Assunzioni, aumenti delle P.O. ammissibili fuori dal tetto del trattamento accessorio

Un Comune ha chiesto se un ente di piccole dimensioni e senza dirigenza, possa utilizzare tutto o parte del budget delle capacità assunzionali, quantificato dalla normativa vigente (Decreto ministeriale del 17 marzo 2020) superando il tetto dell’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 75/2017, per aumentare le risorse da destinare alle posizioni organizzative, con utilizzo di capacità assunzionali e contestuale equivalente riduzione delle stesse e se, tenuto conto dei limiti, sia possibile conferire una posizione organizzativa senza riconoscere neppure il minimo della retribuzione di posizione come prevista dall’articolo 15 del contratto del 21 maggio 2018.

La Corte non si è pronunciata sul secondo quesito riguardante l’interpretazione di norme del contratto, anche perché questa funzione spetta all’ARAN (d.lgs. 165/2001).

La sezione ha invece risposto al primo quesito ritenuto ammissibile, concernente l’interpretazione di una norma di contenimento della spesa di personale, cioè dell’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 75/2017 che ha disposto l’invarianza della spesa per il trattamento accessorio rispetto al 2016.

Questa norma qualificata di coordinamento della finanza pubblica, ha posto un limite all’ammontare complessivo delle risorse destinate al trattamento accessorio, non distinguendo fra quelle a carico dei fondi per la contrattazione integrativa previsti dai contratto e quelle finanziate direttamente dal bilancio delle pubblica amministrazione. L’articolo 11-bis, comma 2, del decreto legge 135/2018, in deroga all’articolo 23, per i Comuni privi di dirigenza, ha previsto che l’invarianza della spesa non si applichi alle indennità dei titolari di posizioni organizzative, rientranti nell’articolo 13 e seguenti del contratto del 21 maggio 2018, limitatamente alla differenza tra gli importi già attribuiti alla data del 21 maggio 2018 e l’eventuale maggior valore riconosciuto successivamente alle posizioni già esistenti, ai sensi dell’articolo 15 dello stesso contratto.

L’articolo 33, comma 2, del decreto legge 34/2019 ha disposto, invece, che il limite al trattamento accessorio di previsto dall’articolo 23, sia adeguato, in aumento o in diminuzione, per garantire l’invarianza del valore medio pro-capite, riferito all’anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa nonché delle risorse per le posizioni organizzative, prendendo come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018. In attuazione dell’articolo 33, comma 2, è intervenuto il Dm 17 aprile 2020, che ha definito le capacità assunzionali di personale a tempo indeterminato dei Comuni, a partire dal 20 aprile 2020.

Secondo la Corte di Cassazione il limite indicato dall’articolo 23 del decreto legislativo 75/2017, che fa riferimento all’anno 2016, dopo l’entrata in vigore dell’articolo 33 del decreto legge 34/2019, deve essere adeguato, aumentandolo o diminuendolo, in modo da assicurare l’invarianza nel tempo del valore medio pro-capite del 2018. In questo modo, superando definitivamente il limite del trattamento accessorio del 2016, e costruendone uno nuovo, a partire dal 2018, che garantisca il valore medio pro-capite. In caso di nuove assunzione, difatti, l’ammontare del trattamento accessorio deve crescere in proporzione al numero dei nuovi dipendenti. Qualora, invece, il numero dovesse diminuire non è possibile scendere al di sotto del valore-soglia del trattamento accessorio del 2016 previsto dall’articolo 23, che, pur rimanendo in vigore, non deve più essere considerato come valore assoluto, bensì come il limite minimo inderogabile.

Per la Corte poi rimane in vigore anche l’articolo 11-bis, comma 2, del decreto legge 135/2018, che ha consentito di non computare nel tetto del trattamento accessorio 2016 i differenziali degli incrementi degli importi delle retribuzioni delle posizioni organizzative degli enti privi di dirigenza che si siano avvalsi della facoltà di aumentare le stesse, facendo riferimento all’articolo 15 del Ccnl.

L’articolo 33, comma 2, del decreto legge 34/2018, ha consentito ai Comuni di aumentare il numero dei dipendenti in servizio in base a un parametro di virtuosità legato al rapporto fra spese di personale ed entrate correnti, concretamente declinato, per gli enti delle varie fasce demografiche, dal Dm del 17 marzo 2020. Per la Corte, tuttavia, questo nuovo sistema di quantificazione delle facoltà assunzionali non ha abrogato l’articolo 11-bis, comma 2, che ora deve essere riferito al combinato disposto degli articoli 23, comma 2, e 33, comma 2, che considera il tetto stabilito dalla prima disposizione come quello base, da adeguare, ma al di sotto del quale la pubblica amministrazione non può scendere.

Il quadro normativo previsto dall’articolo 11-bis prima del decreto legge 34/2019 è dunque rimasto invariato, motivo per cui la corte ha affermato che non deve essere computato nel nuovo tetto del trattamento accessorio, individuato mediante il coordinamento delle due richiamate disposizioni, il differenziale degli incrementi delle retribuzioni delle posizioni organizzative per gli enti che si siano avvalsi della facoltà di aumentarle in base all’articolo 15 del contratto.




