Il Segretario Generale augura a tutti un sereno periodo di ferie

Mi pregio di rivolgere a tutti voi, uomini, donne e famiglie di FIADEL-CSA, i più sentiti auguri per un agosto sereno e ritemprante.

Mai come quest’anno abbiamo bisogno di rilassarci al mare, in montagna od ovunque ci piaccia, per metterci alle spalle questa annata orribile non solo sul piano lavorativo ma anche su quello delle relazioni sociali, per colpa di una pandemia che, ancora una volta, molti davano ormai per superata, e che invece continua a darci apprensione.

L’importante, comunque, è continuare a guardare avanti con fiducia, mantenendo la stessa tenacia nel difendere il nostro lavoro e le nostre prerogative, anche a costo di metterci contro un Governo che se da un lato cerca di rilanciare l’industria e l’economia, dall’altro non sta dando segnali positivi al mondo del lavoro, quasi che questo debba assoggettarsi alle cosiddette esigenze di ordine superiore.

Questo non lo abbiamo mai accettato e non lo accetteremo mai, soprattutto ora che tutti abbiamo perso qualcosa per colpa del Covid.

Ma l’aspetto prioritario, per la nostra Organizzazione Sindacale, è difendere strenuamente quel patrimonio che abbiamo faticosamente costruito in tutti questi anni e che purtroppo qualcuno, non solo a livello governativo, sta cercando di distruggere.

Dal primo settembre saremo nuovamente pronti a raccogliere tutte le sfide che si prospetteranno e a dare filo da torcere a tutti quelli che vogliono mettere i lavoratori all’angolo.

Con questo, Vi ringrazio per il contributo che da sempre date alla nostra causa e vi attendo fra un mese, pronto a riabbracciarVi.

Un cordiale saluto a tutti.

Francesco Garofalo

 




L’atto di indirizzo per il rinnovo CCNL Funzioni Locali predisposto dal Comitato di Settore

Publbichiamo l’Atto di Indirizzo per il rinnovo del CCNL FUNZIONI LOCALI predisposto dal Comitato di Settore Autonomie Locali, riservandoci di procedere ad una approfondita analisi dei contenuti e degli eventuali punti di criticità, che saranno tempestivamente segnalati all’ARAN.

 

Atto indirizzo_comparto Funzioni locali_2019-2021




Progressioni verticali: non è ammesso il “doppio salto”

Come evidenziato dalla Gazzetta degli Enti Locali, il rilancio delle progressioni verticali operato dall’articolo 3, comma 1, del d.l. 80/2021, che modifica l’articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs. 165/2001, non lascia spazio alla possibilità di far effettuare una progressione verticale con un balzo in avanti di due categorie, ovvero saltando la categoria che sta in mezzo tra quella di partenza e quella di arrivo (ad es. dalla B3 alla D).

Secondo alcuni questo salto sarebbe ammissibile in quanto la norma non lo vieta espressamente. Ma, come giustamente osservato dall’autore dell’articolo, l’ordinamento amministrativo considera legittimi solo gli istituti che disciplina in via espressa e tipica.

Essendovi comunque la necessità di arrivare a una conclusione certa, l’autore porta una serie di argomentazioni, come di seguito indicato.

Le progressioni verticali sono con ogni evidenza un sistema di vero e proprio reclutamento alternativo a quello del concorso pubblico. Le pubbliche amministrazioni hanno la possibilità, cioè, di coprire alcuni posti liberi nell’ambito del fabbisogno senza rivolgersi al “pubblico”, ma fornendo ai propri dipendenti l’opportunità di uno sviluppo di carriera, evidentemente fondato sulla maturazione della consapevolezza che tra i propri dipendenti sono maturate esperienze e competenze meritevoli dell’ascesa verticale.

È proprio questo l’elemento da tenere in specifica considerazione. La tesi opposta secondo la quale il salto sarebbe ammissibile trae altra argomentazione per sostenere le proprie ragioni dall’esame del mero possesso del titolo di studio. Si afferma, quindi, che laddove un dipendente in categoria B3 disponga della laurea, potrebbe per ciò solo concorrere alla progressione verticale.

Sfugge a questo modo di leggere le norme che in capo al dipendente, per quanto dotato del titolo di studio in astratto utile all’inquadramento in categoria D, manchi del tutto anche la sola possibilità di una valutazione dello svolgimento delle proprie attività tale da evidenziare un potenziale adeguato alla progressione.

Guardiamo i criteri di valutazione imposti dalla norma, ai fini della procedura comparativa da svolgere per selezionare i meritevoli del passaggio verticale:

  • la valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni di servizio,
  • l’assenza di provvedimenti disciplinari,
  • il possesso di titoli professionali e di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area,
  • il numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti.

Occorre, allora, porsi una domanda: quale utilità può avere, per la collocazione in D, la valutazione per attività connesse alla categoria B3; quali incarichi connesse alla categoria B3 stessa possono considerarsi minimamente comparabili utili e rilevanti, per reputare il dipendente come potenzialmente in grado di ascendere direttamente alla categoria D, senza passare dalla C? La risposta oggettiva è una sola: nessuna utilità.

Una progressione per saltum è all’evidenza solo una forzatura, che spesso per altro nasconde un chiaro favoritismo nei confronti di individuati dipendenti in apertissima violazione dei criteri anticorruzione posti dal Piano Nazionale 2013.

