Le regole per esclusione delle festività infrasettimanali dal turno

L’ARAN, con il parere  n.3246/2020. ha cambiato la posizione precedentemente assunta con il parere n. 649/2020. Ora si delinea uno spazio interpretativo nuovo che apparentemente sembra superare un consolidato orientamento precedente dell’Agenzia. Agli Enti infatti è riconosciuta maggiore autonomia.
In sintesi, dunque, secondo il nuovo orientamento dell’ARAN l’Ente può decidere in autonomia di escludere dall’orario di servizio le giornate di festività infrasettimanali.
Ma di conseguenza le stesse non possono essere prese in considerazione neppure ai fini dell’articolazione settimanale dell’orario di lavoro.
Tuttavia la decisione di non rendere la prestazione dovuta in giornata festiva infrasettimanale afferisce alla sola autonomia gestionale del singolo ente, il quale dovrà assumersi ogni forma di responsabilità in ordine all’interruzione del servizio istituzionale.
Questo anche in presenza di una organizzazione di lavoro per turni che l’Ente ha adottato per garantire proprio la continuità del servizio, nel rispetto della regolamentazione contrattuale.
Inoltre, ultimo punto, ma non meno importante: per il personale turnista viene meno l’obbligo della prestazione lavorativa. E cade il vincolo della perfetta coincidenza tra orario di lavoro e orario di servizio per il turnista, presente nel vecchio parere dell’ARAN.



Riforma TUEL: verso un sistema autonomistico?

tratto da Italia Oggi del 28.08.2020

Il sottosegretario all’Interno analizza alcuni dei punti centrali dell’attesa operazione Revisione Tuel, occasione unica – Variati: è il momento di ripensare il sistema autonomistico

La contesa del potere amministrativo tra regioni, province e comuni, il ruolo delle autonomie, il rafforzamento della posizione istituzionale di province e città metropolitane, un aggiornamento delle norme sugli enti locali. Il sottosegretario all’interno e componente della presidenza di Ali, Achille Variati, analizza alcuni punti centrali della tanto attesa revisione organica del Tuel.

Le autonomie locali vivono una frammentazione normativa e non al passo con le trasformazioni legate alle esigenze dei servizi nel territorio. Da dove si ripartirà per una revisione organica del Tuel che affronti contemporaneamente i nodi irrisolti e i limiti della Delrio?

Risposta. Il lavoro intrapreso dal governo, anche attraverso la costituzione di un gruppo di esperti presso il Mininterno, presieduto dal presidente emerito del consiglio di stato, Alessandro Pajno, mira, innanzitutto, a conseguire un obiettivo prioritario: quello di dare finalmente piena attuazione all’assetto costituzionale definito con la riforma del 2001, dando vita ad una vera e propria carta delle autonomie. La revisione organica del Tuel, quindi, non è dettata solo dall’esigenza di aggiornare l’insieme delle norme sugli enti locali che in questi anni si sono succedute, quanto invece essa è l’occasione per ripensare a fondo il sistema autonomistico del paese, affinché possa trovare piena corrispondenza rispetto ai principi costituzionali che la riforma di quasi 20 anni fa ha innovativamente introdotto. Si rendono necessari interventi che rafforzino, soprattutto per le province e le città metropolitane, la loro posizione istituzionale rispetto a quanto previsto dal legislatore statale con la legge 56/14. Le scelte concrete saranno valutate dal governo e dal parlamento, ovviamente, ma la strada maestra non può che essere questa, al fine di superare i limiti di quella frammentazione normativa di questi ultimi anni e, non ultimo, le scelte legislative che risentivano di una prospettiva volta a una ulteriore riforma costituzionale, che è venuta meno con il referendum nel 2016.

Quale ruolo per le province e le città metropolitane nell’ambito della riforma complessiva delle autonomie territoriali?

Senza dubbio, centrali nella revisione del Tuel saranno le norme relative proprio a province e città metropolitane, che sono state oggetto della disciplina legislativa più recente, concepita, però, quale normativa anticipatoria di una revisione costituzionale che non c’è più stata e che avrebbe previsto la soppressione delle province. Al riguardo non possiamo non constatare, come il tema dell’area vasta sia inevitabilmente tornato centrale, proprio perché le esperienze maturate in questi ultimi anni hanno dimostrato come non si possa prescindere da un forte livello di governo intercomunale. Quindi, senza volere prefigurare una mera quanto inattuale restaurazione del passato, le province devono ritrovare la loro adeguata configurazione, in termini di funzioni, risorse e mezzi, nonché anche sul piano di una maggiore capacità rappresentativa dei territori, che assolva alla duplice finalità di garantire un più stretto legame con le comunità territoriali e, allo stesso tempo, sviluppare l’innovazione più recente che le ha configurate quali case dei comuni. Allo stesso tempo, il rafforzamento provinciale deve legarsi strettamente con la ulteriore qualificazione del ruolo delle città metropolitane, al fine di caratterizzarne la specificità, sia sul piano territoriale, che sul quello funzionale e della organizzazione di governo, rispetto ad aree che, per la loro peculiarità non possono essere equiparate, per bisogni, interessi e interrelazioni, alle altre aree vaste del paese. Peraltro, non va neppure sottaciuto il ruolo che i comuni, soprattutto quelli di minori dimensioni, sono chiamati a giocare attraverso una consapevole scelta associativa, che garantisca, per l’intero paese, una capacità effettiva della dimensione comunale nell’esercizio del ruolo fondamentale che la Costituzione ad essi attribuisce. Solo così avremo un sistema autonomistico organico, connotato da un forte ruolo comunale, e da una dimensione di governo di area vasta ordinato ed efficace.

La contesa del potere amministrativo tra regioni, province e comuni è problema che riguarda la vita quotidiana degli enti. Va affrontato e risolto.