Buoni Pasto: per la Cassazione non rientrano nel rapporto contrattuale

Tutti conoscono la vertenza sorta fra sindacati e amministrazioni pubbliche per la mancata erogazione dei buoni pasto ai dipendenti in smart working durante il Coronavirus, a fronte delle disposizioni recate dal d.l. 18/2020, che è stata risolta dal Tribunale di Venezia (sentenza n. 1069/2020) negando ai dipendenti richiedenti l’obbligo della loro erogazione. Nella sentenza è stato anche precisato che la mancata corresponsione dei buoni pasto non doveva essere oggetto di contrattazione e confronto con le sigle sindacali.

Con l’ordinanza n. 16135 del 28 luglio 2020 la Cassazione è di nuovo intervenuta sull’erogazione dei buoni pasto ai dipendenti, precisando che l’assegnazione degli stessi è di competenza esclusiva del datore di lavoro, ben potendo legittimamente scegliere quest’ultimo, in via unilaterale, di non erogarli più, con conseguente rigetto delle doglianze di un dipendente che aveva reclamato l’illegittima decisione del datore di lavoro di non corrisponderli più.

Sorge a questo punto la domanda se le medesime condizioni valgano anche per gli Enti locali.

In merito, l’ARAN con orientamento applicativo RAL 1274 ha evidenziato quanto segue:

  • ogni decisione è rimessa esclusivamente alle autonome determinazioni dei singoli datori di lavoro pubblici, sulla base di una adeguata valutazione delle proprie condizioni organizzative e degli aspetti connessi ai costi, si evidenzia anche che la materia dei buoni pasto, sostitutivi del servizio mensa, non forma oggetto di contrattazione decentrata integrativa, salvo che per i soli profili ad essa espressamente demandati dall’art.13 del CCNL del 9 maggio 2006; in particolare, si deve sottolineare che l’art. 45, comma 1 del CCNL del 14 settembre 2000, relativamente all’istituzione del servizio mensa o dei buoni pasto sostitutivi, proprio in considerazione della riconduzione della materia alle determinazioni unilaterali del datore di lavoro pubblico (per la rilevanza degli assetti organizzativi e di spesa) prevede solo il modello molto leggero del previo confronto con le organizzazioni sindacali;
  • non essendo previsto, contrattualmente, l’obbligo degli enti del Comparto di istituire il servizio mensa o di sostituirlo con la corresponsione del buono pasto, in mancanza delle risorse finanziarie necessarie, si esclude che il dipendente possa considerarsi titolare di un preciso diritto soggettivo alla corresponsione dei buoni pasto.

Si ricorda che il nuovo CCNL del 21 maggio 2018 ha operato un rinvio alla disciplina previgente, di cui agli articoli 45 e 46 del CCNL del 14 settembre 2000 e all’articolo 13 del CCNL 9 maggio 2006.

L’ORDINANZA DELLA CASSAZIONE

RILEVATO CHE
1. Con sentenza 30 giugno 2016, la Corte d’appello di Campobasso rigettava l’appello proposto da Gabriele (omissis) avverso la sentenza di 10 grado, di reiezione della sua domanda di accertamento di illegittimità dell’unilaterale deliberazione della datrice Società Autocooperative Trasporti Italiani (S.A.T.I.) s.p.a. dell’erogazione dei buoni pasto dal giugno 2006 e di condanna al pagamento delle relative differenze retributive;
2. avverso la predetta sentenza il lavoratore ricorreva per cassazione con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c., cui la società resisteva con controricorso;
3. il P.G. rassegnava le conclusioni ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c.;

CONSIDERATO CHE
1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2099, in combinato disposto con l’art. 36 Cost., 1373, 1374 c.c., per la ritenuta erronea unilaterale revocabilità dei c.d. buoni pasto, per la loro funzionalità ad un rapporto contrattuale integrativo, componente della retribuzione (anche per la “legittima aspettativa” dei lavoratori a seguito di una reiterata e generalizzata prassi aziendale dal 1999 all’aprile 2006) e pertanto soggetti al principio di irriducibilità della stessa (primo motivo);
2. esso è infondato;
2.1. la Corte territoriale ha correttamente interpretato la natura dei buoni pasto alla stregua, non già di elemento della retribuzione “normale”, ma di agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale (Cass. 21 luglio 2008, n. 20087; Cass. 8 agosto 2012, n. 14290; Cass. 14 luglio 2016, n. 14388), pertanto non rientranti nel trattamento retributivo in senso stretto (Cass. 19 maggio 2016, n. 10354; Cass. 18 settembre 2019, n. 23303); sicché, il regime della loro erogazione può essere variato anche per unilaterale deliberazione datoriale, in quanto previsione di un atto interno, non prodotto da un accordo sindacale;
3.2. l’interpretazione contrapposta dal lavoratore, di erogazione dei buoni pasto “in funzione di un rapporto contrattuale”, anche sulla base di una reiterazione nel tempo tale da integrare una prassi aziendale (pure viziata da una connotazione di novità, non parlandone la sentenza impugnata, né avendone il ricorrente offerto indicazione di una sua prospettazione negli atti dei precedenti gradi), non inficia il presupposto della natura non retributiva dell’erogazione;
3. il lavoratore deduce poi violazione e falsa applicazione dell’art. 21/8 del CCNL autoferrotramvieri del 23 luglio 1976, per la non corretta distinzione tra buoni pasto, erogati a tutti i lavoratori, e indennità di “concorso pasti”, riservata unicamente ai dipendenti fuori del comune di residenza nelle ore dei pasti (secondo motivo);
3.1. esso è inammissibile;
3.2. la censura è viziata da un’evidente carenza di interesse, per inidoneità a scalfire la ratio decidendi (ai due ultimi capoversi di pg. 4 della sentenza), oggetto del primo motivo, in quanto riguardante un profilo argomentativo avente sostanziale natura di obiter dictum, ininfluente sul dispositivo della decisione (Cass. 18 dicembre 2017, n. 30354; Cass. 25 settembre 2018, n. 22782);
4. le superiori argomentazioni comportano il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, con distrazione in favore dei difensori antistatari secondo la loro richiesta e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535);