Il dipendente di categoria B che intenda ascendere alla D, per altro, ha aperte ben due strade. La prima: quella della progressione verticale nel medesimo ente, in successione dalla C alla D. Ci vuole tempo, certo, ma è esattamente quel richiedono legge e, prima ancora, logica. La seconda: partecipare ad un concorso pubblico per l’assunzione nella categoria D.

In conclusione, è d’obbligo evidenziare, comunque, che il divieto della progressione per saltum non è una lettura capricciosa di qualche interprete intento a tarpare le ali dei dipendenti pubblici. Essa si fonda, come visto, su evidenze normative inconfutabili.

In ogni caso, detto divieto trova un suo autorevole fondamento non normativo, bensì interpretativo, nelle sentenze della Corte Costituzionale 1/1999 e 194/2002, che richiama la prima.

La prima sentenza censura una procedura di concorso interno che non solo aveva riservato al personale interno il 100% dei posti disponibili, ma utilizzando l’escamotage di corsi, per altro dai contenuti formativi ignoti, come strumento di cooptazione, aveva esteso la promozione anche a dipendenti di due categorie inferiori, che avessero partecipato a detti corsi.

Anche il Ministero dell’interno, col parere ad oggetto “Progressione verticale personale EE. LL. – Art. 4, commi 1 e 2, del C.C.N.L. del 31 marzo 1999”, ha espresso la propria contrarietà al doppio salto: “la giurisprudenza costituzionale (…) non ha escluso la compatibilità delle progressioni interne dei dipendenti della pubblica amministrazione, purché le stesse siano conformi ai principi costituzionali, identificati dalla stessa Corte Costituzionale. Tali principi, estrapolati dal contenuto delle sentenze della Corte stessa, sono sostanzialmente identificabili nel divieto di procedere a progressione di soggetti non appartenenti alla qualifica immediatamente inferiore (c.d. principio del divieto del doppio salto) e nel rispetto delle regole generali di buon andamento della pubblica amministrazione, così come enucleate dall’art. 35 del decreto legislativo 30.3.2001, n. 165, che si riferiscono, in sostanza, all’obbligatorietà dello svolgimento di procedure selettive volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l’acceso dall’esterno; peraltro, quest’ultima, valutata dalla Corte stessa, non irragionevole, se rapportata alla riserva del 50% dei posti da coprire (sent. 234/94)”.

Infine, il divieto del doppio salto è enunciato e rilevato dalla giurisprudenza amministrativa costante, come ad esempio Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18 marzo 2010, n. 1604.

 

 




Le progressioni verticali Madia e Brunetta sono alternative tra loro

Tra la riforma delle progressioni verticali operata col d.l. 80/2021 e la disciplina delle progressioni verticali contenuta nell’articolo 22, comma 15, del d.lgs. 75/2017  non esiste relazione alcuna, anche se il ricorso alla disciplina della riforma Madia condiziona il ricorso alla disciplina della riforma “Brunetta”.

I testi delle norme:

art. 22, comma 15, d.lgs 75/2017

art. 52, comma 1-bis, d.lgs 165/2001 (come novellato dal d.l. 80/2021)

Per il triennio 2020-2022, le pubbliche amministrazioni, al fine di valorizzare le professionalità interne, possono attivare, nei limiti delle vigenti facoltà assunzionali, procedure selettive per la progressione tra le aree riservate al personale di ruolo, fermo restando il possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno. Il numero di posti per tali procedure selettive riservate non può superare il 30 per cento di quelli previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni consentite per la relativa area o categoria. In ogni caso, l’attivazione di dette procedure selettive riservate determina, in relazione al numero di posti individuati, la corrispondente riduzione della percentuale di riserva di posti destinata al personale interno, utilizzabile da ogni amministrazione ai fini delle progressioni tra le aree di cui all’articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Tali procedure selettive prevedono prove volte ad accertare la capacità dei candidati di utilizzare e applicare nozioni teoriche per la soluzione di problemi specifici e casi concreti. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni, l’attività svolta e i risultati conseguiti, nonchè l’eventuale superamento di precedenti procedure selettive, costituiscono titoli rilevanti ai fini dell’attribuzione dei posti riservati per l’accesso all’area superiore. I dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, conservatori e istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. La contrattazione collettiva individua, una ulteriore area per l’inquadramento del personale di elevata qualificazione. Le progressioni all’interno della stessa area avvengono secondo principi di selettività, in funzione delle capacità culturali e professionali, della qualità dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito. Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni fra le aree avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni di servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli professionali e di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area, nonchè sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti. All’attuazione del presente comma si provvede nei limiti delle risorse destinate ad assunzioni di personale a tempo indeterminato disponibili a legislazione vigente.

Occorre evidenziare, in particolare, i punti di immediata differenziazione:

Istituto

art. 22, comma 15, d.lgs 75/2017

art. 52, comma 1-bis, d.lgs 165/2001

Termine di applicazione Ultimo anno del triennio 2020-2022 Non c’è termine: norma a regime
Sistema di selezione Concorso interamente riservato Procedura comparativa
Criteri di selezione
  1. valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni,
  2. attività svolta e risultati conseguiti,
  3. eventuale superamento di precedenti procedure selettive
  1. valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni di servizio,
  2. assenza di provvedimenti disciplinari,
  3. possesso di titoli professionali e di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area,
  4. numero e tipologia degli incarichi rivestiti
Quantità di posti riservati Non oltre il 30 per cento di quelli previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni consentite per la relativa area o categoria Non oltre il 50 per cento delle posizioni disponibili destinate all’accesso dall’esterno

Come si nota, le diversità tra le due norme sono molto significative. Principale tra le quali è la durata limitata della norma del 2017, i cui effetti spireranno l’anno prossimo. Molto diversi sono anche gli elementi da considerare ai fini della valutazione e lo stesso sistema selettivo.

