Assunzioni, aumenti delle P.O. ammissibili fuori dal tetto del trattamento accessorio

Un Comune ha chiesto se un ente di piccole dimensioni e senza dirigenza, possa utilizzare tutto o parte del budget delle capacità assunzionali, quantificato dalla normativa vigente (Decreto ministeriale del 17 marzo 2020) superando il tetto dell’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 75/2017, per aumentare le risorse da destinare alle posizioni organizzative, con utilizzo di capacità assunzionali e contestuale equivalente riduzione delle stesse e se, tenuto conto dei limiti, sia possibile conferire una posizione organizzativa senza riconoscere neppure il minimo della retribuzione di posizione come prevista dall’articolo 15 del contratto del 21 maggio 2018.

La Corte non si è pronunciata sul secondo quesito riguardante l’interpretazione di norme del contratto, anche perché questa funzione spetta all’ARAN (d.lgs. 165/2001).

La sezione ha invece risposto al primo quesito ritenuto ammissibile, concernente l’interpretazione di una norma di contenimento della spesa di personale, cioè dell’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 75/2017 che ha disposto l’invarianza della spesa per il trattamento accessorio rispetto al 2016.

Questa norma qualificata di coordinamento della finanza pubblica, ha posto un limite all’ammontare complessivo delle risorse destinate al trattamento accessorio, non distinguendo fra quelle a carico dei fondi per la contrattazione integrativa previsti dai contratto e quelle finanziate direttamente dal bilancio delle pubblica amministrazione. L’articolo 11-bis, comma 2, del decreto legge 135/2018, in deroga all’articolo 23, per i Comuni privi di dirigenza, ha previsto che l’invarianza della spesa non si applichi alle indennità dei titolari di posizioni organizzative, rientranti nell’articolo 13 e seguenti del contratto del 21 maggio 2018, limitatamente alla differenza tra gli importi già attribuiti alla data del 21 maggio 2018 e l’eventuale maggior valore riconosciuto successivamente alle posizioni già esistenti, ai sensi dell’articolo 15 dello stesso contratto.

L’articolo 33, comma 2, del decreto legge 34/2019 ha disposto, invece, che il limite al trattamento accessorio di previsto dall’articolo 23, sia adeguato, in aumento o in diminuzione, per garantire l’invarianza del valore medio pro-capite, riferito all’anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa nonché delle risorse per le posizioni organizzative, prendendo come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018. In attuazione dell’articolo 33, comma 2, è intervenuto il Dm 17 aprile 2020, che ha definito le capacità assunzionali di personale a tempo indeterminato dei Comuni, a partire dal 20 aprile 2020.

Secondo la Corte di Cassazione il limite indicato dall’articolo 23 del decreto legislativo 75/2017, che fa riferimento all’anno 2016, dopo l’entrata in vigore dell’articolo 33 del decreto legge 34/2019, deve essere adeguato, aumentandolo o diminuendolo, in modo da assicurare l’invarianza nel tempo del valore medio pro-capite del 2018. In questo modo, superando definitivamente il limite del trattamento accessorio del 2016, e costruendone uno nuovo, a partire dal 2018, che garantisca il valore medio pro-capite. In caso di nuove assunzione, difatti, l’ammontare del trattamento accessorio deve crescere in proporzione al numero dei nuovi dipendenti. Qualora, invece, il numero dovesse diminuire non è possibile scendere al di sotto del valore-soglia del trattamento accessorio del 2016 previsto dall’articolo 23, che, pur rimanendo in vigore, non deve più essere considerato come valore assoluto, bensì come il limite minimo inderogabile.

Per la Corte poi rimane in vigore anche l’articolo 11-bis, comma 2, del decreto legge 135/2018, che ha consentito di non computare nel tetto del trattamento accessorio 2016 i differenziali degli incrementi degli importi delle retribuzioni delle posizioni organizzative degli enti privi di dirigenza che si siano avvalsi della facoltà di aumentare le stesse, facendo riferimento all’articolo 15 del Ccnl.