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in C 200,00 per esborsi e C 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori anticipatari. Ai sensi dell’art. 13 comma lquater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 4 dicembre 2019




Circolare FP sull’assuzione di personale da parte dei Comuni

Il Dipartimento FP, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze e il Ministero dell’interno, ha emanato la circolare esplicativa n. 1374 del 8 giugno 2020 che fornisce chiarimenti sul D.M. 17 marzo 2020, attuativo dell’art. 33, comma 2 del d.l. 34/2019, convertito con modificazioni dalla legge n. 58 del 2019, in materia di assunzioni di personale da parte dei Comuni.

Il d.l. 34/2019, c.d. Decreto Crescita, all’art. 33, comma 2, ha introdotto una nuova disciplina relativa alle facoltà assunzionali dei Comuni, prevedendo il superamento delle attuali regole fondate sul turn over, introducendo un sistema flessibile basato sulla sostenibilità finanziaria della spesa di personale.

Il decreto attuativo, D.M. 17 marzo 2020, ha disposto che le nuove regole assunzionali si dovranno applicare dal 20 aprile 2020.

Il Ministero per la p.a., nella circolare esplicativa in commento, ha chiarito tra le altre che:

  • Con riferimento al solo anno 2020 sono fatte salve le procedure assunzionali avviate prima del 20 aprile 2020, a patto che:
  1. siano state effettuate le comunicazioni obbligatorie ai sensi dell’art. 34 bis del d.lgs. 165/2001;
  2. Siano state operate le relative prenotazioni nelle scritture contabili (principio contabile 5.1 di cui al par. 1 dell’allegato 4.2 del d.lgs. 118/2011);
  • La maggior spesa di personale rispetto ai valori soglia, definiti dal D.M. 17 marzo 2020, derivante dalle procedure assunzionali avviate prima del 20 aprile 2020, è consentita solo per l’anno 2020. A decorrere dal 2021, i Comuni che sulla base dei dati 2020 si collocano, anche a seguito della maggiore spesa, fra le due soglie minime e massime individuate dal predetto decreto attuativo, assumono, come parametro soglia a cui fare riferimento nell’anno successivo, il rapporto tra spesa di personale ed entrate correnti registrato nel 2020 calcolato senza tener conto della predetta maggiore spesa del 2020.

I Comuni che si collocano al di sopra del valore soglia superiore definito dal decreto attuativo 17 marzo 2020, nel 2021 devono conseguire un rapporto fra spesa di personale ed entrate correnti non superiore a quello registrato nel 2020 calcolato senza tener conto della predetta maggiore spesa del 2020;

  • Il Fondo Crediti Dubbia Esigibilità da prendere a riferimento come base di calcolo per la determinazione delle nuove capacità assunzionali è quello stanziato nel bilancio di previsione, eventualmente assestato, con riferimento alla parte corrente del bilancio stesso;
  • Le entrate correnti da considerare ai fini del calcolo delle capacità assunzionali sono quelle riportate negli aggregati BDAP accertamenti relativi ai Titoli I, II e III:01 Entrate titolo I, 02 Entrate titolo II, 03 Entrate titolo III, Rendiconto della gestione, accertamenti;
  • I comuni possono utilizzare i c.d. resti assunzionali degli ultimi 5 anni anche in deroga ai valori limite annuali di incremento delle spesa di personale di cui alla Tabella 2 del D.M. 17 marzo 2020, fermo restando il rispetto del limite massimo consentito dal valore soglia di riferimento dell’Ente;
  • I valori percentuali riportati nella Tabella 2 rappresentano un incremento rispetto alla base spese di personale 2018 la cui percentuale individuata in ciascuna annualità successiva alla prima ingloba la percentuale degli anni precedenti.