L’amministrazione al servizio dei cittadini deve, per quanto possibile e in relazione alla dimensione delle funzioni e all’adeguatezza degli enti, essere allocata a un livello quanto più prossimo ai cittadini. È un obiettivo, non solo di mera organizzazione amministrativa o funzionale, ma di piena realizzazione di quel sistema autonomistico che vogliamo realizzare, e che chiama anche le regioni a compiere tutte le scelte più opportune e adeguate affinché vengano riallocate le competenze a favore degli enti locali. Le regioni hanno un complesso compito legislativo e programmatorio, ma devono lasciare il potere amministrativo il più possibile agli enti locali.




Ammesse le POER in attesa dei concorsi pubblici per dirigenti

tratto da giustizia-amministrativa.it
Per la Corte Costituzionale è legittima, nelle more dell’espletamento di concorsi per dirigenti, la previsione di incarichi non dirigenziali temporanei per il personale già in servizio
La Consulta dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale relative alle disposizioni contenute nell’art. 1, comma 93, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, con cui: da un lato, in attesa di espletare i concorsi pubblici per il reclutamento di dirigenti delle Agenzie fiscali, vengono istituite specifiche posizioni organizzative (POER) da affidare previa procedura selettiva a funzionari interni delle medesime Agenzie; dall’altro lato, con riguardo alle ridette procedure concorsuali da svolgere si prevede per i dipendenti delle Agenzie fiscali, qualora in possesso di determinati requisiti professionali e di esperienza, la possibilità di evitare le prove preselettive nonché di aspirare sino al 50% dei posti dirigenziali messi a concorso.



Compenso incentivante da liquidare anche se l’opera pubblica non è realizzata

tratto da leggiditalia.it
La PO dell’area tecnica e RUP al fine di ottenere il compenso incentivante ai sensi dell’art. 113, comma 2D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 ha presentato una “dichiarazione sulla corretta effettuazione delle attività e prestazioni affidategli e sullo svolgimento delle stesse senza errori e/o ritardi” e predisposto la relativa determina di liquidazione. Tra gli appalti per i quali si chiede l’incentivo se ne riscontra uno in particolare che ha dato avvio ad un lungo contenzioso con sentenza del Consiglio di Stato che ha dato ragione al ricorrente. Si chiede se sussistono elementi per non liquidare l’incentivo per il caso in questione ed chi può decidere nel merito (segretario/giunta).
Il quesito proposto trova risposta in una recente sentenza della Corte di Cassazione Civile, Sez. lavoro n. 10222 del 28 maggio 2020.
Nel caso di specie è esaminata una vicenda in cui gli incentivi tecnici non sono stati liquidati dall’Ente perchè l’opera pubblica non è stata più realizzata ma le conclusioni cui sono addivenuti i giudici sono assimilabili al caso odierno.
Nello specifico, la Corte di Cassazione, sconfessando il Regolamento di cui l’Ente si era dotato (che prevedeva appunto il pagamento degli incentivi soltanto alla conclusione dell’opera) ha sancito il principio secondo il quale “la sorte della retribuzione accessoria reclamata dai dipendenti non può essere condizionata alla mancata conclusione delle successive fasi (oppure nel caso di specie dalla soccombenza ad un contenzioso), tanto che in mancanza di queste ultime verrebbero meno le precedenti attività pur completate”.
Tale conclusione è molto importante e deriva dal fatto che i citati incentivi derogano alla disciplina generale del trattamento accessorio dettata dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (art. 45), in quanto il legislatore ha previsto, in una logica premiale ed al fine di valorizzare le professionalità esistenti all’interno delle pubbliche amministrazioni, un compenso ulteriore, da attribuire, secondo le modalità stabilite dalle diverse versioni della norma succedutesi nel tempo, al personale impegnato nelle attività di progettazione interna agli enti oltre che in quelle di esecuzione dei lavori pubblici.
A nostro parere, pertanto, l’incentivo è comunque da riconoscere e liquidare al personale dell’Ente per le specifiche attività svolte, secondo le previsioni del proprio regolamento comunale, fermo restando l’eventuale accertamento (con conseguente mancata partecipazione alla ripartizione degli incentivi), a carico dei dipendenti coinvolti, del mancato rispetto di obblighi di legge e/o regolamentari o il mancato svolgimento dei compiti assegnati secondo la dovuta diligenza richiesta (se previsto nel proprio regolamento).



Le assunzioni di personale nelle Comunità Montane

tratto da risponde.leggiditalia.it

Si chiede se il nuovo D.M. 17 marzo 2020, in materia di assunzioni di personale da parte dei comuni, sia o meno applicabile alle Comunità Montane (qualificate come unioni di comuni dall’art. 27 del TUEL). L’ambito soggettivo di applicazione di detta novella normativa, parrebbe limitato ai soli comuni e, infatti: – lo stesso D.M. 17 marzo 2020, nell’epigrafe, indica solo “il personale a tempo indeterminato dei comuni” e, nell’art. 1, co. 2, specifica che “Le disposizioni…, si applicano ai comuni…”, – l’art. 33, comma 2, D.L. 30 aprile 2019, n. 34, di cui il D.M. 17 marzo 2020 costituisce attuazione, si riferisce esclusivamente ai comuni e i commi precedenti sono riferiti alle regioni (comma 1) e alle province/città metropolitane (comma 1-bis). Orbene, se si esclude – per come sembrerebbe -l’applicabilità alle comunità montane/unioni di comuni della novellata normativa sulle capacità assunzionali dei comuni, qual potrebbe essere la normativa applicabile, se non quella precedente al D.M. 17 marzo 2020?