Ma, il punto di maggior interesse consiste nella fissazione della quantità di dipendenti che possono aspirare alla progressione verticale.
La norma contenuta nel d.lgs. 75/2017 si è da sempre caratterizzata per la sua specialità ed autonomia rispetto alla disciplina del d.lgs. 165/2001, col preciso scopo di rilanciare le progressioni verticali, rimaste congelate per anni, schiacciate, da un lato, dalla privazione di effetti economici alle progressioni disposto dall’articolo 9, commi 2 e 21, del d.l. 78/2010, dall’altro dai vincoli assunzionali, che hanno fatto propendere le amministrazioni per reclutare dall’esterno. Infine, dalla circostanza che l’originario testo dell’articolo 52, comma 1-bis, imponendo di gestire le progressioni verticali mediante concorso pubblico con riserva di posti non superiore al 50% ha reso molto difficile ricorrere a detto istituto, specie per gli Enti locali, nei quali il più delle volte è inconsueto mettere a concorso almeno 2 posti del medesimo profilo e categoria.

La riforma Madia ha superato quei vincoli, consentendo progressioni verticali mediante concorsi interamente riservati e non pubblici con riserva e prevedendo una percentuale dei posti pari al 30% di quelli previsti nella programmazione, consentite per la relativa area o categoria.

Ora, la riforma Brunetta del 2021, superando le previsioni della riforma Brunetta del 2009, regola le progressioni verticali in modo nuovo e diverso, oggettivamente tale da rendere sostanzialmente privo di senso insistere nell’utilizzazione del sistema delle progressioni disciplinato dalla riforma Madia.
Infatti, al di là delle differenze tra le due norme, viste prima, vi è un sostanziale e decisivo punto in comune: la progressione può avvenire non per concorso pubblico con riserva di posti, bensì con un reclutamento interamente riservato, qualificato come “procedura comparativa” nella riforma del 2021. La quale, rispetto alla norma del 2017, presenta un indubbio ulteriore incentivo: consente di estendere la progressione verticale al 50% del numero delle posizioni che sarebbe possibile ricoprire con accesso dall’esterno (rectius, mediante concorso).
A ben vedere, non pare vi sia una ragione precisa, oggi, per utilizzare la disposizione dell’articolo 22, comma 15, del d.lgs. 75/2017, invece che l’articolo 52, comma 1-bis, novellato, del d.lgs. 165/2001.
La novella del 2021, tuttavia, non ha disposto l’abolizione espressa della norma del 2017 (opzione che sarebbe stata possibile ed anche auspicabile, per evitare superfetazioni normative di medesimi istituti).
Tuttavia, da detta novella del 2021 non pare derivi un’abolizione tacita, per una ragione connessa all’unico punto della disciplina del 2017 che in effetti costituisce un contatto tra le due disposizioni: la parte nella quale si stabilisce che “l’attivazione di dette procedure selettive riservate determina, in relazione al numero di posti individuati, la corrispondente riduzione della percentuale di riserva di posti destinata al personale interno, utilizzabile da ogni amministrazione ai fini delle progressioni tra le aree di cui all’articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001”.
Questa previsione chiarisce che laddove un ente utilizzi l’autonoma procedura della riforma Madia, “consuma” parte del complesso dei posti che sarebbe possibile ricoprire con progressione verticale.
Per essere più chiari, si ponga che il comune A possa effettuare nell’anno 2021 12 assunzioni. Con la disposizione del d.l. 80/2021, può decidere di coprire con progressione verticale 6 di questi posti. Con la disposizione del d.lgs. 75/2017, può destinare a progressioni verticali, però, 4 posti. Dunque, se il comune A attivi 4 progressioni verticali utilizzando la norma Madia, può realizzare altre 2 progressioni verticali secondo la disciplina dell’articolo 51, comma 1-bis, del d.lgs. 165/2001.
Ovviamente, questo esempio vale solo sul piano strettamente aritmetico: coglierebbe perfettamente nel segno se le 12 assunzioni fossero destinate tutte quante ad una medesima categoria di classificazione.
Non si deve dimenticare, infatti, che secondo la consolidata lettura data dalla magistratura contabile dell’articolo 22, comma 15, del d.lgs. 165/2001, quel 30% di progressioni verticali non si può computare sul complesso delle assunzioni, ma solo su ciascuna categoria.

Quindi, tornando al nostro esempio, si immagini che le 12 assunzioni siano distribuite così:

Categoria N. assunzioni previste 30% N. progressioni possibili
B3 4 1,2 1
C 4 1,2 1
D 4 1,2 1

In questo caso, quindi, il Comune può attivare, con la riforma Madia, non 4, ma 3 progressioni verticali; ne resterebbero, allora, altre 3 per le progressioni verticali “Brunetta”.
Ipotizziamo questo altro scenario:

Categoria N. assunzioni previste 30% N. progressioni possibili
B3 5 1,5 1
C 5 1,5 1
D 2 0,6 0

In questo caso, le regole sull’arrotondamento aritmetico riducono le progressioni “Madia” a solo 2.
Quale potrebbe essere, allora, la “convenienza” a continuare ad avvalersi fino al 2012 della disciplina del d.lgs 75/2017? La circostanza che la selezione per la progressione verticale ivi prevista sia meno rigorosa, e quindi meno esclusiva, di quella stabilita dalla novella del 2021. Questa, infatti, introduce come criterio selettivo fondamentale il “possesso di titoli professionali e di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area”, nonché la quantità e la qualità degli “incarichi” rivestiti.
La norma “Madia” è più blanda e, per questo, consente una partecipazione più ampia e chance di superamento anche a chi non disponga di titoli superiori a quelli di accesso, né vanti particolari incarichi precedenti.