Circolare_FP_assunzioni_enti_locali




Le norme sullo Smart Working

LEGGE ISTITUTIVA

Legge 22 maggio 2017 n 81 – articoli da 18 a 23

SUCCESSIVE DISPOSIZIONI

Nell’ambito delle misure adottate dal Governo per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, il Presidente del Consiglio dei ministri ha emanato il  1° marzo un DPCM che interviene sulle modalità di accesso allo smart working, confermate anche dalle successive disposizioni emanate per far fronte all’emergenza.

  1. Decreto legge del 17 marzo 2020, n. 18, convertito in  legge n. 27 del 24 aprile 2020 – disposizioni per i lavoratori dipendenti disabili o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità.
  2. Con il DPCM del 26 aprile è stato raccomandato il massimo utilizzo della modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza.
  3. Decreto legge del 19 maggio 2020, n. 34 – disposizioni per i genitori lavoratori dipendenti del settore privato, con almeno un figlio a carico minore di 14 anni (vedi punto seguente).
  4. Legge 17 luglio 2020, n. 77 di conversione, con modificazioni, del DL 34/2020, che ha prorogato la possibilità di ricorrere al lavoro da casa per i dipendenti pubblici, apportando anche delle modifiche.
  5. Funzione Pubblica – Circolare 1/2020: Misure incentivanti per il ricorso a modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa
  6. Funzione Pubblica – Circolare 3/2020 su rientro in sicurezza dei dipendenti pubblici.
  7. Decreto-legge 30 luglio 2020, n. 83 – proroga dello stato di emergenza fino al 15 ottobre 2020
  8. In via di emanazione: Delega al Governo per il «riordino della disciplina in materia di lavoro agile e l’introduzione del diritto alla disconnessione per il benessere psico-fisico dei lavoratori e dei loro affetti

PRECISAZIONI/SINTESI

Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.

La definizione di smart working, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone).

Ai lavoratori agili viene garantita la parità di trattamento – economico e normativo – rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie. È, quindi, prevista la loro tutela in caso di infortuni e malattie professionali, secondo le modalità illustrate dall’INAIL nella Circolare n. 48/2017.

SMART WORKING DIPENDENTI PUBBLICI

I datori di lavoro pubblici possono applicare la modalità di lavoro agile a ogni rapporto di lavoro subordinato. In base a quanto previsto dalla Legge di conversione del Decreto Rilancio questa disposizione resta valida fino al 31 dicembre 2020. Inoltre può essere applicata al 50% del personale impiegato in attività che possono essere svolte in modalità smart.

La misura intende rispondere alle esigenze della progressiva riapertura di tutti gli uffici pubblici, nonché dei cittadini e delle imprese, connesse al graduale riavvio delle attività produttive e commerciali. Pertanto è stata prevista l’organizzazione del lavoro e dell’erogazione dei servizi con flessibilità oraria e diversa articolazione giornaliera e settimanale, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza con l’utenza.

PIANO ORGANIZZATIVO DEL LAVORO AGILE (POLA)

La Legge 77/2020 istituisce il POLA – Piano organizzativo del lavoro agile per le amministrazioni pubbliche. Si tratta di un documento, da concordare con le organizzazioni sindacali, che individua le modalità di attuazione del lavoro agile per i dipendenti pubblici. Va redatto entro il 31 gennaio di ciascun anno e deve prevedere che almeno il 60% del personale possa accedere al lavoro smart per le attività che possono essere svolte in modalità agile.

Il POLA deve anche definire misure organizzative, requisiti tecnologici, percorsi formativi del personale, anche dirigenziale, e strumenti di rilevazione e verifica periodica dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa, della digitalizzazione dei processi e della qualità dei servizi. A questo scopo possono essere coinvolti anche i cittadini. Nelle pubbliche amministrazioni che non adottano il POLA, la modalità smart lavoro si può applicare almeno al 30% dei dipendenti che ne facciano richiesta.

LAVORO AGILE DIPENDENTI PRIVATI

I lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di 14 anni hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali previsti dalla legge 81/2017. La disposizione è applicabile solo se nel nucleo familiare non c’è un altro genitore non lavoratore o beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa.

 

 

 




Aggiornamento Area Normativa – Giurisprudenza

SENTENZE RECENTI

Passaggio a ruolo

Scorrimento graduatorie

Parità di trattamento contrattuale

Contratti di collaborazione

Incentivi per la progettazione




Polizia Locale: importanti chiarimenti sui versamenti previdenziali

Grande vittoria del CSA Regioni Autonomie Locali, Dipartimento Polizia Locale, riguardo le anomalie dell’art. 56-quater fatte rilevare solo dal CSA, in ordine all’obbligo da parte dei lavoratori  di versare il TFR al Fondo Perseo.

COMUNICATO CSA TRIBUNALE AREZZO




Linee Guida dell’Ipotesi di CCNL Funzioni Locali

Il documento allegato costituisce una sintesi provvisoria ad uso interno dell’Ipotesi di CCNL Funzioni Locali 2016-18, sottoscritto il 21 febbraio scorso, in attesa della firma definitiva, che potrebbe recare ulteriori variazioni rispetto al testo originario.

