Nota ANCI sulle capacità assunzionali dei Comuni

L’ANCI ha elaborato una nota di lettura, datata 24 settembre 2020, relativamente al decreto interministeriale 17 marzo 2020 e alla relativa circolare applicativa del 13 maggio 2020 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 11 settembre), che disciplinano i nuovi criteri per definire le capacità di assunzione dei Comuni (“Misure per la definizione delle capacità assunzionali di personale a tempo indeterminato dei Comuni”).

NOTA ANCI




Dadone: Migliorare la valutazione delle performance per rispondere ai cittadini

Le dichiarazioni del ministro per la Pubblica Amministrazione all’apertura dell’incontro organizzato dalla Funzione pubblica per discutere delle possibili linee di evoluzione dei sistemi di valutazione della PA

“Una Pubblica Amministrazione inclusiva, che pone al centro il cittadino, orientata alla soddisfazione delle persone e in grado di ascoltare e raccogliere davvero bisogni, esigenze, istanze, spunti, non può che orientarsi sempre più verso il risultato. La PA deve ambire, ora più che mai, a supportare e magari anche a guidare il rilancio del Paese. In questa chiave e nella prospettiva di un lavoro pubblico sempre meno legato a vincoli logistici e di orario, l’azione di riforma della misurazione e valutazione della performance individuale e organizzativa, anche coinvolgendo i cittadini, è sfida cruciale. La valutazione non deve più essere solo un esercizio formale sulla carta, ma deve rispondere alla percezione che le persone hanno della pubblica amministrazione”.

Sono queste le parole che il ministro per la Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone, ha messo in evidenza nel videomessaggio di apertura dell’incontro organizzato dal Dipartimento della Funzione pubblica per discutere delle possibili linee di evoluzione dei sistemi di valutazione delle pubbliche amministrazioni.

Sul tema dello sviluppo delle competenze dei dipendenti pubblici sono stati presentati, questa settimana, gli obiettivi e le attività del TAC, il Team di analisi dei comportamenti, istituito presso il Dipartimento della Funzione pubblica, con il compito di interfacciarsi con le amministrazioni per individuare quei fattori che, applicando per la prima volta le scienze comportamentali alla pubblica amministrazione, possono migliorare la motivazione e il senso di appartenenza dei dipendenti pubblici.

“La particolarità di questo team – ha affermato Riccardo Viale, ordinario di Scienze Comportamentali ed Economia Cognitiva all’Università di Milano-Bicocca – rispetto alle altre importanti esperienze internazionali come i Behavioral Insights Team dell’America di Obama, della Germania o del Regno Unito, che si occupano prevalentemente di politiche pubbliche, è proprio il focus sui comportamenti dei dipendenti della Pubblica Amministrazione per aiutarli a migliorare, nell’ottica di aumentare la performance delle amministrazioni per dare risposte più efficaci ai cittadini”.




Decreti Coronavirus: 181 provvedimenti sono ancora da emanare!

Fonte: Corriere della Sera

di ANTONELLA BACCARO (dal Corriere Economia) 

Dieci decreti governativi, 252 provvedimenti attuativi: 181 ancora da emanare, pari al 72%. Procede a rilento la «messa a terra» del corposo blocco di leggi prodotte dall’esecutivo a partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza per il Coronavirus. Secondo lo studio elaborato da Openpolis su dati dell’Ufficio per l’attuazione del programma presso la presidenza del Consiglio, tra i ministeri che arrancano di più, il primo posto spetta a quello delle Infrastrutture, che non ha ancora emanato nessuno dei 35 decreti attuativi di propria competenza. Anche perché molti di questi derivano dal decreto Semplificazioni, uno degli ultimi a essere stato approvato lo scorso 11 settembre, con un carico di ben 20 provedimenti attuativi da emanare.
Colpisce che tra i decreti che mancano ancora di norme di attuazione ci sia il decreto Liquidità, tra i più attesi dalle categorie produttive: nessuno degli otto provvedimenti necessari ha ancora visto la luce. È bene però chiarire che in alcuni casi, come quello richiamato, i tempi più lunghi sono dovuti anche al passaggio in Parlamento, che modifica pure il numero di atti necessari. Nel caso del decreto Liquidità, li ha ridotti da 12 a otto, mentre il Cura Italia è passato da 36 a 34, dei quali 14 ancora da adottare. Il caso opposto è costituito dal decreto Rilancio, passato in Parlamento, come documenta Openpolis, da 103 a 137 decreti attuativi, due terzi dei quali (94) da emanare.

Fa peggio il decreto Agosto: dei 37 atti necessari, ne è stato prodotto solo uno. Mancano all’appello provvedimenti molto attesi, come quello che dovrebbe fissare le regole per il credito d’imposta sull’acquisto di biciclette, monopattini e abbonamenti ai mezzi pubblici, di competenza del ministero dell’Economia. Ma manca anche quello che dovrebbe indicare i contributi per la filiera della ristorazione, di competenza del ministero per le Politiche agricole (scaduto il 14 settembre). E non c’è nemmeno quello per l’attribuzione ai Comuni di risorse aggiuntive per le piccole opere, di competenza del ministero dell’Interno (scadenza 14 ottobre). A tagliare il traguardo dell’iter completato, alla fine sono solo due decreti: il Covid-lockdown e il Coronavirus che però abbisognavano ciascuno di un solo atto.
Quanto al decreto Semplificazioni, come si è anticipato, l’attuazione è ancora pari a zero. Intanto però il decreto attuativo che avrebbe dovuto definire le linee guida in materia di controlli sullo stato delle gallerie sulle tratte gestite da Anas, di competenza del ministero delle Infrastrutture, è scaduto il 30 agosto. Un provvedimento necessario per sciogliere la polemica sollevata da Autostrade cui è stato imposto, a maggio scorso, lo smontaggio e rimontaggio periodico delle onduline in galleria.