L’articolo 33, comma 2, del decreto legge 34/2018, ha consentito ai Comuni di aumentare il numero dei dipendenti in servizio in base a un parametro di virtuosità legato al rapporto fra spese di personale ed entrate correnti, concretamente declinato, per gli enti delle varie fasce demografiche, dal Dm del 17 marzo 2020. Per la Corte, tuttavia, questo nuovo sistema di quantificazione delle facoltà assunzionali non ha abrogato l’articolo 11-bis, comma 2, che ora deve essere riferito al combinato disposto degli articoli 23, comma 2, e 33, comma 2, che considera il tetto stabilito dalla prima disposizione come quello base, da adeguare, ma al di sotto del quale la pubblica amministrazione non può scendere.

Il quadro normativo previsto dall’articolo 11-bis prima del decreto legge 34/2019 è dunque rimasto invariato, motivo per cui la corte ha affermato che non deve essere computato nel nuovo tetto del trattamento accessorio, individuato mediante il coordinamento delle due richiamate disposizioni, il differenziale degli incrementi delle retribuzioni delle posizioni organizzative per gli enti che si siano avvalsi della facoltà di aumentarle in base all’articolo 15 del contratto.




Buoni Pasto: per la Cassazione non rientrano nel rapporto contrattuale

Tutti conoscono la vertenza sorta fra sindacati e amministrazioni pubbliche per la mancata erogazione dei buoni pasto ai dipendenti in smart working durante il Coronavirus, a fronte delle disposizioni recate dal d.l. 18/2020, che è stata risolta dal Tribunale di Venezia (sentenza n. 1069/2020) negando ai dipendenti richiedenti l’obbligo della loro erogazione. Nella sentenza è stato anche precisato che la mancata corresponsione dei buoni pasto non doveva essere oggetto di contrattazione e confronto con le sigle sindacali.

Con l’ordinanza n. 16135 del 28 luglio 2020 la Cassazione è di nuovo intervenuta sull’erogazione dei buoni pasto ai dipendenti, precisando che l’assegnazione degli stessi è di competenza esclusiva del datore di lavoro, ben potendo legittimamente scegliere quest’ultimo, in via unilaterale, di non erogarli più, con conseguente rigetto delle doglianze di un dipendente che aveva reclamato l’illegittima decisione del datore di lavoro di non corrisponderli più.

Sorge a questo punto la domanda se le medesime condizioni valgano anche per gli Enti locali.

In merito, l’ARAN con orientamento applicativo RAL 1274 ha evidenziato quanto segue:

  • ogni decisione è rimessa esclusivamente alle autonome determinazioni dei singoli datori di lavoro pubblici, sulla base di una adeguata valutazione delle proprie condizioni organizzative e degli aspetti connessi ai costi, si evidenzia anche che la materia dei buoni pasto, sostitutivi del servizio mensa, non forma oggetto di contrattazione decentrata integrativa, salvo che per i soli profili ad essa espressamente demandati dall’art.13 del CCNL del 9 maggio 2006; in particolare, si deve sottolineare che l’art. 45, comma 1 del CCNL del 14 settembre 2000, relativamente all’istituzione del servizio mensa o dei buoni pasto sostitutivi, proprio in considerazione della riconduzione della materia alle determinazioni unilaterali del datore di lavoro pubblico (per la rilevanza degli assetti organizzativi e di spesa) prevede solo il modello molto leggero del previo confronto con le organizzazioni sindacali;
  • non essendo previsto, contrattualmente, l’obbligo degli enti del Comparto di istituire il servizio mensa o di sostituirlo con la corresponsione del buono pasto, in mancanza delle risorse finanziarie necessarie, si esclude che il dipendente possa considerarsi titolare di un preciso diritto soggettivo alla corresponsione dei buoni pasto.

Si ricorda che il nuovo CCNL del 21 maggio 2018 ha operato un rinvio alla disciplina previgente, di cui agli articoli 45 e 46 del CCNL del 14 settembre 2000 e all’articolo 13 del CCNL 9 maggio 2006.

