coordinatore del Dipartimento viene quindi assegnato ad Angelo Rossi, che rappresenta un Ente Regione, la Lombardia, che ha una rilevanza significativa nel nostro Sindacato. Inoltre, è stato deciso che ogni Ente Regione e Provincia dovranno fornire un nominativo per comporre una squadra forte, trasparente capace di fare rete e di farsi conoscere, innanzitutto attraverso un costante flusso informativo.

Il Dipartimento – che oltre ai presenti comprende anche i nominativi che hanno dato la propria adesione ma non hanno potuto prendere parte all’incontro odierno – è incaricato di predisporre il documento definitivo da presentare in Consiglio Nazionale, che dovrà essere pronto entro i primi di gennaio, per avviare immediatamente la consultazione fra i lavoratori. A tal fine, sarà predisposta anche la scheda per la raccolta delle firme, che dovrà essere svolta capillarmente in tutte le sedi.

Per dare ulteriore sostegno alla campagna, il Segretario Generale ha reso noto di aver già preso contatto con una autorevole figura del mondo giornalistico per impiantare una strategia che ci permetta di acquisire le necessarie entrature a livello mediatico.

In definitiva, Francesco Garofalo ha ribadito che nella riunione odierna è nato, con il contributo di tutti i presenti, un qualcosa di veramente importante, che va oltre il Dipartimento stesso: il CSA sta proponendo una reale alternativa ai lavoratori, che certamente permetterà di avvicinarli. La storia siamo noi, nessuno escluso!

 

Il Segretario Generale

Francesco Garofalo

 

DOCUMENTAZIONE ALLEGATA

Relazione Ufficio Legislativo

Scheda raccolta firme




Riunito a Roma il Dipartimento Scuola

Il 6 dicembre si è riunito a Roma – presso la sede della Segreteria Generale in Via Goito – il Dipartimento Scuola, per proporre ed esaminare le linee sulle quali impostare un programma volto al sostegno delle istanze contrattuali ormai da tempo avanzate dal personale docente, dipendente dalle amministrazioni comunali.

Cliccare qui per visualizzare il verbale




Comunicato del Segretario Generale sul rinnovo del CCNL Servizi Ambientali

Dopo una estenuante trattativa che ci ha visto impegnati nei mesi scorsi con numerosi scioperi, questa notte si è giunti alla firma definitiva dell’accordo nazionale di rinnovo del CCNL FiseAssoambiente e società esercenti servizi ambientali.

L’accordo, che ha decorrenza dal 1 luglio 2016 al 30 giugno 2019, soddisfa le richieste dei lavoratori e delle lavoratrici dell’Igiene Ambientale pubblico e privato, introducendo la clausola sociale che supera le inique disposizioni del  Jobs Act, per le quali i lavoratori erano a rischio di licenziamento individuale nei casi di cambio di appalto, migliorando così notevolmente l’aspetto economico.

Infatti, siamo riusciti ad ottenere un aumento di 120 euro complessivi, a cui si aggiunge l’ una tantum per la vacanza contrattuale di circa 400 euro, che supera nettamente le cifre recentemente riconosciute ai metalmeccanici ed ai dipendenti pubblici.

Inoltre, il nuovo contratto prevede tutta una serie di tutele, quali la previdenza complementare generalizzata, l’assistenza sanitaria integrativa, il fondo di solidarietà per incentivare i prepensionamenti dei lavoratori dichiarati inidonei.

Il raggiungimento di questo importantissimo traguardo favorirà non solo il rilancio del comparto, ma soprattutto il miglioramento dei servizi di Igiene Ambientale, che toccano da vicino la vita quotidiana dei cittadini.

Ora, con l’avvenuta bocciatura della riforma costituzionale, auspichiamo che lo spettro del Jobs Act venga eliminato definitivamente, a vantaggio di tutto il mondo dell’impiego pubblico e privato. E la nostra Federazione, tramite il proprio Ufficio Legislativo, sta già provvedendo – come comunicato in data odierna – a perseguire tale obiettivo.

Roma, 07/12/2016

 

Il Segretario Generale

Francesco Garofalo




Ed ora avanti coi diritti di libertà e dignità dei lavoratori!

Confortato dallo schiacciante successo ottenuto dal NO nel referendum sulla riforma costituzionale di domenica scorsa, vorrei rivolgere a tutti i lavoratori e alle lavoratrici che si sono recati alle urne il mio più vivo ringraziamento per aver condiviso e sostenuto la nostra campagna.

