A tutela del personale delle Camere di Commercio
Proponiamo il testo della lettera inviata il 16 gennaio ai Presidenti delle Camere di Commercio operanti sul territorio nazionale, ai Presidenti delle Camere di Commercio Italiane all’estero, al Presidente dell’Unioncamere nazionale, alla Presidenza della Conferenza Stato-Regioni, ai Presidenti delle Regioni e, p.c. Ai Dipendenti delle Camere di Commercio Alla Confindustria, in merito all’impugnazione dell’art.10 della Legge Madia da parte di alcune Giunte Regionali
Egregi Presidenti,
come probabilmente già saprete, dalla data del 10 gennaio u.s. due regioni (Toscana e Lombardia) hanno sollevato, in breve successione temporale tra loro, questione di illegittimità dell’art.10 della c.d. “riforma della P.A.” dinnanzi alla Corte Costituzionale.
Questa decisione ci giunge particolarmente gradita, sia per la pluralità degli organi promotori, sia per il rilevante interesse dimostrato nei confronti degli istituti camerali, da parte dei Governatori e delle Giunte regionali e sia, infine, per l’accoglimento delle nostre istanze sindacali, posto che, dal 16 dicembre 2016, l’Ufficio Legislativo del CSA aveva elaborato e diffuso un parere tecnico-giuridico a riguardo.
Le tesi e gli obiettivi illustrati in tale parere – vertenti specificamente sulla necessità di estendere anche alla CCIAA le censure rivolte dalla sentenza costituzionale n. 251/2016 agli abusi e prevaricazioni della “legge Madia” – si sono infatti dimostrati strettamente coincidenti con quelli evidenziati nei ricorsi già presentati e che fungono da presupposto per una conforme statuizione del Giudice delle Leggi.
D’altronde, le violazioni del principio fondamentale della “leale collaborazione” tra Stato e Regioni, che sono già valse allo smantellamento di almeno 2/3 della legge-delega e dei decreti applicativi, non possono non trovare pedissequo esito anche a riguardo del trattamento, autoritario e arbitrariamente invasivo, che il governo Renzi ebbe ad infliggere ad una gloriosa istituzione quale è il sistema delle CCIAA. E tutto ciò, in assenza di alcuna effettiva e valida motivazione diversa dal forsennato accentramento di poteri nell’Esecutivo, simmetrico alla devastazione di qualsivoglia entità territoriale, specialmente se munita di un certo grado di autonomia giuridica, decisionale e operativa.
Tuttavia, mentre esprimiamo la nostra sincera gratitudine a quanti si sono impegnati nella difesa delle Camere di Commercio, colmando un vuoto di iniziative e azioni di autotutela che – soprattutto dopo la declaratoria di incostituzionalità concernente una vasta gamma di materie (dirigenza pubblica, Asl, ecc.), lasciava impregiudicata la questione delle CCIAA – era divenuto ancor più grave e discriminatorio, ci corre l’obbligo di stigmatizzare l’assordante silenzio riservato a quel che era accaduto, sia da parte di altre sigle sindacali che dagli stessi vertici e strutture di Unioncamere.
In proposito, va constatato (e denunciato ai lavoratori) come codesti “rappresentanti” della categoria avessero completamente abdicato ai propri ruoli istituzionali, giacché contro il “taglio” (in realtà, un dimezzamento operato con precisione chirurgica!) delle camere e dei dipendenti (nell’ordine di alcune migliaia) non si erano preoccupati di alzare un dito!
E poteva anche presumersi, quantomeno, che i suddetti “tagli” non si fermassero lì, bensì preludessero ad una prossima o graduale, ma definitiva, soppressione dell’intero sistema camerale, grazie alla cancellazione del criterio delle dotazioni organiche e all’avvento universale dei cc.dd. “indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno” (art.33, quarto comma, della riforma costituzionale Renzi/Boschi) usati in qualità di strumenti della soluzione finale di enti, istituti e piante occupazionali.
Ma, anche a fronte di simili rischi, paralleli a quelli corsi dai dipendenti delle Regioni, “esodandi” dalla mezzanotte del 4 dicembre 2016, ove la riforma del Titolo V non fosse finita nel secchio della spazzatura assieme a tutto il Ddl costituzionale bocciato dal referendum, non sembra proprio che si sia levata una pur flebile opposizione.
Ora, è da ritenersi necessario che le Camere, a seguito e nell’occasione delle impugnazioni promosse dalle menzionate due regioni (alle quali, ci si augura, possano aggiungersi altre adesioni di eguale statura), riprendano, univocamente e unitariamente, la soggettività di enti pubblici muniti delle non trascurabili attribuzioni conferite loro dalla legislazione vigente ed in continuità con una tradizione che va, semmai, sviluppata ed attualizzata, in armonia con gli scenari politico-costituzionali che potranno affermarsi in un nuovo modello di assetto e di equilibri fra poteri e autonomie.
Nel contempo, occorre valutare delle strategie di intervento affinché gli incombenti dei ricorsi alla Corte costituzionale non gravino esclusivamente sull’azione delle Regioni, bensì ricevano il contributo diretto della Unioncamere, ovvero di singoli plessi camerali anche attraverso la proposizione di ricorsi “ad adiuvandum” per quelli già al vaglio della Consulta o, in alternativa, con l’accesso a procedure incidentali consistenti nell’attivare azioni giudiziarie (civili o amministrative) nell’ambito delle quali chiedere e ottenere la rimissione degli atti processuali – previo riconoscimento della non fondatezza della questione – alla Corte, con la finalità di pervenire alla cancellazione, dall’ordinamento giuridico, del succitato art. 10 L. 124/2015.
La qual cosa, naturalmente, non esclude, anzi, deve accompagnarsi a contestuali iniziative sindacali di rivendicazione dei diritti dei dipendenti delle CCIAA, sia in termini contrattuali che salariali, all’interno di un piano di rifinanziamento, considerando che, se il dimezzamento del diritto (di contribuzione) poteva corrispondere ad un provvedimento in qualche misura propedeutico al programma di ristrutturazione delle Camere con conseguente decremento della loro redditività, efficienza e funzionalità per le utenze imprenditoriali, l’assai probabile (oltreché imminente) declaratoria di incostituzionalità dell’art. 10 cit. consente di implementare uno o più progetti di riqualificazione degli istituti camerali che possano assegnare loro un ruolo anche maggiore nel contesto delle dinamiche e delle relazioni economico-produttive del futuro.
Non va dimenticato, in tal senso, che la bocciatura della riforma costituzionale, recupera alla potestà regionale un vasto numero di funzioni quali, ad esempio, il commercio con l’estero, la gestione del mercato del lavoro e così via, la cui piena esercitabilità delinea notevoli potenzialità di ordine sociale ed economico fin’ora schiacciate dal centralismo e dal dirigismo statali, nelle quali le CCIAA dovranno svolgere un ruolo da protagoniste.
(firmata dal Responsabile Ufficio Legislativo Prof. Avv. Nicola Coco, dal Segretario Generale Francesco Garofalo, dai Capi Dipartimento Camere di Commercio CSA Lucia Grasso e Alessandro Tassi)