Si tratta sostanzialmente di un lavoro di semplificazione testuale svolto dalla Segreteria Generale e dall’Ufficio Comunicazione, al fine di agevolare la lettura del Contratto stesso.

Resta inteso che sarà nostra cura, conseguentemente alla firma del CCNL definitivo, pubblicare in forma cartacea il testo integrale completo, comprensivo delle norme rimaste in vigore de i precedenti CCNL di comparto.

LINEE GUIDA IPOTESI CCNL FUNZIONI LOCALI

Ipotesi CCNL Comparto funzioni locali del 21 febbraio 2018




Sulla contabilizzazione dei fondi per la contrattazione decentrata

Una CIRCOLARE ENTIONLINE chiarisce le modalità di contabilizzazione dei fondi della contrattazione decentrata, che talvolta non viene eseguita correttamente dai Comuni, sulla base del principio contabile applicato 4/2 allegato al Dlgs 118/2011 e dalla pronuncia della Corte dei Conti del Molise che, con DELIBERAZIONE N.161 del 18 luglio 2017 ha fornito  importanti chiarimenti sul tema.




Le Province vanno ripristinate e rifinanziate immediatamente!

La criminale noncuranza degli ex riformatori e dei continuisti ha contribuito efficacemente alla strage dell’hotel di Rigopiano.

Tecnicamente si dovrebbe parlare di omicidio colposo plurimo, ma “strage” è assai più evocativa di quanto è accaduto a seguito del crollo dell’hotel di Rigopiano anche perché, se è pur vero che il codice penale stabilisce, per questo tipo di reato, la necessità che si tratti di delitto doloso, non sembra certo un certo sconfinamento nell’area della intenzionalità.

Si parla, ovviamente, della questione dei soccorsi e degli ostacoli che hanno impedito un tempestivo intervento degli operatori sul luogo del disastro, non prescindendo, naturalmente, da altre varie cause concorrenti o meno al verificarsi dell’evento, quali i ritardi dell’allarme (in cui pare sussistere qualche dubbio circa la solerzia della prefettura) o le stesse condizioni dell’immobile prima della slavina, probabilmente non proprio floride.

In realtà, il fattore palesemente nuovo rispetto ad altre emergenze come le recenti e recentissime catastrofi naturali (a cominciare dal sisma-bis di Amatrice) consiste specificamente nella carenza e nell’inefficienza di mezzi meccanici idonei al trasporto, in tempi brevi e brevissimi, e dei, ancorché cospicui, contingenti di personale da impiegare nelle opere di salvataggio di (almeno) quaranta persone rimaste intrappolate nelle macerie dell’albergo.

Infatti, ci si è subito (o quasi) accorti che l’unica turbina-spazzaneve – che sarebbe stata fondamentale per aprire un grande varco nella neve accumulatasi sulla carreggiata – si trovava altrove ed in riparazione (!).

Quanto agli elicotteri, parimenti indispensabili al trasporto rapido di soccorritori, si “scopriva” che, i due disponibili nelle vicinanze, non erano in grado di volare per avarie o, più pedestremente, per mancanza di carburante. A quest’ultimo riguardo, verrà poi diffusa la voce che gli elicotteri … non volano di notte, specie se usati da piloti inesperti o, comunque, poco conoscitori dei luoghi: probabilmente, una balla o un puerile alibi così come quello della ripetutissima “eccezionalità” di condizioni meteo o ambientali, mentre è noto universalmente come, nella stagione invernale, nevicate copiose e temperature polari, sono la regola annuale, a partire da metà novembre.

Il “mistero” degli elicotteri si svelava, quindi, accertandone l’appartenenza a quel tale Corpo forestale dello Stato che il Ministro Martina, prima e la Ministra Madia dopo, avevano destinato alla soppressione o, meglio, all’accorpamento con l’Arma Benemerita, tant’è che uno dei tanti decreti e decretini emanati dal Governo Renzi – tramite l’arcinota e torrentizia legge delega n. 124/15 – disciplinava questo transito del quale, sia detto per inciso, nessuno riesce ancora a comprenderne la ragione.

Ora, che la Madia fosse rimasta basita dalla falcidia dei suoi decretini, da parte della Corte Costituzionale (comunque, quello della Forestale era stato fatto salvo) o che, una volta deciso l’accorpamento non ci si fosse preoccupati delle relative procedure di applicazione, il risultato è stato lo standby del personale costretto a sospendere il servizio in attesa di successivi ordini cui è, ovviamente, correlata la messa in disuso dei mezzi e della loro manutenzione, anche e soprattutto a seguito del taglio (quello, rapidissimo!) dei fondi e bilanci del “disciolto” Corpo (dal 1° gennaio 2017).

D’altronde, è risaputo che la stasi della Forestale e quella, quasi contestuale, della Polizia provinciale abbiano inferto un danno gravissimo alla tutela ambientale, a partire proprio dalla vigilanza, prevenzione e intervento di tutti i sinistri cagionati da eventi sismici ed idrogeologici che, attualmente, non svolge nessuno.