L’ORDINANZA DELLA CASSAZIONE

RILEVATO CHE
1. Con sentenza 30 giugno 2016, la Corte d’appello di Campobasso rigettava l’appello proposto da Gabriele (omissis) avverso la sentenza di 10 grado, di reiezione della sua domanda di accertamento di illegittimità dell’unilaterale deliberazione della datrice Società Autocooperative Trasporti Italiani (S.A.T.I.) s.p.a. dell’erogazione dei buoni pasto dal giugno 2006 e di condanna al pagamento delle relative differenze retributive;
2. avverso la predetta sentenza il lavoratore ricorreva per cassazione con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c., cui la società resisteva con controricorso;
3. il P.G. rassegnava le conclusioni ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c.;

CONSIDERATO CHE
1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2099, in combinato disposto con l’art. 36 Cost., 1373, 1374 c.c., per la ritenuta erronea unilaterale revocabilità dei c.d. buoni pasto, per la loro funzionalità ad un rapporto contrattuale integrativo, componente della retribuzione (anche per la “legittima aspettativa” dei lavoratori a seguito di una reiterata e generalizzata prassi aziendale dal 1999 all’aprile 2006) e pertanto soggetti al principio di irriducibilità della stessa (primo motivo);
2. esso è infondato;
2.1. la Corte territoriale ha correttamente interpretato la natura dei buoni pasto alla stregua, non già di elemento della retribuzione “normale”, ma di agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale (Cass. 21 luglio 2008, n. 20087; Cass. 8 agosto 2012, n. 14290; Cass. 14 luglio 2016, n. 14388), pertanto non rientranti nel trattamento retributivo in senso stretto (Cass. 19 maggio 2016, n. 10354; Cass. 18 settembre 2019, n. 23303); sicché, il regime della loro erogazione può essere variato anche per unilaterale deliberazione datoriale, in quanto previsione di un atto interno, non prodotto da un accordo sindacale;
3.2. l’interpretazione contrapposta dal lavoratore, di erogazione dei buoni pasto “in funzione di un rapporto contrattuale”, anche sulla base di una reiterazione nel tempo tale da integrare una prassi aziendale (pure viziata da una connotazione di novità, non parlandone la sentenza impugnata, né avendone il ricorrente offerto indicazione di una sua prospettazione negli atti dei precedenti gradi), non inficia il presupposto della natura non retributiva dell’erogazione;
3. il lavoratore deduce poi violazione e falsa applicazione dell’art. 21/8 del CCNL autoferrotramvieri del 23 luglio 1976, per la non corretta distinzione tra buoni pasto, erogati a tutti i lavoratori, e indennità di “concorso pasti”, riservata unicamente ai dipendenti fuori del comune di residenza nelle ore dei pasti (secondo motivo);
3.1. esso è inammissibile;
3.2. la censura è viziata da un’evidente carenza di interesse, per inidoneità a scalfire la ratio decidendi (ai due ultimi capoversi di pg. 4 della sentenza), oggetto del primo motivo, in quanto riguardante un profilo argomentativo avente sostanziale natura di obiter dictum, ininfluente sul dispositivo della decisione (Cass. 18 dicembre 2017, n. 30354; Cass. 25 settembre 2018, n. 22782);
4. le superiori argomentazioni comportano il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, con distrazione in favore dei difensori antistatari secondo la loro richiesta e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535);

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in C 200,00 per esborsi e C 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori anticipatari. Ai sensi dell’art. 13 comma lquater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 4 dicembre 2019




PA, Corte conti: spesa personale inferiore al 2010, aumenta età media dipendenti

“Nell’anno 2018 il personale pubblico si è attestato sul livello di 3,2 mln di unità, in leggera flessione rispetto all’anno precedente (-0,6%). Nel confronto con il 2010, anno di avvio delle limitazioni alla facoltà di reclutamento da parte della PA, la flessione risulta molto più consistente, pari a 2,7 punti percentuali (circa 91mila unità in meno), attribuibile al trend del settore delle autonomie locali (-7,1%), solo marginalmente compensata dal lieve aumento dei dipendenti delle amministrazioni centrali (+0,7%)”.

E’ quanto emerge dalla “Relazione sul costo del lavoro pubblico 2020” della Corte dei conti , che segnala anche il persistere del “progressivo incremento dell’età media dei dipendenti pubblici” , nel 2018 “oramai superiore a 50 anni (era di 43,5 anni nel 2001), da ricondurre agli effetti connessi alle politiche restrittive in materia di assunzioni”.