Ma provvedimenti attuativi già scaduti, secondo lo studio di Openpolis, ce ne sarebbero altri 34. Tra questi tre del decreto Rilancio, due dei quali di competenza del ministero dello Sviluppo. Uno sulle modalità di erogazione del fondo destinato ai lavoratori dello spettacolo, un altro sulle agevolazioni fiscali per gli investimenti in startup innovative. Infine l’ultimo, di competenza dell’Interno, sui criteri di ripartizione del fondo per i Comuni particolarmente danneggiati dall’emergenza.

Quasi tutti i ministeri devono ancora adottare buona parte dei decreti di loro competenza: il Tesoro ne ha in carico 43 ma ne mancano ancora 25 (58,1%). Latita il ministero di Porta Pia che non ha emesso nessuno dei 35 decreti a esso richiesti. Undici su venti ne mancano all’Interno, 16 su 19 al Mise, 15 su 19 alle Politiche agricole.
Va detto che i decreti emessi in epoca Covid dal governo sono stati 22 (17 dei quali sono stati convertiti in legge con l’approvazione di 1.104 emendamenti), dunque 12 di questi sono autoapplicativi, cioè non abbisognano di alcun decreto attuativo. A maggior ragione appaiono davvero tanti 252 provvedimenti attuativi a fronte di soli dieci decreti.
L’esiguo numero di atti autoapplicativi discende per lo più dalla difficoltà del governo di «chiudere» i provvedimenti in consiglio dei ministri, e dalla conseguente decisione di lasciare al Parlamento la ricerca dei compromessi politici non trovati. Per lo stesso motivo sono ancora molti i decreti approvati in consiglio dei ministri «salvo intese», cioè aperti a eventuali modifiche. Una pratica che genera problemi, primo fra tutti il fatto che il testo che appare in Gazzetta Ufficiale può non corrispondere all’ultima versione adottata.




In netto calo i procedimenti disciplinari nella PA

Il Ministero Funzione Pubblica ha reso noti i dati relativi ai provvedimenti disciplinari presi nei confronti dei dipendenti nei primo 8 mesi di quest’anno.

In questo periodo le pubbliche amministrazioni hanno trasmesso 4395 comunicazioni di avvio di procedimento per azione disciplinare a carico dei dipendenti. Di essi, fino al 31 agosto, 2334 sono stati conclusi, 1354 sono ancora in corso e 707 sono sospesi per procedimento giudiziario.

Dei 2334 conclusi, 608 hanno dato luogo all’irrogazione di sanzioni gravi con 97 licenziamenti e 511 sospensioni dal servizio. Inoltre, 21 procedimenti sono stati avviati per falsa attestazione della presenza in servizio (cosiddetti “furbetti del cartellino”).

Questi numeri sono nettamente inferiori rispetto all’analogo epriodo del 2019. Basti dire che i procedimenti avviati sono diminuiti del 48,6%, che i procedimenti sospesi per procedimento giudiziario hanno subito un -64,4% e che i procedimenti conclusi sono calati -46,6%.

L’azione disciplinare non si è mai arrestata, nemmeno durante il periodo del “lockdown”. Tuttavia, l’emergenza epidemiologica ha inevitabilmente influito sui dati: nei primi otto mesi del 2020 abbiamo avuto il 48,6% in meno di procedimenti disciplinari rispetto allo stesso periodo del 2019. Le azioni per falsa attestazione della presenza sono invece diminuite dell’80,9%.

ProcedimentiDisciplinari2020_2quadr 




Province: linee guida UPI per il lavoro agile

Con il riavvio delle attività produttive e dell’anno scolastico, le Province si trovano nella necessità di riorganizzare le loro strutture amministrative per consentire il rientro al lavoro in sicurezza del personale.

Attraverso tale documento, l’UPI (Unione delle Province d’Italia)fornisce alcune indicazioni con l’obiettivo di favorire il rientro in servizio della maggior parte del personale e far fronte alle esigenze di rapida ripresa delle attività e di rilancio degli investimenti locali (in particolare sulle scuole e sulle strade), anche in considerazione delle manifeste carenze di risorse umane più volte manifestate dagli enti in questi anni a causa del blocco protratto delle assunzioni, dei pensionamenti e dei trasferimenti di dirigenti e dipendenti derivanti dal d.l. 95/2012 e dalla legge 190/2014

“Linee di indirizzo per l’applicazione del lavoro agile nelle Province”




Assunzioni, maggiori spese da recuperare entro il 2022

Fonte: Italia Oggi

Per le assunzioni il regime transitorio è solo apparente e in parte controproducente. Pubblicata con grande ritardo, la circolare 13 maggio 2020, esplicativa del d.m. 17 marzo 2020 che attua il nuovo metodo di computo delle facoltà assunzionali, ha nella disciplina delle assunzioni attivate prima del 20 aprile 2020, data di entrata in vigore del decreto ministeriale, uno tra i punti più deboli. La circolare, allo scopo di regolare il passaggio al nuovo regime normativo, fornisce un’indicazione piuttosto contorta: con riferimento al solo anno 2020, possano esser fatte salve le procedure concorsuali già attivate, «purché siano state effettuate entro il 20 aprile le comunicazioni obbligatorie ex art. 34-bis della legge n. 165/2001». Ma, e qui subentrano i problemi, si aggiunge che la maggiore spesa di personale rispetto ai valori soglia, eventualmente scaturente dalla salvezza delle procedure assunzionali già avviate, «è consentita solo per l’anno 2020». Visto che il sistema prevede a regime di determinare le facoltà assunzionali in base al rapporto spesa di personale/ media triennale delle entrate correnti al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità, l’unico modo per dare vita a un regime transitorio chiaro e reale sarebbe stato quello di escludere a regime, cioè per sempre, le spese attivate prima del 20 aprile 2020. Ma, la circolare precisa che «la possibilità di derogare transitoriamente, per far salve le procedure assunzionali in corso, ai valori di spesa derivanti dalle soglie è consentita nel primo anno di applicazione ma non negli anni successivi».