Per rispondere al quesito proposto, come giustamente segnalato, non possiamo che rifarci alla lettura della previsione normativa e pertanto evidenziare come quanto disciplinato dall’art. 33, comma 2, D.L. 30 aprile 2019, n. 34 e del D.M. 17 marzo 2020 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27 aprile 2020 (nonché quanto descritto nella successiva circolare applicativa) non è applicabile alle Unioni, ai Consorzi o alle Comunità Montane (come qualificati dal TUEL), ma esclusivamente ai Comuni.
Per ciò che concerne la seconda domanda posta all’attenzione, per le Unioni dei Comuni/Comunità montane non possono che applicarsi, in riferimento alla capacità assunzionale, le seguenti norme che non sono state in alcun modo abrogate (in attesa di eventuali e futuri interventi da parte del legislatore):
– il comma 229 dell’art. 1, L. n. 208/2015: “a decorrere dall’anno 2016, fermi restando i vincoli generali sulla spesa di personale, (…) le unioni di comuni possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 100 per cento della spesa relativa al personale di ruolo cessato dal servizio nell’anno precedente”;
– l’art. 32, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL) che prevede che “i comuni possono cedere integralmente o parzialmente i propri spazi assunzionali all’unione di cui fanno parte”.
Pertanto, appare chiaro come, oltre al 100% del turnover previsto dalla norma speciale di cui al comma 229 dell’art. 1, L. n. 208/2015, le unioni dei comuni potranno vedersi trasferire dai comuni facenti parte anche i nuovi “spazi di limite” come disciplinati dalla nuova normativa già richiamata.
In aggiunta a questi spazi, va ricordato che l’art. 33, comma 2, D.L. 30 aprile 2019, n. 34 e il relativo decreto ministeriale prevedono per i Comuni sotto i cinquemila abitanti che si collocano nella fascia virtuosa al di sotto della percentuale della Tabella 1, ma che non riescono con la capacità che ne deriva a completare nemmeno un’assunzione, un «bonus»: potranno cioè espandere fino a 38.000 euro la capacità assunzionale derivante dal loro calcolo, una-tantum e potendola sfruttare entro il 2024, a patto che l’assunzione sia effettuata dal Comune e che questo comandi poi l’unità in favore dell’Unione, che si farà carico del costo relativo.




Coronavirus: la quarantena equivale a periodo di malattia

Con il riaccendersi dei focolai Covid-19, torna di attualità una delle prime misure urgenti prese dal Governo con il decreto Cura Italia: i lavoratori che sono posti in quarantena per contenere il rischio di contagio da Coronavirus, hanno diritto alla prestazione lavorativa della malattia.

In pratica, i giorni trascorsi a casa (la quarantena dura 15 giorni) non si calcolano ai fini del superamento del periodo di comporto e vengono altresì retribuiti. Il riferimento è l’articolo 26, comma 1, del decreto 18/2020. Quanto previsto dal Legislatore riguarda il periodo trascorso in isolamento con sorveglianza attiva (persone che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva) o in permanenza domiciliare fiduciaria (cioè che hanno fatto ingresso in Italia da zone a rischio) dei lavoratori dipendenti.

La seconda definizione resta valida e si applica anche declinata in base a specifiche ordinanze locali legate al rischio di contagio da Coronavirus. In ogni caso, è il Dipartimento di prevenzione della Asl a disporre il provvedimento di quarantena o sorveglianza in base alle indicazioni che possono arrivare dalla persone stessa, dall’azienda o dai medici di base.

Questi ultimi redigono il certificato, specificando gli estremi del provvedimento che ha dato origine alla quarantena con sorveglianza attiva o alla permanenza domiciliare. Il provvedimento può venire emesso dall’autorità sanitaria in relazione a una delle notizie sopra riportate.

Esempio: un lavoratore segnala di avere avuto un contatto stretto con un caso confermato di Covid. L’azienda provvede ad avvisare l’autorità sanitaria (ci sono appositi numeri di emergenza per il Covid-19 forniti dalla Regione o dal ministero della Salute) che a sua volta prende le contromisure indicate.

I medici di base hanno precise indicazioni da parte delle autorità e di conseguenza sanno esattamente quando prescrivere la quarantena. Ricordiamo che l’indicazione del ministero è quella di rivolgersi al medico di base, chiamandolo al telefono, evitando invece di andare in pronto soccorso o in ambulatorio. La quarantena, come è noto, dura 15 giorni.

Attenzione: sono considerati validi i certificati di malattia trasmessi, prima dell’entrata in vigore del decreto Cura Italia (quindi, prima del 17 marzo), anche in assenza dell’indicazione del provvedimento in base al quale si dispone la quarantena.

La quarantena equivale a un periodo di malattia. Ed è quindi retribuita di conseguenza. E non vale ai fini del periodo di comporto (il numero massimo di giorni in cui un lavoratore può stare a casa per malattia mantenendo il diritto al posto di lavoro).

Contatti a rischio

Specifichiamo cosa significa , in base alle indicazioni del Ministero della Salute:

  • persona che vive nella stessa casa di un caso di COVID-19;
  • una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso di COVID-19 (per esempio la stretta di mano);
  • persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso di COVID-19 (ad esempio toccare a mani nude fazzoletti di carta usati);
  • persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso di COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di durata maggiore a 15 minuti;
  • persona che si è trovata in un ambiente chiuso (ad esempio aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso di COVID-19 per almeno 15 minuti, a distanza minore di 2 metri;
  • operatore sanitario od altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso di COVID19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso di COVID-19 senza l’impiego dei DPI raccomandati o mediante l’utilizzo di DPI non idonei;
  • persona che abbia viaggiato seduta in aereo nei due posti adiacenti, in qualsiasi direzione, di un caso di COVID-19, i compagni di viaggio o le persone addette all’assistenza e i membri dell’equipaggio addetti alla sezione dell’aereo dove il caso indice era seduto (qualora il caso indice abbia una sintomatologia grave od abbia effettuato spostamenti all’interno dell’aereo, determinando una maggiore esposizione dei passeggeri, considerare come contatti stretti tutti i passeggeri seduti nella stessa sezione dell’aereo o in tutto l’aereo).