Oggettivamente, la norma “Brunetta” si fa preferire, perché la maggiore rigorosità selettiva è prevista a fronte dell’eliminazione del concorso pubblico con riserva di posti.
Sta di fatto che poiché le due norme sono tra esse autonome ed indipendenti, a parte la circostanza che la norma “Madia” finisca per “consumare” parte delle progressioni verticali “ordinarie”, quelle disciplinate dall’articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs. 165/2001, laddove un comune decida di applicare la previsione del d.lgs. 75/2017, non potrà estendere alla procedura ivi prevista quella della novella del 2021.

 




Vaccinazioni Coronavirus: nessun permesso speciale per assenza dovuta alla somministrazione

Nessuna norma riconosce permessi specifici in relazione alla vaccinazione per il Coronavirus. Solo per il personale del comparto scuola e università è prevista un’apposita giustificazione dell’assenza; al contrario, i lavoratori in servizio presso gli altri comparti, qualora si assentino dal lavoro per la somministrazione, hanno a disposizione i permessi personali o gli altri istituti previsti dalla contrattazione. Inoltre, le assenze dovute ai postumi del vaccino sono considerate giornate di malattia ordinaria. È questo il chiarimento offerto dal Dipartimento della Funzione pubblica mediante il parere dell’8 giugno 2021, n. 38420.




Parere in materia di fruizione dei congedi parentali ad ore

La valutazione circa la possibilità di concedere permessi al dipendente che presenti istanza, qualora lo stesso fruisca anche del riposto giornaliero, è facoltà attinente all’autonomia organizzativa dell’ufficio. A tal fine, il conteggio delle ore spettanti per il congedo deve essere effettuato su base giornaliera, secondo quanto definito dalle disposizioni della contrattazione che individua il limite di dieci mesi, undici qualora il padre ne fruisca per un periodo continuativo o frazionato di tre mesi. Ciò è quanto precisato dal Dipartimento della Funzione pubblica mediante il parere del 28 maggio 2021, n. 0036610.

Il quesito rivolto al Dipartimento attiene alla corretta applicazione delle clausole normative e contrattuali riguardanti il congedo parentale ad ore. Rispetto il primo quesito, esordisce il parere, “nel richiamare il disposto dello stesso articolo 32, comma 1-ter del d.lgs n. 151/2001, deve condividersi il parere espresso dall’ARAN attraverso l’orientamento del 15 giugno 2018″: la finalità della clausola di divieto di cumulo è evitare che l’assenza del dipendente si protragga per l’intera giornata o per buona parte di essa.

Il Dipartimento afferma quindi il valore dell’autonomia organizzativa della PA, posto il rispetto delle condizioni legali; in caso contrario, il legislatore avrebbe inserito nella norma istruzioni circa il coordinamento del cumulo con altri istituti. Per quanto attiene al conteggio delle ore spettanti, il Dipartimento si affida nuovamente all’interpretazione fornita dai tecnici dell’ARAN, questa volta nel parere del 18 agosto 2015: ” La scelta operata dalle parti contrattuali, quindi, fa propria l’individuazione dell’intervallo di fruizione oraria nella forma di metà dell’orario medio giornaliero, il cui impatto, rispetto al montante di giornate di congedo spettanti, consuma una frazione pari allo 0,5“.

 

 IL PARERE DEL DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA DEL 28 MAGGIO 2021, n. 0036610




Il riparto del Fondo Covid per gli Enti Locali

È stato raggiunto l’accordo in sede di Conferenza Stato-Città, presieduta dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, in merito al riparto del Fondo per l’esercizio delle funzioni degli Enti locali. L’intesa prevede l’erogazione di una somma pari a 1 miliardo e 280 milioni di euro, come previsto dall’articolo 106 del d.l. n. 34/20201 miliardo e 150 milioni saranno destinati ai Comuni, mentre le Città metropolitane riceveranno i restanti 130 milioni.

Non tutte le risorse dello stanziamento iniziale, pari a 1 miliardo e mezzo, saranno erogate immediatamente. Sarà anzitutto fondamentale, in questa fase, garantire il ristoro della perdita di gettito connessa all’emergenza sanitaria. Buone notizie per le grandi città: Milano, Roma e Venezia riceveranno rispettivamente 184, 90 e 74 milioni. Il fabbisogno 2021 del comparto è stato calcolato, chiaramente, alla luce delle minori entrate, al netto però delle minori spese per i contratti di servizio. È stata dedicata attenzione anche al trasporto pubblico locale, per il quale è stato calcolato un importo pari al 25% della variazione di entrate 2019-2020; valore a cui si aggiungono le risorse per compensare le variazioni di imponibile per l’addizionale IRPEF 2021. Ad ogni modo, il fabbisogno 2021 è ora determinato in 969 milioni, al netto dell’addizionale IRPEF, in considerazione dell’acconto 2021 già erogato. In relazione ai criteri di riparto, l’obiettivo era assicurare una quota pari ad almeno 2 euro per abitante per ciascun Comune. Nel prosieguo della seduta è stato anche preso in esame, e successivamente approvato, il DPCM recante la ripartizione del Fondo per i contenziosi connessi a sentenze esecutive emesse a causa di calamità o cedimenti strutturali, o da accordi transattivi ad esse collegate, verificatesi entro il 25 giugno 2016. I Comuni interessati da tale provvedimento, volto ad evitare che gli stessi precipitino nel dissesto finanziario, sono Pontboset (AO), Noli (SV), San Giuliano di Puglia (CB), Lettere (NA), Castellaneta (TA) e Sarno (SA).