Per quanto attiene alla situazione catastrofica della rete viaria, la musica non cambia, salvo che per il nome del proponente (Delrio), nonché per il numero progressivo (n. 56/14).

Infatti, già da tempo si sapeva che la normativa che aveva abolito (in parte) le province, in attesa dell’approvazione della riforma costituzionale ove si stabiliva la loro definitiva soppressione, si era premunita di consentire immediatamente l’ “esproprio” (o la mancata erogazione che è lo stesso) di una percentuale del 68% delle risorse destinate alla manutenzione ordinaria delle strade (provinciali) e dell’84% di quelle dirette alla manutenzione straordinaria. Per completare il discorso già avviato, si può osservare che, negli ultimi anni, gli organici della polizia provinciale sono passati da 2700 a 700 unità su tutto il territorio nazionale. Era inutile cercarli in quella tragica notte: stavano bighellonando, come i 20 mila colleghi amministrativi, tra tribunali, uffici regionali e comunali in attesa di una loro accoglienza dopo l’esodazione delriana.

Per giustizia equitativa, con simili responsabilità, ciascuno dei personaggi coinvolti andrebbe giudicato secondo il suo grado di colpevolezza, in base ad una valutazione dei fatti non molto lontana da quella che ha determinato la ragguardevole pena detentiva inflitta al famoso comandante della nave Concordia (anche il numero dei deceduti è piuttosto simile).

Ma questo è compito della magistratura.

Per quanto riguarda gli aspetti istituzionali e legislativi, emerge a tutto tondo la necessità e l’urgenza di ripristinare integralmente le Province restituendo loro tutte le prerogative, funzioni, competenze e composizione (elettiva diretta dei consiglieri, presidenti e giunte) non trattandosi più di un semplice problema politico o giuridico, bensì di un evento luttuoso di notevoli proporzioni che, oltre ad accrescere lo shock di una società già tanto duramente provata dal susseguirsi si sismi devastanti, degrada ulteriormente la coesione sociale e, non in ultimo, l’immagine del Paese all’estero, come ampiamente dimostrato dalla comparsa di vignette satiriche su Charlie Hebdo – ripugnanti e ciniche quanto si vuole ma la satira è uguale per tutti! – che ritraggono la Morte arrivare a Rigopiano sugli sci (come i poveri soccorritori) mentre tre italiani discettano di penne (ironizzando sul nome della limitrofa città) gratinate, al pomodoro e lasagne.

E, infine, si ricordi che la “legge Delrio” è decaduta dal 4 dicembre u.s., risultando vincolata alla riforma cancellata dal referendum e, per l’effetto, essendo viziata da lampante incostituzionalità per cui, ove la attuale compagine governativa “continuista” mostrasse un minimo di sensibilità e rispetto per il pubblico interesse (ed ora anche per incolpevoli vittime) dovrebbe disporne l’autoabrogazione e stanziare o, meglio, ri-stanziare i fondi di spettanza delle province. Anche perché l’inverno è ancora assai lungo!

 

L’Ufficio Legislativo

 

 




La Corte Costituzionale pone un freno alla protervia della Legge Madia

Vista superficialmente, la questione affrontata dalla sentenza della Consulta n.251/2016, emessa il 9 novembre u.s., può sembrare un argomento poco influente sui problemi assai più importanti e gravi che incombono sul Paese e sull’esito referendario del 4 dicembre.

E invece, mai come in questo caso si avvalora il vecchio detto che “nel dettaglio si ritrova il dito di Dio”, giacchè in realtà questa pronuncia contiene dei principi i cui effetti coinvolgono, direttamente ed indirettamente, il fulcro stesso del disegno che mira a trasformare l’ordinamento legislativo italiano in un regime sin troppo simile a quelli fascisti del tempo andato.

In breve: la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art.11 della Legge Delega n.124/15 (Legge Madia) giustamente, anche se deprecabilmente, considerata la “madre” (con cotanta “madrina”) di tutto l’armamentario renziano, propedeutico e preparatore del “gran balzo finale” della riforma della Carta del ’48.

Motivo della censura: la legge delega prevede solo la richiesta di un parere, da parte del Governo alle Regioni – in materie che spaziano dalla nomina dei dirigenti sanitari all’affidamento gestionale dei servizi pubblici locali – anziché l’avvio di una concertazione, al fine di raggiungere un accordo tra potere centrale e poteri locali, con reciproca parità di ruoli, funzioni e capacità decisionali.

La sentenza, in concreto, va a picconare una delle più becere e pervasive “innovazioni” dell’intera politica renziana, ossia ridurre a semplici pareri ciò che, viceversa, deve risultare da una composizione negoziata di diverse posizioni e diversi interessi.

Ed è ovvio che il “parere” – vedasi l’esempio del “nuovo” Senato dei nominati, dove il 90% delle funzioni è ridotta a tale “attività” – equivale a carta straccia, mentre l’intesa o accordo che dir si voglia ha un valore determinante per l’esercizio dei pubblici poteri e per la stessa forma dello Stato democratico.