Per la magistratura contabile, inoltre, le politiche restrittive sulla spesa messe in atto negli anni della crisi, indispensabili per la tenuta complessiva dei conti pubblici, “hanno generato effetti indiretti sulla qualità complessiva delle risorse umane disponibili” e la prolungata assenza di turn-over ha “accentuato il gap conoscitivo e professionale tra le competenze teoriche, acquisite nell’iter formativo dalle nuove generazioni, cui per troppo tempo è stato precluso l’accesso al pubblico impiego, e quelle più “statiche” possedute dal personale in servizio, che continuano a caratterizzare, oltreché condizionare, la gran parte delle attività poste in essere dalle pubbliche amministrazioni”.

Sotto il profilo finanziario, il costo del lavoro dipendente, come definito dall’IGOP – Ispettorato Generale per gli ordinamenti del personale e l’analisi dei costi del lavoro pubblico, nel 2018 si è attestato su un valore complessivo pari a 165,9 miliardi in aumento del 3,7% rispetto al 2017, in linea con l’incremento a regime previsto per la contrattazione collettiva nazionale per il triennio 2016-2018 (3,48%).

Pur a seguito di tale aumento, l’aggregato di spesa continua a mantenersi su un livello inferiore a quello del 2010 (-4,7 mld), con una contrazione del 2,8%, imputabile al blocco introdotto dal DL n. 78/2010 convertito con modificazioni dalla legge n. 122/2010. Se si estende l’analisi dei profili di onerosità agli anni 2020 e 2021, le previsioni (definite in contabilità nazionale) proiettano la spesa per redditi di personale, per la prima volta, al di sopra dei livelli del 2010.

La Relazione contiene anche utili comparazioni sull’andamento della spesa in ambito europeo, dalle quali emerge come, “a fronte di un dato medio europeo crescente tra il 2010 e il 2018, l’Italia, al pari di Grecia e Portogallo, si sia caratterizzata per una dinamica negativa, sulla quale ha inciso la costante contrazione della spesa pro capite per personale pubblico fino al 2015, solo parzialmente compensata dalla ripresa nel triennio 2016-2018″.

Relazione Corte dei Conti




Circolare FP sull’assuzione di personale da parte dei Comuni

Il Dipartimento FP, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze e il Ministero dell’interno, ha emanato la circolare esplicativa n. 1374 del 8 giugno 2020 che fornisce chiarimenti sul D.M. 17 marzo 2020, attuativo dell’art. 33, comma 2 del d.l. 34/2019, convertito con modificazioni dalla legge n. 58 del 2019, in materia di assunzioni di personale da parte dei Comuni.

Il d.l. 34/2019, c.d. Decreto Crescita, all’art. 33, comma 2, ha introdotto una nuova disciplina relativa alle facoltà assunzionali dei Comuni, prevedendo il superamento delle attuali regole fondate sul turn over, introducendo un sistema flessibile basato sulla sostenibilità finanziaria della spesa di personale.

Il decreto attuativo, D.M. 17 marzo 2020, ha disposto che le nuove regole assunzionali si dovranno applicare dal 20 aprile 2020.

Il Ministero per la p.a., nella circolare esplicativa in commento, ha chiarito tra le altre che:

  • Con riferimento al solo anno 2020 sono fatte salve le procedure assunzionali avviate prima del 20 aprile 2020, a patto che:
  1. siano state effettuate le comunicazioni obbligatorie ai sensi dell’art. 34 bis del d.lgs. 165/2001;
  2. Siano state operate le relative prenotazioni nelle scritture contabili (principio contabile 5.1 di cui al par. 1 dell’allegato 4.2 del d.lgs. 118/2011);
  • La maggior spesa di personale rispetto ai valori soglia, definiti dal D.M. 17 marzo 2020, derivante dalle procedure assunzionali avviate prima del 20 aprile 2020, è consentita solo per l’anno 2020. A decorrere dal 2021, i Comuni che sulla base dei dati 2020 si collocano, anche a seguito della maggiore spesa, fra le due soglie minime e massime individuate dal predetto decreto attuativo, assumono, come parametro soglia a cui fare riferimento nell’anno successivo, il rapporto tra spesa di personale ed entrate correnti registrato nel 2020 calcolato senza tener conto della predetta maggiore spesa del 2020.