Solo il sindaco può emanare l’ordinanza contingibile e urgente

L’ordinanza contingibile e urgente sottoscritta da un dirigente è illegittima in quanto viziata da incompetenza. Alla luce di un consolidato orientamento giurisprudenziale solo il sindaco, in qualità di ufficiale di governo, è dotato di tale potere, non delegabile, peraltro, a soggetti diversi dall’Amministrazione comunale, anche in considerazione del fatto che al dirigente in questione sono attribuiti solo compiti di ordinaria gestione del patrimonio comunale che non contemplano in nessun modo l’adozione di provvedimenti extra ordinem a tutela della sicurezza. Sono queste le conclusioni cui è giunto il TAR Campania, Sez. V, mediante la sentenza dell’8 luglio 2021, n. 4693.

L’istante ha impugnato le ordinanze con le quali il funzionario comunale responsabile del servizio igiene e sanità, sulla base del verbale di sopralluogo effettuato dalla Polizia municipale, ha ordinato di provvedere alla pulizia radicale del fondo di cui l’istante è proprietaria mediante il taglio delle erbacce e degli arbusti selvatici, entro il termine perentorio di 20 giorni dalla notifica. Il Collegio ha ritenuto di dover accogliere il ricorso soprattutto alla luce dell’illegittimità dei gravati provvedimenti per l’incompetenza del dirigente responsabile dell’emanazione. Assume infatti rilievo l’esercizio della potestà di ordinanza riservato, dall’articolo 54 del TUEL, espressamente al sindaco. Dunque le determinazioni comunali così assunte soffrono il vizio di incompetenza, per cui s’impone l’annullamento delle stesse.

 

IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA




La progressione verticale verso la dirigenza sarà una lunga sanatoria dei dirigenti a contratto

L. Oliveri (La Gazzetta degli Enti Locali 7/7/2021)

L’articolo 3, comma 3, del d.l. 80/2021, nel rispetto delle indicazioni programmatiche enunciate nel marzo 2021 dal Ministro della funzione pubblica, apre nettamente percorsi di carriera per i dipendenti pubblici, rendendo possibile la progressione verticale dalla qualifica di funzionario a quella dirigenziale.
È bene ricordare che fin qui tale progressione non era possibile: l’accesso alla dirigenza era assicurato esclusivamente da procedure di concorso pubblico, che, oggettivamente, costituivano ed un tempo un criterio selettivo molto accentuato, ma anche ostacolo alle prospettive di carriera, per l’asimmetria organizzativa.
La carriera, infatti, nelle pubbliche amministrazioni non è lineare: l’accesso alla dirigenza non è comunque disponibile in tutti gli enti, perché non tutti prevedono qualifiche dirigenziali. Pertanto, molto spesso l’accesso alla dirigenza implica anche scelte “logistiche” ed il passaggio ad amministrazioni diverse, e non necessariamente quindi un salto di carriera nell’ente di appartenenza.
Tuttavia, nei fatti gli enti hanno utilizzato in via di prassi (ed in modo certamente più che criticabile) strumenti per aggirare gli ostacoli al percorso di carriera ed introdurre comunque una vera e propria progressione verticale, sia pure non in grado di assicurare con continuità l’accesso alla dirigenza.
Si tratta dell’uso distorto delle previsioni contenute nell’articolo 110 del d.lgs. 267/2000 e dell’articolo 19, comma 6, del d.lgs. 165/2001 e, cioè, degli incarichi dirigenziali a contratto.
La combinazione tra le due norme, per alto obbligatoria e necessaria, come da sempre indica la giurisprudenza e come dal 2009 impone il comma 6-ter, dell’articolo 19 del d.lgs. 165/2001, impone di attribuire gli incarichi a contratto in presenza di alcune condizioni oggettive e di requisiti soggettivi molto specifici.
Sul piano soggettivo, gli enti debbono dimostrare che l’incarico è finalizzato a coprire fabbisogni di particolare, dunque non comune, qualificazione professionale, a condizione che tali qualificazioni non siano rinvenibili negli organici, fornendo a proposito adeguata dimostrazione e motivazione.
Sul piano soggettivo, alla particolare qualificazione del fabbisogno, corrisponde la elevata e non ordinaria qualificazione professionale dei destinatari, reclutabili con le forme semplificate e parzialmente derogatorie al concorso pubblico specificati dalle norme, tra persone di particolare e comprovata qualificazione che:

  1. abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali,
  2. o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza,
  3. o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.