C’è una precisazione per i datori di lavoro: gli oneri connessi alla quarantena, per i quali si presenta domanda agli enti previdenziali, sono a carico dello Stato.

Sottolineiamo infine che sono diverse le regole che si applicano ai dipendenti in possesso del riconoscimento di disabilità grave (articolo 3, comma 3, legge 104/1992), nonché in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita: in questi casi, fino al 30 aprile, il periodo di assenza dal servizio prescritto dalle competenti autorità sanitarie, è equiparato al ricovero ospedaliero.




Milano: meno smart working, più flessibilità

Il Comune di Milano ha tracciato, per settembre, un piano di rientro che coinvolge la metà dei suoi 7mila dipendenti ancora a casa. Adesso la quota di telelavoro sarà limitata al massimo al 50%: quindi, 3.500 sui 15mila totali.

La decisione è stata presa dal Sindaco Sala proprio sulla base delle considerazioni che, in tempi non sospetti, aveva fatto il nostro Segretario Generale. Ovvero, se da un lato il lavoro agile comporta molto risparmi sia per le amministrazioni  che per i lavoratori stessi, dall’altro ha avuto un impatto molto negativo sulle economie della città: meno contratti d’affitto, meno introiti per bar, ristoranti e servizi alla persona.

Allora, invece di lasciare la gente a casa, meglio ragionare sulla flessibilità: orari personalizzabili, ingressi posticipati fino alle 11 e possibilità di recuperare le ore di sabato.

L’obiettivo è avere “orari sempre meno collettivi e sempre più individuali o per gruppi”. Almeno fino all’inverno, quindi, la pubblica amministrazione lavorerà con “con un mix di lavoro in presenza e in remoto“. Lo smartworking non sparirà, quindi, ma verrà effettuato al massimo dal 50% dell’organico “a rotazione” privilegiando le “fasce deboli“, chi ha particolari esigenze e le categorie più fragili. Tutti gli altri in ufficio, anche se con orari più flessibili e, per la prima volta, con il recupero il sabato. E con un’attenzione più alta: il piano del Comune prevede una costante “vigilanza sanitaria con una campagna per il vaccino anti-influenzale e test sierologici“.

Per i servizi allo sportello invece si procederà ancora con le “interlocuzioni programmate“, quindi per appuntamento, in modo da evitare code e assembramenti. Il comune ha poi rivolto un invito “a incentivare la flessibilità anche nelle aziende private” in modo da “conciliare anche le esigenze di cura dei piccoli e di evitare la congestione del traffico negli orari di punta“.




L’ARAN sulle prerogative dei sindacati non rappresentativi

Una organizzazione sindacale che pur non essendo rappresentativa ha nell’ente molti iscritti può chiedere il riconoscimento di diritti sindacali come informazione, accesso ai luoghi di lavoro per lo svolgimento di attività sindacale, uso locali, bacheca sindacale, fondando le proprie richieste sugli artt. 3 e 39 della Cost., sull’art. 14 dello Statuto dei Lavoratori e sull’art. 43, comma 12, del D.Lgs. 165/2001?
Le richiamate garanzie costituzionali sono state trasfuse a livello di legislazione nazionale nella L. 300/1970. Lo Statuto dei lavoratori, pur garantendo, con l’art. 14, a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, nel titolo III dedicato ai diritti e alle prerogative sindacali ne individua i titolari nelle RSA di cui all’art. 19 della legge citata. Pertanto, anche nello Statuto dei Lavoratori diritti sindacali come la bacheca (art. 25) e i locali (art. 27) non sono attribuiti a qualunque organizzazione sindacale ma esclusivamente a quelle a cui è consentito costituire le RSA (sul punto cfr. sentenza Corte Cost. n. 231/2013).
Nel settore pubblico, come noto, il rapporto di lavoro dei dipendenti è regolato dal D.Lgs. 165/2001 (T.U. sul pubblico impiego) il quale all’art. 42, intitolato “Diritti e prerogative sindacali nei luoghi di lavoro” afferma che: “Nelle pubbliche amministrazioni la libertà e l’attività sindacale sono tutelate nelle forme previste dalle disposizioni della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni. Fino a quando non vengano emanate norme di carattere generale sulla rappresentatività sindacale che sostituiscano o modifichino tali disposizioni, le pubbliche amministrazioni, in attuazione dei criteri di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b) della legge 23 ottobre 1992, n. 421, osservano le disposizioni seguenti in materia di rappresentatività delle organizzazioni sindacali ai fini dell’attribuzione dei diritti e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro e dell’esercizio della contrattazione collettiva.”
Conseguentemente, come affermato dalla Corte di Cassazione sez. lavoro nella sentenza n. 3095 dell’8 febbraio 2018 “L’art. 42 (…) pur richiamando nell’incipit le tutele previste dalla legge n. 300 del 1970, obbliga le amministrazioni ad osservare «le disposizioni seguenti in materia di rappresentatività delle organizzazioni sindacali ai fini dell’attribuzione dei diritti e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro e dell’esercizio della contrattazione collettiva», disposizioni che regolano la materia in termini diversi rispetto al settore privato”.
Il requisito della rappresentatività sindacale, richiesto dall’art. 42 del D.Lgs. 165/2001 per poter accedere ai diritti e alle prerogative, è stato altresì ribadito nel CCNQ sulle modalità di utilizzo delle suddette prerogative stipulato, ai sensi dell’art. 50, comma 2, del D.Lgs. 165/2001, il 7 agosto 1998 (ora sostituito dal CCNQ 4 dicembre 2017). Si rammenta, in proposito, che le amministrazioni sono tenute ad applicare i contratti collettivi sottoscritti dell’Aran ai sensi dell’art. 40, comma 4 del d.lgs. n. 165/2001.
Nel citato CCNQ del 4 dicembre 2017, all’art. 39, comma 1, si conferma nuovamente che “tutte le prerogative sindacali disciplinate nel presente contratto (…) ai sensi del d.lgs. 165/2001 e del D.M. 23 febbraio 2009, non competono alle organizzazioni sindacali non rappresentative…”.
Alla luce delle sopracitate considerazioni un sindacato non rappresentativo nel comparto di riferimento non ha diritto ad alcun diritto e prerogativa sindacale.
Quanto infine al richiamato art. 43, comma 12, del D.Lgs. 165/2001 si evidenzia che la norma fa riferimento al gruppo di disposizioni (dal comma 8 al comma 12) riguardanti la costituzione e il funzionamento del Comitato paritetico, organismo previsto dalla legge con la finalità di garantire modalità di rilevazione dei dati certe ed obiettive, chiamato a certificare i dati che saranno utilizzati dall’Aran per il calcolo della rappresentatività sindacale. Il comma 12, in particolare, va letto nel senso che tutte le organizzazioni sindacali i cui dati associativi ed elettorali nel corso delle periodiche rilevazioni sono stati raccolti dall’Aran e sottoposti alla verifica del Comitato paritetico hanno diritto ad adeguate forme di informazione e di accesso ai dati che le riguardano. L’esplicitazione di tale assunto è rinvenibile, da ultimo, nell’art. 7, comma 5, del Regolamento di funzionamento del Comitato Paritetico (2019 – 20121) del 7 febbraio 2018 che regola appunto le modalità di accesso ai propri dati per le organizzazioni sindacali non rappresentative e, quindi, non rappresentate con propri delegati all’interno del Comitato Paritetico.
Pertanto, il citato comma 12 dell’art. 43 del D.Lgs. 165/2001 non attiene all’informazione intesa come modalità relazionale. Quest’ultima, invece, è disciplinata dai singoli CCNL di comparto o area.