Il primo passo è stato compiuto! Abbiamo salvato la Costituzione e, soprattutto, abbiamo salvato i nostri  comparti da tutte le nefaste conseguenze che si prefiguravano all’attenta lettura del decreto Renzi/Boschi; da ultimo, i licenziamenti in massa.

Con orgoglio, ribadisco che siamo stati noi i primi – come si può evincere dal verbale dell’Assemblea di Chianciano svoltasi il 18/20 febbraio scorsi – a porre l’indice, sul solco della migliore tradizione del vero sindacalismo, sulle gravissime conseguenze che tale riforma, e segnatamente la modifica del Titolo V, avrebbe avuto nei confronti dei lavoratori rappresentati da CSA e FIADEL. Dapprima abbiamo dato mandato al prof. Coco, responsabile dell’Ufficio Legislativo, il compito di scrivere un libro che ha messo a nudo i reali obiettivi di accentramento e assolutismo perseguiti dal premier, e poi con il Convegno di Napoli dl 7 novembre, nel quale abbiamo ribadito con coraggio e senza veli questi concetti.

E questo mi induce ad affermare che CSA e FIADEL costituiscono, nel loro insieme, l’unica realtà sindacale disposta ad opporsi alle logiche di regime e mai incline a scendere a compromessi.

Nessuno potrà dimenticarsi del lavoro che abbiamo svolto in questi mesi, non per opporci al Governo Renzi ma per garantire un futuro ai nostri lavoratori e lavoratrici, alle loro famiglie e alle nuove generazioni; cosa che sarebbe stata messa seriamente in pericolo qualora si fosse affermato il SI.

Non è però nostra intenzione cullarci sugli allori dei vincitori – come stanno facendo i partiti schieratisi per il NO – perché sul tappeto restano aperte numerose questioni, molto delicate, sulle quali continueremo a dare battaglia, in quanto la nostra posizione è stata chiara fin da prima che si concludesse l’iter legislativo del decreto Renzi/Boschi e siamo stati gli unici a porre nelle proprie rivendicazioni i riferimenti al lavoro e ai lavoratori.

Ora, dovremo innanzitutto affrontare la questione contrattuale delle Funzioni Locali, per la quale chiediamo l’immediata apertura di un tavolo presso l’ARAN, affinchè si arrivi, nel più breve tempo possibile alla equiparazione dei dipendenti delle Funzioni Locali coi dipendenti pubblici.

In definitiva, la vittoria del NO, che è anche la nostra vittoria, ci renderà ancora più convinti e tenaci nel fare  muro contro chiunque voglia abolire la democrazia e attaccare il mondo del lavoro in questo Paese.

Dal fronte dei partiti, delle associazioni e dei comitati che hanno votato NO mi aspetto coerenza. Difendere i valori della Vera Costituzione significa anche ripristinare i diritti dei lavoratori e pertanto ci batteremo perché vengano abrogate le leggi che in questi anni li hanno pesantemente mortificati, ed in particolare la Fornero, i Jobs Act 1 e 2 e la Legge Madia.

Inoltre, abbiamo incaricato l’Ufficio Legislativo di valutare le modalità di opposizione a quanto è già stato realizzato riguardo lo smantellamento delle Province, delle Camere di Commercio e di tutto quanto entra in palese contrasto con la Costituzione dopo la solenne bocciatura della riforma da parte nostra e del popolo.

Ora, si è aperto uno scenario nel quale la nostra Organizzazione dovrà essere al centro, per affrontare il ripristino di quanto appena accennato, e la nostra battaglia continuerà nel percorso intrapreso di difendere il lavoro pubblico e privato.

Non lesineremo le nostre forze affinchè tutti i danni prodotti in questi anni da leggi scellerate vengano cancellati, e per ricondurre l’azione della politica sui binari della giusta correttezza e dell’applicazione delle norme della Costituzione, che esce intatta dai tentativi di demolizione che ha subito e oggi risulta più forte di prima.

Ai lavoratori e alle lavoratrici, invio l’esortazione ad esserci sempre più vicini, a darci fiducia e ad appoggiare le nostre campagne, il cui obiettivo è soltanto uno: dare loro certezze, tranquillità e dignità.