Quale la conseguenza? A partire dal 2022 la maggiore spesa rispetto a quella consentita dal nuovo sistema, conseguente a questo paradossale regime transitorio, dovrà essere riassorbita. Afferma la circolare, quindi, che successivamente al 2021 «nel procedere alle maggiori assunzioni, è necessaria una valutazione circa la capacità di rientro nei limiti di spesa del 2021 fissati dalla norma». Provando a spiegarlo in termini meno criptici, laddove le facoltà assunzionali di un comune, nel 2020, applicando le nuore regole fossero per 1.000 euro, e l’ente avvalendosi della deroga spenda, invece, 1.100, entro il 2022 quella maggiore spesa di pari a 100 andrà ridotta. Specie se la deroga abbia peggiorato la situazione del comune, facendolo transitare dalla prima fascia di virtuosità a quella dei comuni di seconda fascia, con valori soglia superiori a quelli indicati dalla Tabella 1 del dm 17/3/2020, ma inferiori a quelli della Tabella 3; oppure, per i comuni con valori soglia superiori a quelli della Tabella 3, se la deroga abbia ulteriormente peggiorato il valore soglia, invece di migliorarlo come imposto dalla norma. Le strade per rientrare da questa maggiore spesa non sono molte. I comuni con capacità assunzionali dovranno dimostrare di rinunciare a parte di esse. Chi non avesse capacità assunzionali dovrebbe incrementare le entrate o tagliare le spese di personale (col problema della loro tendenziale rigidità) di importo simmetrico.

Un modo, in sostanza, per spostare in là gli effetti di una maggiore spesa che, a ben vedere, non è per nulla coerente col nuovo sistema, come del resto accertato già dalla Corte dei conti (sezioni regionali di controllo per la Lombardia parere 74/2020 e per la Toscana, parere 61/2020), secondo la quale, a ben vedere, non c’è un vero regime transitorio dal vecchio al nuovo regime. Per altro, la circolare esordisce proprio in accordo con questa visione proposta dalla magistratura contabile: «il c.d. decreto Crescita (decreto-legge n. 34/2019), all’art. 33, ha introdotto una modifica significativa della disciplina relativa alle facoltà assunzionali dei comuni, prevedendo il superamento delle attuali regole fondate sul turnover e l’introduzione di un sistema maggiormente flessibile, basato sulla sostenibilità finanziaria della spesa di personale». Si ha la conferma che il precedente regime è da considerare del tutto superato e non più operante, salvo il tetto di spesa complessivo previsto dall’articolo 1, commi 557 e seguenti, della legge 296/2006, per altro agganciato ormai ad annualità lontanissime nel tempo (20112013 per gli enti con oltre 1.000 abitanti, addirittura il 2008 per quelli fi no a 1000 abitanti). Poiché la deroga alla spesa è solo facoltativa, come afferma la circolare, è opportuno che gli enti riflettano molto bene prima di avvalersi di una facoltà che potrebbe complicare di molto la gestione e i conti




Caregiver, una questione che va affrontata con la massima urgenza

Come è noto, in base alla Legge 104, ai lavoratori, compresi ovviamente i dipendenti pubblici, che assistono familiari affetti da disabilità (salvo alcuni casi eccezionali, disciplinati diversamente) spettano 3 giorni di permesso al mese, frazionabili in 18 ore.

Queste figure sono definite Caregiver, che, secondo la Legge 205/17, comma 255, è “la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto […], di un familiare o di un affine entro il secondo grado, ovvero, nei soli casi indicati dall’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o sia titolare di indennità di accompagnamento ai sensi della legge 11 febbraio 1980, n. 18».

E’ del tutto intuitivo che, nella maggioranza assoluta dei casi, le suddette 18 ore previste dalla Legge 104 non sono sufficienti. Oltre a ciò, i Caregiver non godono di alcuna tutela né riconoscimento, sebbene vadano a colmare, di fatto, le lacune del SSN in fatto di assistenza domiciliare.

Adesso, però, pare che qualcosa stia cambiando. I vari disegni di legge presentati nel tempo per disciplinare ruolo, mansioni, tutele dei Caregiver sono confluiti nel DDL 1461, presentato in Senato ad agosto, i cui punti essenziali sono i seguenti:

Definizione –  “Si definisce caregiver familiare la persona che gratuitamente assiste e si prende cura in modo continuativo del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n.76,di un familiare o di un affine entro il se-condo grado, ovvero, nei soli casi indicati dall’articolo 33, comma 3, della legge 5 feb-braio 1992, n.104, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, anche oncologica, infermità o disabilità, anche cro-niche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n.104,  o sia titolare di indennità di accompagnamento ai sensi della legge 11 febbraio 1980, n.18”.