I permessi elettorali per le Amministrative

Tutti i lavoratori dipendenti che siano stati nominati componenti della sezione elettorale compresi i rappresentanti di lista/gruppo in occasione di qualsiasi tipo di consultazione elettorale hanno diritto di assentarsi dal lavoro per il periodo corrispondente alla durata delle operazioni di voto e di scrutinio.

I giorni di assenza sono considerati dalla legge giorni di attività lavorativa, anche se l’attività prestata per lo svolgimento delle operazioni elettorali copre una sola parte della giornata, l’assenza, è legittimata per tutto il giorno lavorativo che, quindi, deve essere retribuito interamente.

1.le giornate trascorse al seggio, coincidenti con l’orario lavorativo, danno diritto ad un’assenza retribuita e al dipendente viene corrisposta la normale retribuzione;

2.i giorni festivi o comunque non lavorativi possono essere compensati con quote giornaliere di retribuzione oppure mediante la fruizione di giornate intere di riposo compensativo;

3.operazioni di scrutinio che si protraggono oltre la mezzanotte: anche se solo per poche ore, dopo la mezzanotte del lunedì i lavoratori hanno diritto di assentarsi per l’intera giornata lavorativa del martedì e spetta loro l’intera retribuzione.

Le assenze per permessi elettorali devono essere giustificate dal lavoratore mediante la presentazione di idonea documentazione: gli interessati devono comunicare preventivamente  al datore di lavoro le assenze e presentare certificato di chiamata inviato dall’ufficio elettorale competente e successivamente esibire la copia del certificato firmata dal presidente di seggio, con l’indicazione della data e dei relativi orari di inizio e chiusura delle operazioni.

Sono previsti altresì, permessi elettorali per soggetti che ricoprono cariche pubbliche nelle amministrazioni degli enti locali: sindaci, membri dei consigli comunali, presidenti; nella misura pari alle ore necessarie per il raggiungimento della sede e lo svolgimento della riunione, predisponendo l’ assenza per l’intera giornata successiva se si protrae oltre la mezzanotte.

Non sono più previsti specifici permessi per lo svolgimento della campagna elettorale in qualità di candidato alle elezioni. Solo nel comparto pubblico è possibile, per il personale a tempo indeterminato, fruire a tal fine dei permessi retribuiti previsti contrattualmente.

I lavoratori che non rientrano in tale categoria, hanno diritto a fruire dei permessi previsti contrattualmente, ma in questo caso si tratta di permessi non retribuiti.




La Cassazione sulle sanzioni disciplinari espulsive e conservative

Il legislatore, con l’introduzione delle disposizioni di cui all’art. 55-quater del D.Lgs. n. 165/2001, pur facendo salva la disciplina generale in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo, ha tipizzato specifiche ipotesi di licenziamento disciplinare nel modo seguente:

  1. a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;
  2. b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione;
  3. c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per motivate esigenze di servizio;
  4. d) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera; e) reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell’onore e della dignità personale altrui;
  5. f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro;

f-bis) gravi o reiterate violazioni dei codici di comportamento, ai sensi dell’art. 54, comma 3;

f-ter) commissione dolosa, o gravemente colposa, dell’infrazione di cui all’art. 55-sexies, comma 3;

f-quater) la reiterata violazione di obblighi concernenti la prestazione lavorativa, che abbia determinato l’applicazione, in sede disciplinare, della sospensione dal servizio per un periodo complessivo superiore a un anno nell’arco di un biennio;

f-quinquies) insufficiente rendimento, dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza, e rilevato dalla costante valutazione negativa della performance del dipendente per ciascun anno dell’ultimo triennio, resa a tali specifici fini ai sensi dell’art. 3, comma 5-bis, D.Lgs. n. 150 del 2009.