Infine, rivolgo anche alle forze sociali di questo Paese l’invito ad unirsi alle nostre iniziative, per intraprendere un percorso comune.

 

Francesco Garofalo

 

Francesco Garofalo




La Corte Costituzionale pone un freno alla protervia della Legge Madia

Vista superficialmente, la questione affrontata dalla sentenza della Consulta n.251/2016, emessa il 9 novembre u.s., può sembrare un argomento poco influente sui problemi assai più importanti e gravi che incombono sul Paese e sull’esito referendario del 4 dicembre.

E invece, mai come in questo caso si avvalora il vecchio detto che “nel dettaglio si ritrova il dito di Dio”, giacchè in realtà questa pronuncia contiene dei principi i cui effetti coinvolgono, direttamente ed indirettamente, il fulcro stesso del disegno che mira a trasformare l’ordinamento legislativo italiano in un regime sin troppo simile a quelli fascisti del tempo andato.

In breve: la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art.11 della Legge Delega n.124/15 (Legge Madia) giustamente, anche se deprecabilmente, considerata la “madre” (con cotanta “madrina”) di tutto l’armamentario renziano, propedeutico e preparatore del “gran balzo finale” della riforma della Carta del ’48.

Motivo della censura: la legge delega prevede solo la richiesta di un parere, da parte del Governo alle Regioni – in materie che spaziano dalla nomina dei dirigenti sanitari all’affidamento gestionale dei servizi pubblici locali – anziché l’avvio di una concertazione, al fine di raggiungere un accordo tra potere centrale e poteri locali, con reciproca parità di ruoli, funzioni e capacità decisionali.

La sentenza, in concreto, va a picconare una delle più becere e pervasive “innovazioni” dell’intera politica renziana, ossia ridurre a semplici pareri ciò che, viceversa, deve risultare da una composizione negoziata di diverse posizioni e diversi interessi.

Ed è ovvio che il “parere” – vedasi l’esempio del “nuovo” Senato dei nominati, dove il 90% delle funzioni è ridotta a tale “attività” – equivale a carta straccia, mentre l’intesa o accordo che dir si voglia ha un valore determinante per l’esercizio dei pubblici poteri e per la stessa forma dello Stato democratico.

Altamente significativa, ai fini di comprendere e prevedere lo scenario del dopo-riforma costituzionale, si mostra la reazione del premier: “cavilli legulei, impicci burocratici, sottigliezze irrilevanti”, ecc. sono state le sue migliori espressioni sull’operato di una Corte Costituzionale verso la quale il capo di governo di un Paese cosiddetto libero dovrebbe portare un po’ più di rispetto!

Come se non bastasse, Renzi ha assunto altresì l’atteggiamento del “grande castigatore”, imponendo nella riforma costituzionale la clausola di supremazia dello Stato sulle Regioni (e su tutto il resto!), che spazzerà via bagatelle di questo tipo, come se si trattasse di immondizie giuridiche e cascami post-democratici.

E’ ovvio che il premier sia particolarmente irritato dal fatto che la pronuncia della Consulta possa compromettere il suo “regno incantato”, specificamente rappresentato da alcuni Decreti attuativi. Primo fra tutti quello industriale, che gli regala superpoteri nella scelta delle grandi opere, o ancor di più dei grandi insediamenti, destinati, notoriamente, alle impazienti multinazionali (specie cinesi).

Non solo: la legge 124/15, che ha partorito ben 17 decreti e decretini in moltissime altre materie – dalla mutilazione delle Camere di Commercio agli enti di ricerca – rischia una lunga paralisi e, ancor peggio, porta allo scoperto gli abusi dell’istituto stesso della legge delega, perpetrati dal governo negli ultimi tempi.

Infatti, più volte Renzi si è vantato di non ricorrere al decreto legge per attuare le sue politiche di riforma. In realtà, ha fatto e fa di peggio, utilizzando proprio il sistema dei decreti delegati, che consente di far approvare un’unica legge – a colpi di voto di fiducia – la quale funge da fonte per innumerevoli mini-leggi ( i decreti delegati, per l’appunto) che passeranno automaticamente senza il benchè minimo rischio di opposizioni ed eventuali blocchi.

Ben diverso, invece, è il percorso dei decreti legge che rischiano di decadere in tempi brevissimi (60 giorni) e sono vulnerabili dall’ostruzionismo delle opposizioni, oltre a essere vincolati dai requisiti della necessità e dell’urgenza.