Riconoscimento della qualifica – L’articolo 3 precisa che la qualifica di caregiver familiare può essere assunta da un solo familiare dell’assistito. Inoltre, il riconoscimento della figura di un caregiver familiare preclude agli altri familiari lavoratori (ad eccezione dei genitori) di godere, in relazione al medesimo familiare assistito, delle agevolazioni previste dall’articolo 33 della legge 104 del 1992.

Tutela previdenziali – Il DDL prevede che al caregiver familiare (non lavoratore) vengano riconosciuti, fino ad un massimo di tre anni, i contributi figurativi equiparati a quelli del lavoro domestico. Tali contributi possono aggiungersi a quelli eventualmente già versati precedentemente dal caregiver per altre attività lavorative.

Adeguamento LEA E LEP – Al fine di sostenere le attività e la figura dei caregiver familiari, si prevede di definire i LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni) da garantire al caregiver nel campo sociale, tra cui: servizi ed interventi di sollievo ed emergenza o programmati erogati attraverso enti territoriali, ASL, mediante operatori socio-sanitari o socio-assistenziali; consulenze per l’adattamento domestico; formazione e informazione sulle competenze; supporto psicologico; percorsi preferenziali nelle strutture sanitarie per ridurre i tempi di attesa sia per l’assistito che per il caregiver; rilascio di tessera di riconoscimento per avere priorità nel disbrigo di pratiche amministrative, etc.

Con lo stesso obiettivo, si propone di inserire nei LEA nuovi servizi e prestazioni per i caregiver e gli assistiti, in particolare la domiciliarizzazione di visite e prestazioni specialistiche, permettendogli di sottoporsi a visite ed esami nel proprio domicilio.

Conciliazione assistenza/lavoro – Per i caregiver familiari lavoratori, si prevedono degli interventi per favorire la conciliazione tra le attività lavorative e di assistenza. Nel concreto, l’articolo prevede il diritto, per il caregiver lavoratore, di rimodulare l’orario di lavoro compatibilmente con l’attività di assistenza e il diritto prioritario di scelta della sede di lavoro tra quelle disponibili più vicine alla casa dell’assistito.

Riconoscimento delle competenze –  L’articolo prevede che l’esperienza maturata in qualità di caregiver possa essere riconosciuta, anche ai fini di un successivo accesso o reinserimento lavorativo, con una formalizzazione e certificazione, o come credito formativo per l’acquisizione della qualifica di operatore socio sanitario o figure simili.

Detrazioni – L’articolo introduce detrazioni fiscali del 50% riservate ai caregiver familiari sui una spesa massima di 10.000 euro annui per attività di cura e assistenza.

Copertura finanziaria – L’ultimo articolo chiude con la copertura finanziaria, a valere sul Fondo istituito dalla Legge 205/2017.

Un disegno di legge che, bisogna sottolineare –  non soddisfa le varie associazioni di familiari che assistono i disabili, ma che comunque rappresenta a nostro avviso una buona base su cui lavorare. Purchè si faccia in fretta, in quanto la pandemia ha moltiplicato i disagi di chi assiste i disabili, anche a causa della chiusura dei centri di assistenza durante il lockdown.

Oltretutto, al danno si è aggiunta la beffa: in sede di conversione in legge del decreto Rilancio era stata proposta un’indennità di 600 euro per i mesi di marzo e aprile ai Caregiver di familiari invalidi al 100%, ma poi non se ne è fatto più nulla. Ancor di più, stride il fatto che in tempi di emergenza siano state riconosciute agevolazioni soltanto ai genitori con figli disabili, dimenticando tutto il resto.

 

Ben sapendo che si tratta di un fenomeno di larga scala (sono circa 5 milioni i caregiver familiari stimati), che ovviamente coinvolge anche tanti lavoratori del comparto Funzioni Locali e del settore Igiene Ambientale pubblico e privato, la nostra O.S. intende sostenere la causa dei Caregiver a tutti i livelli, riservandosi di avanzare opportuna proposte a livello contrattuale.

 




Dadone: aprire ai giovani le porte dei palazzi della Pa

“Aprire le porte dei Palazzi – e di quelli che saranno i nuovi punti di accesso e di lavoro dell’amministrazione – alle nuove leve, ai giovani che rappresenteranno i bisogni delle nuove generazioni. È il momento di sradicare l’immagine obsoleta della pubblica amministrazione: oggi abbiamo poco più del 2% di dipendenti al di sotto dei 34 anni”. Così il ministro per la Pa, Fabiana Dadone, in audizione alla Camera, presso la Commissione Lavoro, sul Recovery plan.

“La Pa deve giocare un ruolo centrale nel rilancio del Paese – ha aggiunto il ministro – Le risorse che arriveranno con il Recovery Fund ci aiuteranno a sostenere la formazione continua del personale, a inserire nuove professionalità e nuove competenze, a completare la digitalizzazione degli uffici pubblici, a modificare profondamente l’organizzazione del lavoro, con la diffusione del vero smart working, a semplificare le procedure, ripensandole in modo radicale. Il nostro impegno è quello di permettere alle persone di lavorare in modalità agile e flessibile quanto più possibile, ove possibile”.