I Comuni che si collocano al di sopra del valore soglia superiore definito dal decreto attuativo 17 marzo 2020, nel 2021 devono conseguire un rapporto fra spesa di personale ed entrate correnti non superiore a quello registrato nel 2020 calcolato senza tener conto della predetta maggiore spesa del 2020;

  • Il Fondo Crediti Dubbia Esigibilità da prendere a riferimento come base di calcolo per la determinazione delle nuove capacità assunzionali è quello stanziato nel bilancio di previsione, eventualmente assestato, con riferimento alla parte corrente del bilancio stesso;
  • Le entrate correnti da considerare ai fini del calcolo delle capacità assunzionali sono quelle riportate negli aggregati BDAP accertamenti relativi ai Titoli I, II e III:01 Entrate titolo I, 02 Entrate titolo II, 03 Entrate titolo III, Rendiconto della gestione, accertamenti;
  • I comuni possono utilizzare i c.d. resti assunzionali degli ultimi 5 anni anche in deroga ai valori limite annuali di incremento delle spesa di personale di cui alla Tabella 2 del D.M. 17 marzo 2020, fermo restando il rispetto del limite massimo consentito dal valore soglia di riferimento dell’Ente;
  • I valori percentuali riportati nella Tabella 2 rappresentano un incremento rispetto alla base spese di personale 2018 la cui percentuale individuata in ciascuna annualità successiva alla prima ingloba la percentuale degli anni precedenti.

Circolare_FP_assunzioni_enti_locali




Linee guida per la riapertura in sicurezza dei servizi educativi 0-6 anni

La Conferenza Unificata di venerdì scorso ha deliberato le Linee guida 0/6 anni in vista della riapertura dei servizi educativi per la prima infanzia e delle scuole dell’infanzia.

Il principale obiettivo è quello di assicurare il rapporto numerico tra personale e bambini applicato prima dell’emergenza sanitaria, mantenendo la stabilizzazione dei gruppi/sezione, al fine di assicurare a tutti i bambini e bambine una frequenza almeno pari a quella dello scorso anno.

Il documento prevede in fatti che la capienza massima complessiva per ogni struttura ospitante servizi educativi per la prima infanzia resta quella indicata dalle normative regionali e per ogni struttura ospitante scuole dell’infanzia, la capienza massima complessiva è quella indicata dalle norme tecniche per l’edilizia scolastica. Sulla mensa scolastica è stata eliminata la previsione che più gruppi non possono accedervi contemporaneamente tenendo invece conto dell’affollamento dei refettori, a meno che le dimensioni dell’ambiente non consentano di mantenere i gruppi separati. Le linee guida contengono anche l’erogazione dei servizi di pre e post scuola che prevede che occorre privilegiare, laddove possibile la stabilità dei gruppi/sezione e l’unicità di rapporto con gli adulti di riferimento.

Sono inoltre date indicazioni su accoglienza e ricongiungimento, riposo pomeridiano, protocolli di sicurezza cui si darà seguito nei prossimi giorni e disabilità e inclusione, oltre ad indicazioni igienico-sanitarie. Le Regioni nel corso della seduta, pur esprimendo Intesa, hanno rappresentano alcune raccomandazioni di cui si terrà conto nel testo definitivo.

 

Documento ripresa attivita in presenza servizi educativi e scuola infanzia




Il “congedo Coronavirus” per i dipendenti PA

Il messaggio INPS del 27 luglio 2020, n. 2968, fornisce chiarimenti in merito all’estensione ai genitori (anche affidatari), lavoratori dipendenti del settore pubblico, del “congedo Coronavirus” previsto dall’art. 23 del d.l. 18/2020 (Decreto “Cura Italia”).