Con tali disposizioni, precisano i giudici di legittimità, sono state introdotte fattispecie legali di licenziamento aggiuntive rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva. In questo caso il legislatore ha anche affermato con chiarezza, con il precedente articolo 55, comma 1, la preminenza della disciplina legale rispetto a quella di fonte contrattuale; quest’ultima, quindi, non può essere più invocata ove in contrasto con la norma inderogabile di legge, venendo in tal caso sostituita di diritto da quest’ultima, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 c.c.

In conclusione, per queste ipotesi tipizzate di licenziamento disciplinare, restano prive di effetto le clausole della contrattazione collettiva che prevedano una sanzione conservativa, anziché di natura espulsiva.

 

I poteri dei giudici di merito

Risolto il problema delle sanzioni espulsive tipizzate dal legislatore, restano da verificare le altre sanzioni disciplinari e i poteri dei giudici in presenza di una sanzione disciplinare conservativa prevista dalla contrattazione collettiva. In questo caso, precisano i giudici di Cassazione, le previsioni della contrattazione collettiva che individuano le fattispecie di licenziamento disciplinare non vincolano il giudice di merito, essendo quella della giusta causa e del giustificato motivo una nozione legale. Tale principio, tuttavia, subisce una eccezione ove la previsione negoziale ricolleghi ad un determinato comportamento disciplinarmente rilevante unicamente una sanzione conservativa. In quest’ultimo caso, il giudice è vincolato dal contratto collettivo, trattandosi di una condizione di maggior favore fatta espressamente salva dal legislatore (art. 12, L. n. 604 del 1966). In altri termini, qualora alla violazione disciplinare del dipendente pubblico sia ricollegata dalla contrattazione collettiva una sanzione conservativa, il giudice non può estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall’autonomia delle parti.

Pertanto, continua il giudice di legittimità, il giudice è vincolato dalla previsione del contratto collettivo che ricolleghi ad un determinato comportamento giuridicamente rilevante solamente una sanzione conservativa. Di tale indicazione è proprio il legislatore a precisarlo, nel comma 2 dell’art. 55 del D.Lgs. n. 165/2001, secondo cui – salvo quanto previsto delle disposizioni dello stesso capo – la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi.

 




La responsabilità amministrativa dei dipendenti degli enti locali

Lo studio, a cura del Consigliere della Corte dei Conti Andrea Luberti, chiarisce i principali elementi della responsabilità amministrativa e contabile, anche alla luce delle più recenti novità normative e giurisprudenziali, con alcuni riferimenti   ai principali temi di diritto processuale.

 

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INPS: Sono ripartite le visite fiscali

(Messaggio Hermes/INPS)

Dal 10 agosto 2020 sono riprese le visite mediche di controllo domiciliare e ambulatoriale (VMC) nei confronti dei lavoratori incapaci temporaneamente al lavoro per malattia.gli accertamenti medico legali, che erano state sospese nella fase di picco della  emergenza sanitaria da COVID-19 col dal D.P.C.M. 9 marzo 2020.

Nell’ottica di tutelare al massimo i lavoratori, i medici di controllo incaricati del servizio, il personale dell’Istituto e i medici convenzionati operanti presso le Unità Operative territoriali Semplici o Complesse (di seguito UOC/UOST), sono stati previsti alcuni interventi procedurali e gestionali che vengono di seguito illustrati.

  1. Fornitura dei dispositivi di protezione

Il personale sanitario della UOC/UOST di competenza deve essere dotato dei dispositivi di sicurezza normativamente previsti (DPI), indicati nell’allegato al citato messaggio n. 2351/2020. I medici di controllo dovranno provvedere autonomamente a dotarsi dei medesimi DPI attenendosi scrupolosamente al rispetto delle indicazioni fornite dall’Inps.Una volta eseguito tale prioritario adempimento e consentita quindi anche l’attività ambulatoriale di Sede, sarà cura dei Direttori, responsabili delle Strutture territoriali delle UOC/UOST di appartenenza, inviare apposita richiesta, avente ad oggetto “Richiesta ripresa attività VMC”, per gli interventi procedurali che riguarderanno tutte le Agenzie afferenti al proprio territorio.

  1. Attività delle Unità Operative territoriali Semplici o Complesse

Ai medici dipendenti, convenzionati e fiscali, è raccomandato di attenersi scrupolosamente alle indicazioni contenute nel messaggio n. 984/2020 e alle nuove indicazioni operative medico-legali che saranno inviate dal Coordinamento Generale Medico Legale ai responsabili medici delle UOC/UOST delle Strutture territoriali dell’Istituto.

  1. Certificazione di malattia e predisposizione VMC

In una prima fase di attività verrà incrementata la percentuale delle visite disposte d’ufficio rispetto a quelle datoriali. Ciò al fine di garantire che le VMC vengano eseguite solo a fronte di accurata valutazione medico-legale sulla certificazione di malattia pervenuta.Pertanto, si raccomanda l’applicazione da parte delle UOC/UOST delle istruzioni già fornite con il messaggio n. 984/2020 in merito alla gestione delle certificazioni di malattia – riferite ai lavoratori privati aventi diritto alla tutela previdenziale della malattia e ai lavoratori pubblici afferenti al Polo unico (D.lgs n. 75/2017) – e alla necessità di selezionare in modo adeguato le VMC, tenendo in debita considerazione la diagnosi riportata sul certificato, a fronte della grave situazione infettiva emergenziale.