Dadone ha quindi sottolineato l’importanza in questa cornice dei Piani organizzativi del lavoro agile (Pola), che le pubbliche amministrazioni sono chiamate ad elaborare ed approvare a decorrere dal prossimo gennaio. Con i Pola “vogliamo finanziare l’adeguamento e la fornitura della dotazione strumentale necessaria al lavoro agile: le varie amministrazioni, nella predisposizione dei piani, potranno contare su risorse destinate a riorganizzare il lavoro in modalità agile – ha spiegato – grazie alla mappatura delle attività che possono essere svolte anche non in presenza senza alcun impatto negativo, come ci ha insegnato l’esperienza di questi mesi, in termini di quantità e qualità di erogazione dei servizi, grazie all’acquisto di dispositivi, software, servizi dedicati, grazie alla programmazione di percorsi formativi in ambito digitale e informatico, allo snellimento delle procedure”.




NO alla trasformazione implicita dei rapporti da tempo determinato a indeterminato

La Corte Costituzionale, con la sentenza 21 luglio-2 settembre 2020, n. 199, sancisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 14 della L.R. Sicilia n. 1/2019 che prevedeva il mantenimento in servizio, senza termine finale, del personale precario adibito al servizio antincendio boschivo regionale. Per la Corte Costituzionale una proroga dei contratti del personale precario, senza l’indicazione di alcun termine di durata, determina la trasformazione dei contratti di lavoro in rapporti di impiego a tempo indeterminato, in aperto contrasto con l’art. 97, quarto comma, della Costituzione (“Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”).

Secondo il Presidente del Consiglio dei Ministri, che ha impugnato la norma, la disposizione è incompatibile con la disciplina contenuta nell’art. 20 del D.Lgs. 75/2017 e con il principio dell’adeguato accesso dall’esterno, che costituisce un precipitato della previsione di cui all’art. 97, quarto comma, della Costituzione.

Il principio del pubblico concorso per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, quando l’intento è di valorizzare esperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione, può andare incontro a deroghe ed eccezioni, attraverso la trasformazione delle posizioni di lavoro a tempo determinato, già ricoperte da personale precario dipendente, a condizione che sia assicurata la generalità della regola del concorso pubblico e che l’area delle eccezioni sia definita in modo rigoroso (sentenze della Corte Costituzionale n. 9/2010, n. 215/2009 e n. 363/2006).

Secondo il costante orientamento della Corte Costituzionale, il concorso pubblico costituisce la forma generale ed ordinaria di reclutamento per le amministrazioni pubbliche, quale strumento per assicurare l’efficienza, il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione (ex plurimis sentenze n. 36/2020, n. 40/2018 e 251/2017).

Invece, la disposizione regionale censurata non indicando un termine finale del rapporto lavorativo, avrebbe consentito un generalizzato ed implicito meccanismo di proroga dei rapporti precari in essere, determinando la prosecuzione del contratto tendenzialmente in via definitiva, senza l’indizione di una selezione pubblica.




La trasformazione digitale della PA partirà entro il 28 febbraio 2021

Comunicato Ministero Innovazione Tecnologica

La digitalizzazione al servizio di cittadini e imprese, per semplificare i loro rapporti con la Pubblica amministrazione e contribuire al rilancio economico del Paese dopo la crisi generata dalla pandemia. Con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale della legge di conversione, si conclude l’iter del decreto ‘Semplificazione e innovazione digitale’ che rappresenta la base normativa per velocizzare il processo di trasformazione digitale.

“Abbiamo ora un insieme di norme che ci permette di accelerare lo sviluppo migliorando la qualità della vita dei cittadini e agevolando il lavoro delle imprese – sottolinea la Ministra dell’Innovazione tecnologica e della Digitalizzazione Paola Pisano -. Con questo provvedimento dimostriamo all’Europa che ci stiamo già muovendo nella direzione indicata dal Recovery Fund. Ringrazio il Parlamento per l’esame approfondito che ha svolto in un clima costruttivo ”.

Entro il 28 febbraio 2021 le amministrazioni sono tenute ad avviare i loro processi di trasformazione digitale. I servizi pubblici dovranno diventare quindi fruibili attraverso lo smartphone, lo strumento più usato dagli italiani per comunicare a distanza. Fissando questa scadenza è stata prevista flessibilità per i piccoli Comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti, per tenere conto delle difficoltà legate all’emergenza Covid-19.

La transizione digitale passa attraverso la cultura dell’innovazione ossia la predisposizione della pubblica amministrazione ad utilizzare nuovi approcci e nuove tecnologie offerete dal mercato per rispondere alle sfide della nostra società in campi diversi come la mobilità, la medicina e altro. Per questo la norma del decreto su “diritto a innovare” prevede procedure semplificate di cui beneficeranno imprese, start up e centri di ricerca per sperimentare progetti innovativi per lo sviluppo.

Anche il Decreto legge “Cura Italia” ha introdotto disposizioni per aiutare la Pubblica amministrazione nel dotarsi di tecnologie innovative, con l’intento di agevolare le attività da remoto come il lavoro agile e la didattica a distanza.

Per saperne di più:




La Corte dei Conti sul valore medio procapite del trattamento accessorio

La Corte dei Conti – Sezione regionale di controllo per la Lombardia ha fornito il proprio parere ad alcuni quesiti presentati da un Comune, che si riportano integralmente. Il giudice contabile ha considerato ammissibili solo i questiti 2) e 3) che pur richiamando le modalità di calcolo del salario medio procapite si riferiscono evidentemente al valore medio procapite del trattamento economico accessorio.