La prima e la terza categoria di soggetti non pone problemi interpretativi. In particolare la terza è chiarissima: si possono reclutare tra i dirigenti persone la cui attività lavorativa è già stata preceduta da concorsi selettivi di altissimo profilo ed è caratterizzata da attività e funzioni in qualche misura già simmetriche a quelle dirigenziali (anche se per i docenti universitari questo non è da dare per scontato). La prima categoria è riferita nella sostanza a chi abbia in passato già rivestito incarichi dirigenziali, anche in soggetti privati, per almeno 5 anni.
Oggetto delle distorsioni interpretative e, soprattutto, applicative è sempre stata la second categoria. Le amministrazioni sono sempre state portate a leggere solo la parte finale della norma, nella quale si consente di assegnare l’incarico dirigenziale a personale interno in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza con 5 anni di servizio, limitando a questo solo requisito il presupposto per l’attribuzione. A meglio leggere, invece, la norma chiede di più: non basta la semplice anzianità di servizio, ma occorre insieme all’esperienza lavorativa quinquennale la “particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche”.
Sta di fatto che le PA ed in particolare gli Enti locali hanno largheggiato nell’attribuire incarichi a contratto a funzionari interni, del tutto privi dei requisiti di particolare professionalità richiesti dalla norma, utilizzando appunto l’articolo 110 del d.lgs. 267/2000 e l’articolo 19, comma 6, del d.lgs. 165/2001 come strumento per assicurare una “progressione verticale a tempo determinato”, che però non di rado si è dimostrata stabile nel tempo, per effetto delle molte reiterazioni di detti incarichi.
L’articolo 3 del d.l. 80/2021, come detto, introduce una vera e propria progressione verticale verso la dirigenza, potenzialmente capace di assicurare molti benefici:

  1. attivare percorsi di carriera fin qui accidentati;
  2. creare uno strumento lineare e regolato dalla norma per l’accesso dei funzionari già dipendenti dalle amministrazioni che intendono coprire fabbisogni di qualifiche dirigenziali;
  3. superare, di conseguenza, attuazioni delle norme oltre i limiti della legittimità;
  4. porre in essere i presupposti per una formazione interna di soggetti competenti ed in grado di assumere progressive funzioni responsabilizzanti.

Guardando, quindi, la parte mezza piena del bicchiere della riforma, i vantaggi potenziali sono molti ed importanti.
Non può sfuggire un dettaglio: la nuova progressione verticale verso la dirigenza dovrebbe porre un freno appunto ad incarichi dirigenziali a contratto a funzionari interni non di rado forzati e, soprattutto, caratterizzati dall’assenza dei requisiti soggettivi. Ma, anche oggettivi: nessuno è mai riuscito efficacemente a spiegare come sia possibile attribuire incarichi motivati dall’assenza di professionalità nella dotazione organica a dipendenti che facciano parte della medesima dotazione organica!
La progressione verticale non obbliga a spiegare l’attribuzione della qualifica dirigenziale ai funzionari sulla base della necessità di acquisire professionalità peculiari, ma sarà una modalità ordinaria di selezione e di carriera, senza le forche caudine di motivazioni e rilevazioni complicate, barocche e spesso, a ben vedere, solo formali.
Non si può negare, tuttavia, che la parte mezza vuota della riforma sia parecchio preoccupante, per una serie di ragioni.
In primo luogo, in assenza di controlli preventivi esterni di legittimità, nessuno potrà assicurare che le progressioni verticali non saranno disegnate “ad personam” (in violazione, per altro, delle indicazioni anche del Piano Nazionale Anticorruzione del 2013) e senza la specifica attenzione alla qualificazione professionale richiesta.
In secondo luogo, il combinato disposto tra progressione verticale verso la dirigenza e la liberalizzazione della mobilità potrà amplificare a dismisura i casi come quelli del Lazio, ove un comune di piccolissime dimensioni, Allumiere, ha fatto nella sostanza da “centrale” di concorsi, per consentire la creazione di una lunga lista di idonei (molti dei quali casualmente funzionari di partito di spicco o parenti di funzionari di partito di spicco) alla quale hanno attinto tante amministrazioni, dalla regione ad altri comuni. Un simile sistema potrebbe non casualmente essere costruito per assicurare concorsi localizzati, non facilmente individuabili dai “radar”, semplici e mirati, perché qualcuno possa essere assunto come funzionario e dopo poco essere poi trasferito per accedere alla dirigenza. Troppo complicato? Quando le amministrazioni locali intendono slalomeggiare tra le norme, si assiste ad applicazioni forzate ben più arzigogolate.
Ma, il punto che si intende approfondire qui è un altro. La tabella di raffronto che proponiamo di seguito evidenzia una certa sovrapponibilità tra l’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 e le nuove disposizioni introdotte dall’articolo 3, comma 3, del d.l. 80/2021 nel corpo dell’articolo 28 del d.lgs 165/2001, in relazione alla possibilità che funzionari accedano alla dirigenza:

 

Art. 19, comma, 6, stralcio Art. 28, comma 1-ter, del d.lgs 165/2001, come introdotto dall’articolo 3, comma 3, del d.l. 80/2021
Tali incarichi sono conferiti, fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitariada pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza Fatta salva la percentuale non inferiore al 50 per cento dei posti da ricoprire, destinata al corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola nazionale dell’amministrazione, ai fini di cui al comma 1, una quota non superiore al 30 per cento dei posti residui disponibili sulla base delle facoltà assunzionali autorizzate è riservata, da ciascuna pubblica amministrazione al personale in servizio a tempo indeterminatoin possesso dei titoli di studio previsti a legislazione vigente e che abbia maturato almeno cinque anni di servizio nell’area o categoria apicale. Il personale di cui al presente comma è selezionato attraverso procedure comparative bandite dalla Scuola nazionale dell’amministrazione, che tengono conto della valutazione conseguita nell’attività svolta, dei titoli professionali, di studio o di specializzazione ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso alla qualifica dirigenzialedella tipologia e del numero degli incarichi rivestiti con particolare riguardo a quelli inerenti agli incarichi da conferire e sono volte ad assicurare la valutazione delle capacità, attitudini e motivazioni individuali. A tal fine, i bandi definiscono le aree di competenza osservate e prevedono prove scritte e orali di esclusivo carattere esperienziale, finalizzate alla valutazione comparativa e definite secondo metodologie e standard riconosciuti. A questo scopo, sono nominati membri di commissione professionisti esperti nella valutazione delle suddette dimensioni di competenza, senza maggiori oneri

 

Tratti comune delle due norme sono:

  1. l’esperienza pregressa almeno quinquennale;
  2. il possesso di titoli di studio o di specializzazione ulteriori a quelli previsti per l’accesso alla qualifica dirigenziale.