In definitiva, comunque, quale che possa essere l’esito referendario, difficilmente la trovata renziana delle deleghe “a comando” avrà vita facile dopo il 4 dicembre.

 




Referendum, il SI ci spingerebbe in fondo al baratro

A qualcosa, almeno, sono servite le ultime fasi della campagna referendaria giacchè, tra isterismi, insulti e provocazioni, hanno messo in luce i veri obiettivi della riforma costituzionale di Renzi e soci.

Intanto, capovolgendo l’ordine abituale di ogni discorso sociologico, ossia partendo dagli aspetti di contorno, nonché di metodo, deve osservarsi la compresenza delle tre costanti che caratterizzano tutte le campagne volte al raggiungimento del plebiscito: la paura, la minaccia e l’obolo.

Paura – Se non passa la riforma, dicono i sostenitori, sarà il caos, il salto nel buio, il crollo delle banche, l’impoverimento dell’intera popolazione, magari anche i Cavalieri dell’Apocalisse (guerra, fame, peste e morte), senza dimenticare le celeberrime Piaghe d’Egitto!

Minacce – Se vince il No, aggiungono quei sostenitori, Renzi e il governo vanno a casa; quindi vuoto di potere, anarchia, sommosse e, perché no, pure nubifragi. E subito dopo il ritorno dei Tecnici – evocati come un babau da un Renzi non eletto – lo spread che vola e (udite udite) aumento della disoccupazione.

Obolo – 80 euro di qua, buoni-libri di là, gratifiche natalizie e mancette una tantum, cioè l’eterno contentino post-assistenzialista e pre-elettorale del buon tempo andato, figlio del secolare principio “del bastone e della carota”.

Ora, è appena il caso di osservare come questi tre ingredienti siano schiettamente di tipo populista, anzi, siano essi stessi il populismo della più storica e comune specie, la qualcosa è un po’ inquietante, e molto ridicola, per chi nel contempo è impegnato nella crociata contro i nuovi eretici: Salvini, Meloni, Grillo, Le Pen, Farage (quello della Brexit), l’austriaco Hofer, l’ungherese Orban e più di tutti Donald Trump!

A dirla tutta, però, è la stessa trasformazione della consultazione referendaria in plebiscito a suscitare a monte le prime e più acute perplessità sulla genuinità democratica di questa operazione che, assemblando requisiti reciprocamente eterogenei con la tecnica del “pacchetto”, finisce per tradursi nella scelta binaria tra SI e NO, più confacente al sondaggio su un detersivo che a cotanta ristrutturazione della Legge Fondamentale di un Paese.

Ma il fatto ancor più deprecabile è il modo con cui l’unico quesito del referendum è stato posto, che in maniera sin troppo sfacciata vorrebbe orientare i votanti verso il SI, come se si trattasse di uno slogan da campagna referendaria, e non del vero e proprio quesito del referendum!

«Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?».

Una gigantesca riforma, che viene banalizzata in poche righe, o forse è meglio dire trasfigurata, ponendo in evidenza quegli aspetti che più toccano le corde dei ceti medio-bassi, non in senso economico ma soprattutto culturale.

Quanti, pur sapendo poco e nulla di politica, contestano il bicameralismo perfetto, perché causa di pesantezza e di lungaggini negli iter parlamentari delle leggi? Quanti, fra quei soggetti, non auspicherebbero la riduzione dei parlamentari, anche per quel che guadagnano? Ma ancor di più, quanti non vorrebbero la riduzione dei costi della politica, e l’abbattimento di un vecchio (e inutile?) carrozzone quale è il CNEL? Tutto facile, tutto scontato. Ma poi, senza dilungarci nelle varie “dimenticanze”, quando si deve dar traccia dello stravolgimento del rapporto fra Stato e Regioni, si fa cenno soltanto al Titolo V, che sarebbe già tanto se la maggioranza degli aventi diritto al voto sapesse riconoscerlo in “Titolo Quinto” e non come “Titolo (lettera) V”.

Eccola, allora, l’essenza della ricerca del plebiscito: qui siamo sui livelli del plebiscito sull’operato del governo, cioè sull’ormai consolidata dittatura, voluto da Mussolini nel ’29!