Quesiti

“1) sulla costituzione del fondo prima del 31 dicembre e del suo aggiornamento tecnico successivo, come sopra descritto, al fine di poter concludere la sottoscrizione del CCDI economico 2020 in tempi ragionevoli, nonostante il virus COVID-19;

2) sulle concrete modalità di calcolo del salario medio procapite. Questo Comune ritiene che ci si dovrebbe riferire all’importo del Fondo al netto dei valori non soggetti al limite, quali ad esempio i piani di razionalizzazione, le funzioni tecniche, gli incentivi IMU/TARI, e, pertanto, riferirsi al totale depurato delle voci non soggette al vincolo art. 23, comma 2, D.lgs. n. 75/2017;

3) se è possibile considerare, ai fini del calcolo del salario medio, solo il Fondo Risorse Decentrate, con riferimento al solo personale dipendente senza le posizioni organizzative, nel caso in cui l’amministrazione abbia già deciso il non incremento del fondo delle P.O., in caso di aumento del numero dei dipendenti in servizio al 31/12/2020 rispetto a quelli al 31/12/2018. Da una simulazione fatta risulta peraltro un incremento inferiore e quindi più prudente. Nondimeno non è possibile ex Lege procedere ad un incremento del Fondo Lavoro Straordinario;

4) come si determina il numero dei dipendenti in servizio al 31/12/2018;

5) come si determina il numero dei dipendenti in servizio al 31/12/2020;

6) come si procede a quantificare l’aumento del fondo nel 2020 nel caso in cui, ad esempio, nel medesimo anno le assunzioni avverranno dal 01/10/2020? E a regime nel 2021?

7) con riferimento a quale norma del CCNL/2018 si aggiungono le risorse al Fondo?

8) come si procede se ad esempio al 31/12/2021 il numero dei dipendenti in servizio è inferiore a quello considerato al 31/12/2020 e per il quale è stato definito l’incremento del fondo 2020?”

 

Parere

Occorre richiamare in primo luogo la norma su cui verte il quesito del Comune, ossia l’art 33, comma 2, del D.L. 30 aprile 2019 n. 34, convertito nella legge 28 giugno 2019 n. 58, laddove dispone che: “Il limite al trattamento accessorio del personale di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 27 maggio 2017, n. 75 è adeguato, in aumento o in diminuzione, per garantire l’invarianza del valore medio pro-capite, riferito all’anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa nonché delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione organizzativa, prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018”

Dal D.M. 17 marzo 2020 di attuazione delle disposizioni del d. l. 34/2019, si evince che resta comunque ferma l’irriducibilità per il trattamento accessorio del limite rappresentato dall’importo determinato per l’anno 2016, laddove nella Premessa dello stesso D.M. si legge “Rilevato che il limite al trattamento economico accessorio di cui all’art. 23, comma 2 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, è adeguato, in aumento e in diminuzione ai sensi dell’art. 33, comma 1 del decreto-legge n. 34 del 2019, per garantire il valore medio pro capite riferito all’anno 2018, ed in  particolare è fatto salvo il limite iniziale qualora il personale in servizio è inferiore al numero rilevato al 31 dicembre 2018”.

Precisato il quadro normativo di riferimento, i quesiti di cui ai punti 2 e 3 sebbene formulati con riferimento a “modalità di calcolo del salario medio pro capite” si riferiscono evidentemente, stante il richiamo normativo nelle premesse dell’istanza, al valore medio procapite del trattamento economico accessorio.

Il legislatore, con il riportato art. 33, comma 2, al fine di superare la rigidità del vincolo sancito dall’art 23 comma 2 del decreto legislativo 75/2017, per la determinazione del trattamento accessorio del personale degli enti locali il cui tetto era costituito da quello definito nel 2016, ha inteso adeguare il suddetto istituto in maniera flessibile al valore medio pro-capite del fondo e consentire, così, una quantificazione dello stesso in ragione di una spesa che resterà invariata per quanto attiene al valore medio fissato al 31 dicembre 2018.

Per la determinazione del “ valore medio pro-capite” occorre considerare (sommare) sia il valore del fondo relativo alle risorse per la contrattazione decentrata sia le risorse destinate alla remunerazione delle P.O. L’interpretazione letterale dell’art 33 della D.L.34/2019 nella parte sopra riportata non consente una scissione tra le due componenti in quanto la disposizione in commento, dopo aver affermato la necessità di garantire “l’invarianza del valore medio pro-capite, riferito all’anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa “, aggiunge l’espressione “nonché delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione organizzativa, prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018” .

Tale interpretazione oltre ad essere supportata dal dato letterale, è suffragata dal richiamo della disposizione stessa all’art. 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017 n. 75, che stabilisce “a decorrere dal 1° gennaio 2017, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016.”, fissando un limite al “trattamento accessorio” globalmente inteso senza distinzione alcuna ai fini della determinazione del tetto massimo.

Per stabilire il valore medio pro capite previsto dall’art 33, comma 2, del D.L. 34/2019 in argomento, non vi sono, quindi, elementi che possano portare a una diversificazione dei fondi ai fini che qui interessano.

In senso conforme è la deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Liguria PAR 56/2019 “La differente modalità di copertura finanziaria non ha inciso, tuttavia, sul limite di finanza pubblica da osservare ai sensi dell’art. 23, comma 2 del D. Lgs. n. 75/2017. Infatti, l’art. 67, comma 7 del nuovo CCNL, sopra menzionato, ha confermato, in modo esplicito, che “la quantificazione del Fondo risorse decentrate e di quelle destinate agli incarichi di posizione organizzativa, di cui all’art. 15, comma 5, deve comunque avvenire, complessivamente, nel rispetto dell’art. 23, comma 2 del D. Lgs. n. 75/2017 (Cfr. anche Sezione regionale di controllo Basilicata n. 2/2019/PAR, Sezione controllo Lombardia, n. 200/2018/PAR).