Il testo del messaggio




Le norme sullo Smart Working

LEGGE ISTITUTIVA

Legge 22 maggio 2017 n 81 – articoli da 18 a 23

SUCCESSIVE DISPOSIZIONI

Nell’ambito delle misure adottate dal Governo per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, il Presidente del Consiglio dei ministri ha emanato il  1° marzo un DPCM che interviene sulle modalità di accesso allo smart working, confermate anche dalle successive disposizioni emanate per far fronte all’emergenza.

  1. Decreto legge del 17 marzo 2020, n. 18, convertito in  legge n. 27 del 24 aprile 2020 – disposizioni per i lavoratori dipendenti disabili o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità.
  2. Con il DPCM del 26 aprile è stato raccomandato il massimo utilizzo della modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza.
  3. Decreto legge del 19 maggio 2020, n. 34 – disposizioni per i genitori lavoratori dipendenti del settore privato, con almeno un figlio a carico minore di 14 anni (vedi punto seguente).
  4. Legge 17 luglio 2020, n. 77 di conversione, con modificazioni, del DL 34/2020, che ha prorogato la possibilità di ricorrere al lavoro da casa per i dipendenti pubblici, apportando anche delle modifiche.
  5. Funzione Pubblica – Circolare 1/2020: Misure incentivanti per il ricorso a modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa
  6. Funzione Pubblica – Circolare 3/2020 su rientro in sicurezza dei dipendenti pubblici.
  7. Decreto-legge 30 luglio 2020, n. 83 – proroga dello stato di emergenza fino al 15 ottobre 2020
  8. In via di emanazione: Delega al Governo per il «riordino della disciplina in materia di lavoro agile e l’introduzione del diritto alla disconnessione per il benessere psico-fisico dei lavoratori e dei loro affetti

PRECISAZIONI/SINTESI

Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.

La definizione di smart working, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone).

Ai lavoratori agili viene garantita la parità di trattamento – economico e normativo – rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie. È, quindi, prevista la loro tutela in caso di infortuni e malattie professionali, secondo le modalità illustrate dall’INAIL nella Circolare n. 48/2017.

SMART WORKING DIPENDENTI PUBBLICI

I datori di lavoro pubblici possono applicare la modalità di lavoro agile a ogni rapporto di lavoro subordinato. In base a quanto previsto dalla Legge di conversione del Decreto Rilancio questa disposizione resta valida fino al 31 dicembre 2020. Inoltre può essere applicata al 50% del personale impiegato in attività che possono essere svolte in modalità smart.

La misura intende rispondere alle esigenze della progressiva riapertura di tutti gli uffici pubblici, nonché dei cittadini e delle imprese, connesse al graduale riavvio delle attività produttive e commerciali. Pertanto è stata prevista l’organizzazione del lavoro e dell’erogazione dei servizi con flessibilità oraria e diversa articolazione giornaliera e settimanale, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza con l’utenza.

PIANO ORGANIZZATIVO DEL LAVORO AGILE (POLA)

La Legge 77/2020 istituisce il POLA – Piano organizzativo del lavoro agile per le amministrazioni pubbliche. Si tratta di un documento, da concordare con le organizzazioni sindacali, che individua le modalità di attuazione del lavoro agile per i dipendenti pubblici. Va redatto entro il 31 gennaio di ciascun anno e deve prevedere che almeno il 60% del personale possa accedere al lavoro smart per le attività che possono essere svolte in modalità agile.

Il POLA deve anche definire misure organizzative, requisiti tecnologici, percorsi formativi del personale, anche dirigenziale, e strumenti di rilevazione e verifica periodica dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa, della digitalizzazione dei processi e della qualità dei servizi. A questo scopo possono essere coinvolti anche i cittadini. Nelle pubbliche amministrazioni che non adottano il POLA, la modalità smart lavoro si può applicare almeno al 30% dei dipendenti che ne facciano richiesta.

LAVORO AGILE DIPENDENTI PRIVATI

I lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di 14 anni hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali previsti dalla legge 81/2017. La disposizione è applicabile solo se nel nucleo familiare non c’è un altro genitore non lavoratore o beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa.

 

 

 




Aggiornamento Area Normativa – Giurisprudenza

SENTENZE RECENTI

Passaggio a ruolo

Scorrimento graduatorie

Parità di trattamento contrattuale

Contratti di collaborazione

Incentivi per la progettazione