In verità, tutte le riforme di Renzi trasudano di istituti presi pari pari dalle leggi fasciste: il premio di maggioranza “sicura”, il voto a data certa dei Ddl presentati dal governo, il Senato trasformato in Camera dei Fasci e delle Corporazioni, l’eliminazione dei corpi intermedi (province) o la loro neutralizzazione (regioni); la centralizzazione di ogni potere decisionale nella persona del Capo del Governo; la sostituzione della Rappresentanza con la Nomina e la Cooptazione; l’attacco ai sindacati come tali; le leggi antisciopero; la Scuola asservita ai presidi, e via dicendo.

Questa sarebbe la “moderinazzione” o la “innovazione”? Ma di cosa stiamo parlando? Forse di semplificazione, nella forma più becera, giacchè è ovvio che eliminando ogni organo o istituzione potenzialmente “disturbante” si semplifica tutto!

Ma perché questa riesumazione dei principi cardine dello stato fascista? Da una parte vi è certamente l’obiettivo di contenere le crepe e le fratture che si stanno aprendo nella compagine e nel tessuto sociali, a causa del cedimento della vecchia struttura statale e costituzionale, accelerato dal dilagare della disoccupazione, dei fenomeni migratori e dalla dissoluzione del modello imprenditoriale classico, che hanno portato i poteri forti alla riduzione se non alla cancellazione dei diritti individuali e collettivi, attraverso la demolizione del pluralismo degli organismi che lo rappresentano.

In un simile contesto, il ruolo del debito pubblico e del suo vertiginoso aumento diviene fondamentale, perché legittima tagli micidiali allo stato sociale, ai salari e al costo del lavoro, e al tempo stesso funge da alibi alla cessione dei suoli, dei beni comuni e delle risorse naturali alla grande finanza internazionale.

Non a caso, il buon Renzi, abitualmente tanto ciarliero, non parla mai dell’abrogazione dell’art.81 della Costituzione (obbligo del pareggio di bilancio) che strangola il Paese, salvo accennare, molto fugacemente, a futuribili ed ipotetiche modifiche dei trattati europei, che mai verranno, naturalmente.

A questo punto, è doveroso dire che l’Italia si trova attualmente sull’orlo del baratro, che non è un avventuroso salto nel buio, ma un punto di non ritorno verso una dittatura “commissaria”, persino peggiore dei regimi totalitari, stalinismo compreso, nei quali la compressione della libertà corrispondeva al benessere delle masse e, in certi casi, alla creazione della società egualitaria.

Con la riforma di Renzi si verificheranno, innanzitutto, sicure catastrofi dell’occupazione (gestita interamente dallo Stato, cioè dei gerarchi del Jobs Act 1 e 2, a cominciare dal licenziamento di 400mila dipendenti delle Regioni e annessi indotti, delle partecipate, dei dipendenti dei servizi pubblici e Camere di commercio, dalla mezzanotte del giorno 5 dicembre.

Infatti, ridotte le funzioni, diminuiscono le dotazioni organiche e trionfano i licenziamenti economici, cioè di massa!

Le trivellazioni cominceranno anch’esse da quell’ora e quella data e, grazie a contratti già firmati dal governo, saranno libere per l’intera costa della Penisola, devastando fauna, flora e fondali, e non mancheranno anche un po’ di nuove centrali nucleari, visto che nessuno potrà più opporvi veto.

Il costo del lavoro crollerà ulteriormente, facendo apparire i voucher come una ricchezza, dato che il contratto tradizionale non esisterà più, sostituito dalle tutele (de-)crescenti, dal lavoro a chiamata ed in leasing come se il lavoratore fosse un’auto.

Evitiamo, dunque, una sorte che, con tutti i suoi difetti, le debolezze, la passività e, persino, il disimpegno che gli si possono imputare, il popolo italiano non merita. No Pasaràn. Il No Pasarà.

Avv. Nicola Coco




Ancora una volta sono deragliate le aspettative dei lavoratori delle Funzioni Locali

L’attenta analisi del documento relativo l’accordo raggiunto e sottoscritto fra Governo e CGIL-CISL-UIL nella giornata di ieri, 30 novembre 2016, è fonte di notevoli perplessità e di altrettanta preoccupazione circa il futuro dei lavoratori e lavoratrici degli Enti Locali.

In primo luogo si osserva che l’Esecutivo, spalleggiato e confortato dalla Triplice, ha ancora una volta ignorato gli Enti Locali stipulando, di fatto, un accordo che concerne soltanto i dipendenti statali.