Le VMC verranno quindi proposte, come di consueto, dalla procedura SAViO, tra quelle individuate dal medico della Struttura territoriale di competenza.

Anche nella procedura “gestione malattia marittimi”, dovrà essere selezionato dal medico di Sede un numero adeguato di VMC su certificati con diagnosi non critica.

Per quanto sopra detto, è particolarmente importante che i medici delle UOC/UOST preposte provvedano quotidianamente alla verifica dei certificati di malattia, nelle procedure sopra indicate, avendo cura di valutare sotto il profilo medico legale le certificazioni da escludere dai controlli (per possibile rischio da COVID-19).

Si informa che prima della ripresa delle assegnazioni si è provveduto con intervento tecnico centrale ad azzerare, in procedura VMC, il contenitore delle richieste VMC d’ufficio nei confronti dei lavoratori privati e pubblici.In vista della ripresa delle VMC, le UOC/UOST dovranno altresì procedere alla predisposizione dei calendari, come di consueto, per l’inserimento delle disponibilità dei medici di controllo.

  1. Gestione dei verbali delle VMCD

Il medico di controllo impossibilitato ad effettuare l’accesso al domicilio del lavoratore, per sospetta situazione infettiva, dovrà attenersi a quanto previsto nel citato messaggio n. 984/2020, chiudendo il verbale con un esito B “accesso”, scegliendo l’opzione “altro” e compilando il campo note con informazioni accurate e dettagliate della situazione riscontrata in fase di triage anamnestico senza procedere a predisporre alcun invito a VMC ambulatoriale per il lavoratore (opzione “Impossibilità a lasciare invito”).Il suddetto medico dovrà, inoltre, procedere a comunicare immediatamente alla UOC/UOST competente l’avvenuto “accesso – esito B” specificando il numero del verbale e la condizione indicata nelle motivazioni, per le successive attività da parte della Struttura territoriale.

Con riguardo a tali attività, confermando le indicazioni già fornite (cfr. il messaggio n. 984/2020), l’operatore sanitario o il medico della UOC/UOST di competenza procederà alla visione/validazione del verbale di accesso in procedura gestionale e alla definizione della VMC ambulatoriale creata come “impropria”; la pratica di accesso domiciliare verrà “giustificata” sanitariamente, inserendo nel campo note le specifiche notizie acquisite dal verbale di accesso del medico di controllo. Conseguentemente, non verrà generata alcuna sanzione di tipo amministrativo.

Nei casi, invece, in cui il lavoratore non venga trovato al proprio domicilio di reperibilità, si procederà come di consueto e verrà rilasciato apposito invito a VMC ambulatoriale, mediante i modelli “SR 147” e “SR 177” (Allegati n. 1 e n. 2), opportunamente rivisti e disponibili nella sezione modulistica della Intranet dell’Istituto, al fine di prevedere, ove possibile, prima dell’accesso all’ambulatorio della UOC/UOST da parte del lavoratore, un triage telefonico. Sarà cura del medico fiscale inserire sul modulo di invito a VMC ambulatoriale lo specifico indirizzo e-mail della UOC/UOST di competenza.

  1. Visite Mediche di Controllo Ambulatoriali e giustificazioni

Con riguardo alle modalità operative, nonché alle misure di protezione sanitaria (DPI) per l’effettuazione delle VMC ambulatoriali, considerato che le stesse rappresentano un’attività di visita ambulatoriale assimilabile alle altre visite eseguite in ambito assistenziale e previdenziale, si richiamano preliminarmente le disposizioni generali già fornite dall’Istituto in ottica di prevenzione di possibili rischi di contagio da COVID-19.

Si evidenziano di seguito alcuni aspetti peculiari delle VMC ambulatoriali, in ambito di medicina fiscale, prevedendo, in relazione alla specifica situazione emergenziale, le seguenti attività:

  • effettuazione del triage telefonico: l’infermiere o il medico della UOC/UOST competente, ricevuta la comunicazione da parte del lavoratore assente al controllo domiciliare sulla casella di posta elettronica dedicata (come indicato nei predetti modelli) opportunamente presidiata, provvederà a contattare il lavoratore e a fornire le informazioni acquisite al responsabile medico della Struttura territoriale. Qualora, invece, il lavoratore si presenti presso l’ambulatorio della UOC/UOST, senza aver preventivamente trasmesso alcuna comunicazione per consentire il triage telefonico, la visita ambulatoriale non verrà eseguita, considerato l’accesso contingentato e solo su prenotazione degli utenti presso le Sedi, sulla base dell’Accordo sopra citato. Si procederà, quindi, a programmare per la prima data utile apposita visita ambulatoriale dandone comunicazione al lavoratore, che dovrà comunicare il proprio recapito telefonico per poter comunque essere contattato per il necessario triage preventivo.Verrà tenuta annotazione dei dati anagrafici del lavoratore che ha effettuato il triage telefonico in apposito registro unitamente all’esito del colloquio, per ogni eventuale possibile successiva attività istruttoria di tipo amministrativo;
  • gestione della VMC ambulatoriale: qualora il medico stabilisca l’impossibilità ad effettuare la visita, si procederà alla gestione della VMC ambulatoriale con verbale cartaceo, nel quale verranno inserite tutte le specifiche in merito alla valutazione del triage appena effettuato. Nella funzione “acquisizione esito verbale cartaceo” disponibile in procedura VMC si inserirà, come indicato nelle allegate istruzioni procedurali (Allegato n. 3), esclusivamente l’esito (conferma prognosi o prognosi al curante in caso di visita nell’ultimo giorno di prognosi utile). In tal modo, verranno interrotti gli effetti dell’eventuale applicazione della sanzione amministrativa per l’assenza del lavoratore a VMC domiciliare e non verrà generata alcuna sanzione per la VMC ambulatoriale;
  • valutazione giustificazioni prodotte per assenza a VMC domiciliare: il medico della UOC/UOST dovrà comunque procedere alla valutazione dei motivi di assenza al domicilio del lavoratore nelle consuete modalità.