La norma del 2021 ha, tuttavia, il pregio di specificare con maggior chiarezza quei tratti, lasciati invece troppo indeterminati e preda di applicazioni arbitrarie da parte dell’articolo 19, comma 6, del d.lgs. 165/2001.
Si guardi all’esperienza: non basta una semplice “anzianità” nella qualifica, ma fanno titolo, ai fini della procedura comparativa il numero degli incarichi rivestiti, attinenti alla posizione dirigenziale da ricoprire, e la valutazione ottenuta, che dà un’idea di come quegli incarichi siano stati svolti.
Si guardi ai titoli di studio o di specializzazione. L’articolo 19, comma 6, pretende, a ben vedere, che l’incaricato a contratto disponga sia di titoli postuniversitari e pubblicazioni scientifiche; l’articolo 28, comma 3-ter, novellato, ai fini della progressione verticale richiede che il candidato dimostri titoli e specializzazioni ulteriori alla laurea, necessaria per accedere alla qualifica.
Insomma, la progressione verticale è resa possibile, ma la condizione per accedervi è un investimento importante del dipendente nella propria carriera, accedendo ad incarichi di responsabilità, e nella propria formazione, acquisendo titoli di specializzazione (master, dottorati).
Si vorrebbe assicurare la progressione verticale non come sbocco automatico per anzianità al funzionario, ma a chi mostri capacità osservate nel passato e l’acquisizione di titoli e competenze, tali da consentire l’acquisizione di una qualifica dirigenziale che abbia prospettive di successo gestionale, sebbene non ottenuta a seguito del superamento del tradizionale concorso.

Se questi sono i pregi dell’impianto, non possono sfuggirne i gravi difetti. Un primo, che sarà da dimostrare, è il rischio di utilizzare la progressione verticale proprio come sbocco automatico, per nulla meritocratico. Vero è che le prove comparative dovrebbero dare merito al titolo di studio superiore, all’esperienza connessa ad incarichi concretamente gestiti ed alla valutazione positiva: ma, in assenza di criteri omogenei di pesatura di questi elementi, il rischio è che se ciascun ente farà da sé, potrà anche annullare nei fatti la significatività di questi criteri, se il predestinato non abbia in ogni caso né esperienza, né titoli rilevanti (non bisogna dimenticare che in Italia si sono verificati casi di direttori generali di comuni con la sola terza media e di dirigenti a contratto nemmeno laureati).
Ma, il secondo elemento critico appare il più delicato. Gli effetti positivi (che speriamo prevalgano su quelli nefasti, pur temendo la prevalenza di questi secondi) della riforma difficilmente si vedranno per un iniziale ma lungo tratto di tempo.

La progressione verticale, così come congegnata e grazie alla chiara parziale sovrapponibilità con l’articolo 19, comma 6, si presta ad essere utilizzata come mega sanatoria per gli incarichi a contratto conferiti in questi anni a funzionari.
È l’occasione per trasformare quella “progressione verticale a tempo determinato” in via di fatto realizzata così tanto spesso e in violazione delle norme, in una progressione definitiva, mirata esattamente a chi ha beneficiato o sta beneficiando degli incarichi dirigenziale a contratto, da “interni”.
Non ci si lasci ingannare dalla circostanza che la progressione verticale verso la dirigenza sia riservata solo ai dipendenti a tempo indeterminato. Solo in apparenza gli incaricati a contratto sono dipendenti a tempo determinato; lo sono nella qualifica dirigenziale, ma se si tratta di incaricati “interni”, sono dipendenti a tempo indeterminato con la qualifica di funzionari e collocati in aspettativa. Dunque, possono certamente concorrere alla verticalizzazione.

Non solo. I funzionari incaricati a contratto in questi anni, pur magari non possedendo né i tioli di studio postuniversitari né le pubblicazioni scientifiche che, pure, la norma imponeva, hanno certamente accumulato incarichi perfettamente in linea con la qualifica dirigenziale da coprire.
La rendita di posizione acquisita da costoro appare evidentissima e tale che bandi ben calibrati, volti a dare maggiore spazio valutativo appunto agli incarichi, specie se “dirigenziali” e molto meno ai titoli, non potranno che avere un esito scontato: la “stabilizzazione” degli incaricati a contratto, a sanatoria degli incarichi dirigenziali un po’ fantasiosi loro appannaggio negli anni.
Facile immaginare che per un tratto di tempo medio lungo le progressioni verticali verso la dirigenza saranno finalizzate alla trasformazione degli incarichi a contratto in assunzioni stabili nella qualifica dirigenziale.
Per lo stesso non breve tratto di tempo, dunque, si renderà concreta l’immissione di rilevanti quantità di dipendenti pubblici nella qualifica dirigenziale, selezionati a suo tempo nonostante l’assenza di rilevanti e peculiari competenze e per ragioni di chiara appartenenza politica o, comunque, fiduciarie.