A prescindere dal fatto che le risorse stanziate (85 euro mensili medi) sono tutt’altro che eque, che non saranno distribuite nell’immediato e non verranno assegnate in maniera equa a tutti i lavoratori, ciò che rileva, per quanto di nostro precipuo interesse, è la mancanza di una espressa previsione dell’estensione di detti benefici al personale delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli Enti del comparto, stante il fatto che la eventuale ricaduta degli stanziamenti  stabiliti per i pubblici dipendenti su quelli degli Enti Locali sarà del tutto risibile.

Vero è che nella Parte Economica del documento in oggetto, al punto b) “il Governo si impegna a garantire che vi siano specifici stanziamenti di risorse corrispondenti a quelli definiti per quanto di competenza in accordo con gli altri soggetti datoriali pubblici”, ma, come ha ben evidenziato la CISAL nel comunicato stampa diramato in data odierna, il c.d. Sistema delle Autonomie sarà pienamente coinvolto solo con passaggi successivi, ovvero, ben che vada, non prima del 2018 inoltrato, considerando che il suddetto accordo potrà essere onorato solo con la prossima Legge di Bilancio, da emanarsi entro la fine del 2017.

Alla luce di tale previsione, è forte la sensazione che il Governo, sempre supinamente appoggiato dalla Triplice, abbia subdolamente disposto un rinvio “sine die” dell’applicazione di misure analoghe a quelle stabilite per gli statali ai lavoratori degli Enti Locali.

Questo, perché, in un ipotetico tavolo di trattativa con l’ANCI e le altre organizzazioni preposte, il primo aspetto svincolante che verrebbe fuori è che le autonomie locali, alle prese come sono già da diversi anni con i tagli delle risorse ad essi destinate dallo Stato, non saranno assolutamente in condizione di soddisfare la nostra legittima richiesta.

Ci troviamo così di fronte ad una situazione assurda ed inaccettabile! E se da parte del Governo potevamo anche aspettarcela, una mossa così sprezzante nei nostri confronti, l’atteggiamento assunto dai sindacati sopra citati ci lascia esterrefatti. Come è possibile continuare a credergli, se il loro ruolo è diventato soltanto quello di dire “sissignore”?

Quindi, in definitiva, all’amarezza di dover constatare che siamo rimasti soli a difendere i diritti degli lavoratori degli Enti Locali, si unisce lo sconcerto di vedere questi ultimi relegati al ruolo di “agnelli sacrificali”.

Perché un Buon Governo e dei Buoni Sindacati avrebbero dovuto inserire nell’Accordo un preciso riferimento che quegli 85 euro devono essere assegnati anche ai dipendenti delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Senza alcuna condizione!!

Avevamo visto giusto, quando scrivevamo – il 22 aprile u.s., nella missiva inviata ad Aran, Anci, Upi, Conferenza Regioni e al Presidente del Comitato di Settore – che le amministrazioni si trinceravano dietro la giustificazione di non poter rinnovare i contratti perché il Governo non stanzia somme sufficienti, tenendo così legato al grande carrozzone del pubblico impiego anche il comparto Funzioni Laocali, che invece trae le sue risorse da altre fonti.

Paure che, oggi, purtroppo, si dimostrano del tutto fondate: le sorti dei nostri lavoratori sono legati alle esigue risorse che gli Enti Locali potranno mettere a disposizione.

In definitiva, la questione contrattuale delle Funzioni Locali rimane aperta, e sarà oggetto di scontro sui tavoli istituiti dall’ARAN se domani non vedremo – come dichiarato nel documento – che ai dipendenti delle amministrazioni locali sarà riconosciuto un aumento contrattuale, opportunamente finanziato, della stessa portata di quello ormai garantito ai dipendenti pubblici. E, se del caso, la protesta proseguirà ad oltranza, su tutto il territorio nazionale, attraverso le nostre strutture territoriali.

Infine, voglio esortare tutti i lavoratori e lavoratrici delle Funzioni Locali a fare una attenta riflessione su quanto sin qui esposto, per valutare se sia ancora il caso di dare fiducia a chi sta portando all’estinzione il nostro comparto, traendo per altro solo minimi benefici per gli altri, e di unirsi in una grande lotta per portare avanti i nostri sacrosanti diritti!

Francesco Garofalo