Altamente significativa, ai fini di comprendere e prevedere lo scenario del dopo-riforma costituzionale, si mostra la reazione del premier: “cavilli legulei, impicci burocratici, sottigliezze irrilevanti”, ecc. sono state le sue migliori espressioni sull’operato di una Corte Costituzionale verso la quale il capo di governo di un Paese cosiddetto libero dovrebbe portare un po’ più di rispetto!

Come se non bastasse, Renzi ha assunto altresì l’atteggiamento del “grande castigatore”, imponendo nella riforma costituzionale la clausola di supremazia dello Stato sulle Regioni (e su tutto il resto!), che spazzerà via bagatelle di questo tipo, come se si trattasse di immondizie giuridiche e cascami post-democratici.

E’ ovvio che il premier sia particolarmente irritato dal fatto che la pronuncia della Consulta possa compromettere il suo “regno incantato”, specificamente rappresentato da alcuni Decreti attuativi. Primo fra tutti quello industriale, che gli regala superpoteri nella scelta delle grandi opere, o ancor di più dei grandi insediamenti, destinati, notoriamente, alle impazienti multinazionali (specie cinesi).

Non solo: la legge 124/15, che ha partorito ben 17 decreti e decretini in moltissime altre materie – dalla mutilazione delle Camere di Commercio agli enti di ricerca – rischia una lunga paralisi e, ancor peggio, porta allo scoperto gli abusi dell’istituto stesso della legge delega, perpetrati dal governo negli ultimi tempi.

Infatti, più volte Renzi si è vantato di non ricorrere al decreto legge per attuare le sue politiche di riforma. In realtà, ha fatto e fa di peggio, utilizzando proprio il sistema dei decreti delegati, che consente di far approvare un’unica legge – a colpi di voto di fiducia – la quale funge da fonte per innumerevoli mini-leggi ( i decreti delegati, per l’appunto) che passeranno automaticamente senza il benchè minimo rischio di opposizioni ed eventuali blocchi.

Ben diverso, invece, è il percorso dei decreti legge che rischiano di decadere in tempi brevissimi (60 giorni) e sono vulnerabili dall’ostruzionismo delle opposizioni, oltre a essere vincolati dai requisiti della necessità e dell’urgenza.

In definitiva, comunque, quale che possa essere l’esito referendario, difficilmente la trovata renziana delle deleghe “a comando” avrà vita facile dopo il 4 dicembre.

 




Guida Ragionata alla Riforma Costituzionale

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GUIDA RAGIONATA ALLA RIFORMA COSTITUZIONALE

 

Opera edita da CSA Regioni Autonomie Locali

A cura del prof. Avv. Nicola Coco (Responsabile Ufficio Legislativo CSA)

Prefazione di Francesco Garofalo (Segretario Generale CSA e FIADEL)

Pubblicazione fuori commercio – Distribuita dalla Segreteria Generale CSA RAL su contributo volontario

 

La “Guida ragionata alla riforma costituzionale” è un’opera realizzata dall’Ufficio Legislativo di CSA Regioni Autonomie Locali e FIADEL, nella prospettiva del referendum che si terrà il 4 dicembre p.v.

Si tratta di un volumetto che tende a colmare quella che, fino ad oggi, è stata una grave lacuna di tutti i dibattiti che si sono sviluppati attorno all’argomento, ovvero l’assoluta mancanza di una riflessione sulle  ricadute della riforma – e delle varie leggi che l’hanno preceduta – sul mondo del lavoro ed in particolare sull’impiego locale pubblico e privato.

 

Infatti, uno dei punti più critici ed allarmanti della riforma è rappresentato dal Titolo V, che contiene tutta una serie di disposizioni volte a svuotare le Regioni delle loro prerogative attuali, aprendo scenari apocalittici di licenziamenti in massa, nell’ordine di centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici.

Ma la Guida affronta anche altri profili, non meno inquietanti, del c.d. Decreto Renzi/Boschi: attraverso un lungo lavoro di indagine storica, emerge che la gran parte delle “innovazioni” legislative – da quella elettorale alla ristrutturazione del Senato, alle “corsie” preferenziali per i disegni di legge governativi, ecc. – altro non sono che la riproposizione, addirittura in fotocopia, di passate (e non troppo democratiche) forme di “governabilità, aventi per principio basilare l’egemonia del Potere Esecutivo e per dottrina la concentrazione di tutte le funzioni decisionali.

La scelta per il NO che apre e conclude il testo della Guida è, dunque, saldamente motivata dal trovarsi dinnanzi ad una gigantesca riforma strutturale dello Stato, che rappresenta un vero e proprio attacco alla democrazia e ai diritti del lavoratori, senza dare alcun evidente vantaggio né in termini di risparmio economico né di snellimenti di tipo burocratico.

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Prof. Avv. Nicola Coco – Ha insegnato al Dipartimento di Scienza Giuridiche dell’Università di Roma – La Sapienza, Criminologia e Procedura Penale, ed è stato altresì docente di Istituzioni di Diritto Pubblico alla Scuola di Specializzazione di Medicina Legale presso la stessa Università. Attualmente è responsabile nazionale dell’Ufficio Legislativo CSA.