Non un grande esito per una riforma che, per quanto caratterizzata da potenzialità positive, nell’immediato presta il fianco ad essere totalmente soffocata da intenti ben diversi dall’apertura delle carriere alla formazione e all’approdo verso la dirigenza. E, come rilevato prima, anche dopo, una volta realizzata la mega sanatoria che per anni vanificherà i benefici, è comunque esposta ad applicazioni distorte, in assenza di controlli, chi assicurerà davvero il possesso in capo ai funzionari scelti il possesso dei requisiti, visto che nel corso di questi anni sono stati assegnati incarichi a contratto appunto a persone che i requisiti imposti dall’articolo 19, comma 6, non li vedevano nemmeno col binocolo.




Decreto Sostegni bis, 660 milioni per salvare i bilanci dei Comuni

Decreto Sostegni bis, 660 milioni per salvare i bilanci dei Comuni

Fonte: ItaliaOggi

Più fondi e più tempo per ripianare i disavanzi extra creati nei conti comunali dalla sentenza della Consulta (n.80/2021) sul Fondo anticipazioni di liquidità. La dote di 500 milioni, prevista dal testo originario del decreto legge Sostegni bis (dl 73/2021), sale a 660 milioni. E si riconosce agli enti la possibilità di ripianare dal 2021 l’eventuale maggiore disavanzo, registrato al 31 dicembre 2019 e derivante dalla pronuncia della Corte, in quote costanti entro il termine massimo di 10 anni al netto delle anticipazioni rimborsate nel 2020. Questo il punto di caduta su un tema caldo che da fine aprile agita il mondo delle autonomie, impattando sui bilanci di almeno 900 comuni, di cui 456 a rischio concreto di default. La soluzione, che dovrebbe essere messa al voto oggi in commissione bilancio della Camera e potrebbe essere ulteriormente modificata con ritocchi dell’ultim’ora, è frutto della riformulazione da parte del governo degli emendamenti ANCI al decreto legge Sostegni bis. Emendamenti in cui l’Associazione dei Comuni, oltre a chiedere più risorse (1 miliardo in totale per il 2021) rispetto a quelle che l’esecutivo sembrerebbe voler riconoscere agli enti, puntava anche a modificare il limite attualmente previsto che circoscrive la possibilità di fruire dei fondi ai soli municipi con maggiori disavanzi superiori al 10% di incidenza sulle entrate correnti.

L’ANCI aveva giudicato «del tutto arbitrario» tale paletto e aveva chiesto che venisse rimosso. Per il momento nel testo dell’emendamento che dovrebbe andare al voto in commissione non c’è traccia di questo dietrofront anche se non è escluso che su questo tema le richieste dei sindaci possano essere accolte. L’emendamento detta anche le istruzioni su come contabilizzare il rimborso annuale delle anticipazioni di liquidità a decorrere dall’esercizio 2021. Gli enti, spiega la norma, iscriveranno nel bilancio di previsione il rimborso annuale delle anticipazioni di liquidità «nel titolo 4 della missione 20 – programma 03 della spesa, riguardante il rimborso dei prestiti». A decorrere dal medesimo anno 2021, in sede di rendiconto, gli Enti locali ridurranno, «per un importo pari alla quota annuale rimborsata con risorse di parte corrente, il fondo anticipazione di liquidità accantonato». La quota del risultato di amministrazione liberata seguito della riduzione del fondo anticipazione di liquidità sarà iscritta in entrata del bilancio dell’esercizio successivo come «Utilizzo del fondo anticipazione di liquidità», in deroga ai limiti previsti dall’articolo 1, commi 897 e 898, dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2018 n. 145. Nella nota integrativa allegata al bilancio di previsione nella relazione sulla gestione allegata al rendiconto dovrà essere data evidenza della copertura delle spese riguardanti le rate di ammortamento delle anticipazioni di liquidità, che, precisa la disposizione, «non possono essere finanziate dall’utilizzo del fondo anticipazioni di liquidità». «In accordo con tutti i capigruppo della commissione bilancio, siamo al lavoro per inserire nel decreto Sostegni bis una norma in grado di valutare con maggior ponderazione gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale che interviene su un’area di comuni e, più marginalmente, di province e Città metropolitane, caratterizzati da maggior fragilità e rigidità degli equilibri di bilancio, sui quali deve essere definita una nuova politica di sostegno al risanamento finanziario, attraverso una più ampia riforma della disciplina delle crisi finanziarie», ha spiegato Roberto Pella, capogruppo di Forza Italia in quinta commissione e primo firmatario dell’emendamento. «Con questa proposta, anche in considerazione degli effetti dell’emergenza epidemiologica tuttora in corso, si permette il recupero dei disavanzi di amministrazione degli enti locali mediante l’allungamento dei rispettivi periodi di ammortamento. Grazie a questa norma per la quale è doveroso ringraziare anche il viceministro all’economia Laura Castelli, i Comuni potranno scongiurare il default e continuare ad assicurare ai cittadini l’erogazione di servizi che non avrebbero più potuto garantire se non si fosse intervenuti concedendo loro più tempo per risanare i debiti pregressi». L’intesa è frutto della riformulazione da parte del governo degli emendamenti Anci al decreto legge Sostegni bis. Resta ancora aperto il nodo del tetto che circoscrive la possibilità di fruire delle risorse ai soli municipi con maggiori disavanzi superiori al 10% di incidenza sulle entrate correnti. Un tetto che l’ANCI aveva subito definito «del tutto arbitrario». Pella (FI): i comuni potranno continuare a garantire i servizi ai cittadini