D’altra parte anche sotto un profilo logico e pragmatico non sarebbe di nessuna utilità considerare in maniera distinta le risorse delle P.O. per determinare un valore medio delle stesse non solo per la diversificazione notevole dei valori che possono interessare le posizioni organizzative, ma soprattutto perché in caso di costituzione di nuove posizioni organizzative la norma non consentirebbe una variazione in aumento del suddetto valore medio.

In conclusione, per determinare il costo medio pro-capite occorre procedere sommando il valore del fondo per la contrattazione decentrata con il valore complessivo delle risorse destinate al finanziamento delle P.O. e dividere l’importo risultante per il numero di tutti i dipendenti in servizio al 31/12/2018, comprese le posizioni organizzative.

La quantificazione del fondo, ai fini della determinazione del valore medio poi, deve essere fatta con riferimento soltanto a quelle voci che concorrono a determinare il tetto del trattamento accessorio di cui all’art 23 del decreto legislativo 75/2017.

Il  Collegio non può dare riscontro ai quesiti di cui ai n 1) 4) 5 )6) 7 )8), che non richiedono l’interpretazione di norme di contabilità pubblica, ma attengono alla richiesta di individuazione di norme contrattuali o alla definizione di procedure amministrative di competenza dell’Ente ovvero risultano incomprensibili (quesito n.1) e pertanto sono inammissibili.




Aperto il tavolo Governo/parti sociali per la riforma del sistema pensionistico

La riforma delle pensioni al centro dei dibattiti fra sindacati e Ministro del Lavoro. Diverse le possibilità per il post-Quota 100, che alla scadenza prevista alla fine del 2021 con ogni probabilità non sarà rinnovata, anche a causa dell’ostracismo della UE. Comunque, secondo quanto riportato dai media, la Ministra è dell’idea che Quota 100 non verrà toccata fino alla scadenza naturale nè verranno introdotti meccanismi penalizzanti.

Per scongiurare lo scalone che si andrebbe a creare il 1° gennaio 2022, quando entrerà in vigore anche il nuovo scatto di “anzianità” che prevede l’accesso alla pensione solo per chi abbia compiuto almeno 67 (ben 5 in più), sono state sin qui avanzate le ipotesi di Quota 41, Quota 101 o più plausibilmente Quota 102.

Ad oggi, in effetti, l’accesso alla pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età dei futuri pensionati (Quota 41), ammettendo anche i lavoratori fragili. Una possibilità che già esiste, ma prende in considerazione solo l’età del lavoratore restringendo di molto la platea coinvolta.

Il problema è come finanziare la riforma, che costerebbe 12 miliardi di euro sin dal primo anno.  L’unica strada è quella di prevedere delle penalizzazioni.

Si parla di un possibile ricalcolo interamente contributivo per coloro che sceglieranno la strada del pensionamento anticipato con questa misura o di una più ottimistica penalizzazione “al massimo del 3%” per ogni anno di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia, ponendo, però, come limite anagrafico di accesso i 62 anni di età (una sorta di quota 103).

Così, nella discussione tra Governo e Sindacati è comparsa una nuova formula di pensione anticipata, quella della Quota 102. Una mossa che costerebbe “solo” 2,5 miliardi rispetto agli 8,8 miliardi che occorrono per mantere Quota 100 nel 2020. Tra l’altro, stando ai dati 2019 (in attesa di quelli definitivi del 2020), Quota 100 aveva una previsione di 350mila lavoratori in uscita, ma in realtà solo 120mila hanno utilizzato realmente questa opportunità.

La caratteristica essenziale della Quota 102 sta nel fatto che rispetto alla formula della Quota 100, questa fisserebbe come età minima anagrafica per poter richiedere la pensione anticipata non più a 62 anni bensì a 64.

Tale modifica non comporterebbe tuttavia anche un cambiamento in merito ai requisiti contributivi, i quali rimarrebbero pressoché invariati, ovvero pari a 38 anni di contributi versati.

Inoltre, ciò che rende la formula della Quota 102 maggiormente sostenibile dal punto di vista economico riguarda l’aspetto relativo al taglio di circa il 2,8 – 3% del montante contributivo introdotto nel 1996 per ogni anno di anticipo, ossia ogni anno che serve per raggiungere l’eta anagrafica di 67. Questo porterebbe ad una decurtazione sul trattamento pensionistico di circa il 5%.

La formula della Quota 102 si stima che potrebbe interessare fino a 150 mila cittadini italiani all’anno e il suo costo girerebbe intorno agli 8 miliardi il primo anno, con una lieve diminuzione per quanto riguarda gli anni successivi.

Per il 25 settembre è previsto un nuovo vertice tra Governo e sindacati nazionali dove il confronto verrà esteso a tutte le misure da mettere in campo per la riforma pensioni.

Rispetto all’immediato, il Governo ha inoltre comunicato di voler prorogare Opzione donna e dell’Ape Social, in scadenza il 31 dicembre prossimo.

Per l’Ape Social, la richiesta dei sindacati è di ampliare la base dei beneficiari,  compredendo anche i lavoratori fragili a rischio Covid, ovvero quanti – seppur non invalidi al 74% – soffrono di patologie (tumori, immunodeficienze, malattie cardio-vascolari, etc) tali da essere potenzialmente esposti alle conseguenze peggiori, se infettati da Covid 19.

Questi interventi dovrebbero rientrare nella prossima Legge di bilancio e ovviamente più si amplierà la platea dell’Ape social, maggiori saranno i costi da sostenere per le casse dello Stato. Sembra anche che la proroga di Opzione donna e Ape social sia prevista per un solo ulteriore anno, arrivando quindi a scadenza a fine 2021, come Quota 100.