Da consultare inoltre:

Nuovo regolamento visite fiscali (DPCM 206-del-17-ottobre-2017)

Polo Unico per le visite fiscali. Riepilogo e aggiornamento delle disposizioni vigenti



Assunzioni, occhio alle sanzioni

tratto da Italia Oggi del 21.08.2020
Illegittimo prevedere un ampliamento degli organici in violazione dei vincoli imposti
Il mancato rispetto dei vincoli alle capacità assunzionali comporta la soggezione al rischio di un referto negativo sulla gestione da parte della Corte dei conti e la progressiva riduzione delle assunzioni. Senza escludere possibili nullità delle assunzioni.
La combinazione delle previsioni contenute nell’articolo 33, comma 2, del dl 34/2019 e del dm 17.3.2020 pone una serie di obblighi o divieti in tema di assunzioni, non accompagnati da sanzioni esplicitamente disposte. L’assenza di sanzioni è in generale un difetto delle norme che impongono vincoli, poiché manca la spinta a rispettarli.
I comuni hanno gradito poco il nuovo sistema di disciplina delle facoltà assunzionali che, fondato sulla sostenibilità della spesa di personale in base alle entrate, per molti implica una riduzione delle assunzioni rispetto al sistema del turn over. Non rilevando sanzioni espresse, alcuni enti locali prendono in seria considerazione la possibilità di assumere comunque anche oltre i vincoli disposti dalla normativa.
A ben vedere, però, le sanzioni ci sono. Pensiamo ad un comune appartenente alla prima fascia e, quindi, in grado di incrementare il rapporto tra spesa di personale e media triennale delle entrate correnti al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità. Tale incremento non deve portarlo, però, ad andare oltre i valori soglia previsti dal dm 17.3.2020. Se, tuttavia, il comune sfora con assunzioni in più rispetto a quelle possibili, qual è la sanzione? È implicita: il comune passa dalla prima alla seconda fascia, alla quale appartengono i comuni il cui rapporto spesa/entrate sia superiore al valore soglia della prima fascia ed inferiore ai valori soglia della terza fascia.
Di conseguenza, il comune passato in seconda fascia non potrà più aumentare la spesa per assunzioni a tempo indeterminato e sarà soggetto al divieto di incrementare il valore del rapporto spesa di personale/entrate rispetto a quello corrispondente registrato nell’ultimo rendiconto della gestione approvato. Per tornare «virtuoso», quel comune dovrà ridurre la spesa di personale o incrementare le entrate.
Il comune di seconda fascia che violando il divieto visto prima si venga a trovare in terza fascia che conseguenze subisce? Quella di dover assicurare la riduzione annuale del rapporto spesa/entrate entro il 2025, in assenza della quale dal 2025 potrà assumere solo entro il 30% del turn over.
Il sistema contiene «disincentivi» a violare i suoi vincoli. Inoltre, laddove gli enti per rimediare al peggioramento del rapporto spesa di personale/entrate ritenessero di incrementare queste ultime, si espongono alla «sanzione» politica da parte dell’elettorato.
Per altro, l’ente che peggiora la propria situazione passando dalla prima alla seconda fascia o comunque non rispettando gli obblighi imposti agli enti della seconda e terza, vìola principi di gestione contabile, che dovrebbero essere precisati nel documento unico di programmazione.
Le conseguenze sono che i revisori dei conti dovrebbero negare il visto ad un Dup mirato a sforare i vincoli e a segnalare le assunzioni che peggiorano il rapporto spesa/entrate alla Corte dei conti.
Questa, in ogni caso, può valutare in sede di controllo sulla gestione il rispetto degli obiettivi di gestione connessi al personale ed esprimere un referto negativo inviato al consiglio, invitandolo ad adottare le azioni necessarie per rispettare i vincoli imposti dalla norma. Ed è evidente che a quel punto la reiterazione delle violazioni espone poi il comune ad azioni di responsabilità erariale.
Del resto, l’articolo 6 del dlgs 165/2001 dispone, al comma 2, che il piano triennale dei fabbisogni «indica le risorse finanziarie destinate all’attuazione del piano, nei limiti delle risorse quantificate sulla base della spesa per il personale in servizio e di quelle connesse alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente».
Dunque, prevedere un piano che vìoli i vincoli imposti dal sistema è un’ulteriore illegittimità. Che si presta ad una sanzione, in questo caso espressa, posta sempre dal medesimo articolo 6, comma 6: «Le amministrazioni pubbliche che non provvedono agli adempimenti di cui al presente articolo non possono assumere nuovo personale». In apparenza, la disposizione colpisce la mancata adozione del piano triennale dei fabbisogni. Tuttavia, essa pare debba estendersi non solo al caso di assenza del piano, ma anche all’ipotesi di piano le cui previsioni vìolino i limiti alle facoltà assunzionali. Quindi, assunzioni in contrasto col nuovo sistema non sono da considerare del tutto al riparo da possibili rilievi di nullità.



Norme generali su RSU e RLS

ARTT. 42 E 43 DEL TUPI

ACCORDO COLLETTIVO QUADRO 1998

INTEGRAZIONI E MODIFICHE ACQ (2013) 

MODIFICHE ALL’ACQ PER LA COSTITUZIONE DELLE RSU (2015)  

 




Il Testo Unico sul Pubblico Impiego

Testo unico sul pubblico impiego (TUPI)

“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”

(D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165)

[Aggiornato al 30/06/2020]