Per quanto riguarda Opzione Donna, una delle richieste sindacali è quella di fare in modo che si riduca il gap di genere presente anche nel sistema previdenziale. Il Comitato Opzione Donna Social da tempo chiede che in questo senso si proceda alla valorizzazione dei lavori di cura ai fini pensionistici. Anche per questo Orietta Armiliato, amministratrice del Cods, ricorda alle iscritte l’importanza di far sentire la propria voce in un momento in cui il Governo “apre il confronto con le parti sociali che sono gli organismi depositari del malessere delle lavoratrici e che quindi possono rappresentare al meglio le questioni che le riguardano”.

La questione merita di esser seguita con la massima attenzione e pertanto Vi manterremo costantemente informati sugli sviluppi.

 




Intervento CSA sui problemi degli Ufficiali di Anagrafe/Stato Civile/Elettorali

Oggi, il Segretario Generale Garofalo ha inviato al Presidente Aran Naddeo e alla Ministra Dadone una nota per segnalare i disagi che affliggono gli Ufficiali di Anagrafe, Ufficiali di Stato Civile e Ufficiali Elettorali, le cui mansioni si sono ampliate notevolmente negli anni, senza però che a ciò corrispondesse un benchè minimo riconoscimento.

 

Nota del 17 settembre




Il CSA denuncia i problemi del comparto Scuola

In data odierna il Segretario Generale ha inviato alle massime autorità competenti una nota per segnalare alcune rilevanti problematiche riguardanti l’avvio del nuovo anno scolastico, che ci interessano non solo come lavoratori ma anche come genitori e cittadini, essendo in gioco il presente e il futuro delle nuove generazioni.

Il CSA intende farsi pieno carico delle problematiche esposte, e pertanto sarà vigile affinchè le osservazioni avanzate siano prese in considerazione e trovino immediato riscontro sul piano normativo.

Nota del 16 settembe

 




Dal 15 settembre smart working “condizionato”

Da Italia Oggi 

Smart working sì, ma solo «a condizione che l’erogazione dei servizi rivolti a cittadini e imprese avvenga con regolarità, continuità ed efficienza, nonché nel rigoroso rispetto dei tempi previsti dalla normativa vigente». Il maxiemendamento al disegno di legge di conversione del dl 76/2020, cosiddetto Decreto Semplificazioni (convertito ieri in legge dalla Camera dei deputati) ha aggiunto la precisazione vista sopra alle previsioni dell’articolo 263 del decreto Rilancio (dl n. 34/2020). Il risultato è evidentemente l’ulteriore riduzione del numero dei dipendenti pubblici che potranno essere disposti in lavoro agile. Andando con ordine, dal prossimo 15 settembre sarà disapplicata la previsione contenuta nell’articolo 87, comma 1, lettera a), del dl 18/2020, che indicava alle amministrazioni di limitare la presenza del personale nei luoghi di lavoro per assicurare esclusivamente le attività che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente tale presenza, anche in ragione della gestione dell’emergenza.

A ben vedere, già dall’entrata in vigore del citato articolo 263 del dl 34/2020 le amministrazioni sono in gran parte rientrate dalla situazione d’emergenza e lo smart working si è ampiamente ridotto. Il ripetuto articolo 263 prevede che fino al 31 dicembre 2020 il lavoro agile sarà previsto esclusivamente per il 50% del personale addetto a mansioni che siano compatibili con questa forma di lavoro. Erroneamente molti leggono questa previsione nel senso che il 50% dei dipendenti pubblici resterà in lavoro agile, per salire al 60% nel 2021. Ma, i dipendenti pubblici sono circa 3.200.000. Circa la metà lo smart working non può proprio farlo: si tratta di forze dell’ordine, agenti di polizia municipale, medici, infermieri e personale tecnico ospedaliero, vigili del fuoco, personale esecutivo di ministeri ed enti locali. Ne restano 1.600.000. Di questi 1.600.000, circa 900 mila sono docenti, che lo smart working non possono effettuarlo. Ne restano 700 mila. Al massimo, se le varie amministrazioni fossero in grado, tutte, di individuare mansioni compatibili col lavoro agile, lo smart working potrebbe essere disposto per 350 mila dipendenti. In ogni caso, evidentemente il legislatore è consapevole che ritardi organizzativi e gravissime carenze nei collegamenti telematici e nella creazione di applicativi gestibili da remoto in sicurezza, in tantissimi casi hanno abbinato allo smart working rallentamenti operativi ed inefficienze: l’esatto opposto dei benefici che consente uno smart working ben organizzato e caratterizzato da dotazioni strumentali e in rete sufficienti.

Da qui, la previsione del maxiemendamento, che nell’enunciare la necessità di garantire lo smart working solo al 50% del personale adibito a mansioni con esso compatibili e di precisare che ciò non comprometta la regolarità, continuità ed efficienza, nonché il rigoroso rispetto dei tempi previsti dalla normativa vigente, in qualche misura «confessa» che l’esperienza dello smart working d’emergenza non ha brillato sempre per efficienza. La disposizione del maxiemendamento, inoltre, conferma che il numero dei dipendenti in lavoro agile sarà ben inferiore all’auspicato 50% di coloro che espletano mansioni astrattamente compatibili: infatti, se, a causa delle strutture e delle reti, il lavoro agile non garantisse efficienza e rispetto delle tempistiche, i dipendenti non potranno essere disposti in lavoro agile, nonostante le mansioni in teoria lo consentano.