Jobs Act (decreti istitutivi e attuativi)

Con Jobs Act si indica una riforma del diritto del lavoro in Italia, promossa ed attuata in Italia dal governo Renzi, attraverso diversi provvedimenti legislativi varati tra il 2014 ed il 2015.

Dopo la riforma del Lavoro del Governo Monti (elaborata dal Ministro Fornero) e le successive modifiche e integrazioni operate dal Governo Letta (Ministro Giovannini), il nuovo esecutivo Renzi ha emanato la riforma conosciuta come Jobs Act, dividendola in due provvedimenti: il Decreto Legge 20 marzo 2014_n.34,  (anche noto come “decreto Poletti”, dal Ministro del Lavoro Giuliano Poletti) e la Legge 10 dicembre 2014 n.183, contenente numerose deleghe da attuare con decreti legislativi, tutti emanati nel corso del 2015.

NB: Nello stesso anno, secondo la sentenza della Suprema Corte di Cassazione – sezione Lavoro – del 26 novembre 2015, n. 24157 la normativa avrebbe dovuto essere applicata anche ai dipendenti statali. Tale orientamento è stato però ribaltato dalla successiva sentenza n. 11868 del 9 giugno 2016; che afferma che ai dipendenti pubblici si applicherebbe l’art. 18 dello statuto dei lavoratori come non modificato dalla riforma del lavoro Fornero determinando di fatto.

PUNTI CHIAVE

Come cambiano i licenziamenti
Non cambia niente per chi è stato assunto prima del 7 marzo 2015. Per chi è stato assunto dopo il decreto esclude, per i licenziamenti economici, la possibilità della reintegrazione nel posto di lavoro e prevede un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio. Il diritto alla reintegrazione è limitato ai licenziamenti nulli e discriminatori, e a particolari casi di licenziamento disciplinare ingiustificato. Il decreto prevede inoltre termini certi per l’impugnazione del licenziamento.
Come cambiano gli ammortizzatori sociali
Trattando di misure che hanno l’obiettivo di offrire sostegno economico alle persone che hanno perso il posto di lavoro, il decreto riscrive la normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, introducendo nuovi strumenti e nuove sigle: ASPI, NASPI, ASDI e DIS-COLL, quelle che un tempo chiamavamo “assegni per la disoccupazione”.
Cosa cambia per i genitori che lavorano
Il decreto interviene principalmente sulle norme che regolano il congedo di paternità e maternità – cioè l’astensione obbligatoria dal lavoro al momento della nascita del figlio o dell’arrivo di un bambino in affidamento o in adozione – e poi il congedo parentale (facoltativo) e i diritti dei genitori che sono lavoratori autonomi o iscritti alla Gestione Separata INPS, introducendo anche alcune novità sul congedo per le donne vittime di violenza di genere e sul telelavoro.
Come cambiano i contratti di lavoro
È sicuramente la più corposa tra le norme approvate: modifica sia il codice civile che diverse leggi sul lavoro, abrogando due interi decreti e numerosi altri articoli. Il Jobs Act infatti riscrive la disciplina di molti contratti di lavoro – per esempio la collaborazione a progetto, la somministrazione, il lavoro a chiamata, il lavoro accessorio, l’apprendistato, il part-time – dando alcune indicazioni precise ma contemporaneamente lasciando aperte molte possibilità di deroga ai contratti collettivi nazionali. Tutto a partire dal fatto che “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune del rapporto di lavoro”: un’indicazione semplice ma importante, che definisce a quale tipo di lavoro vadano ricondotti i contratti più “leggeri” che non rispettano i limiti che la norma impone.
Come cambia la cassa integrazione
Il decreto riordina la normativa in materia di ammortizzatori sociali “in costanza di rapporto di lavoro”, abrogando oltre 15 leggi stratificatesi negli ultimi 70 anni, dal 1945 a oggi, con una sola norma che racchiude – quasi – tutto il settore. Le forme di cassa integrazione diventano due – ordinaria e straordinaria, sparisce la cassa integrazione in deroga – e possono essere utilizzate dalle imprese per eventi transitori che richiedono meno ore di lavoro, crisi aziendali e riorganizzazioni: dai dati del governo, complessivamente le misure coinvolgeranno circa 1.400.000 lavoratori e 150.000 imprese che prima ne erano escluse.
Come cambiano le politiche attive
Il nuovo decreto riordina la normativa in materia di servizi per il lavoro e di “politiche attive”, cioè le iniziative volte a promuovere l’occupazione: rinforza e riorganizza la rete degli enti coinvolti nel settore, vincola l’erogazione dei “contributi di sostegno al reddito” alla partecipazione attiva di chi dovrà percepirli, coinvolge stabilmente i soggetti privati che possono fare da intermediari, semplifica la possibilità di impiego dei lavoratori in cassa integrazione in lavori per la collettività e allarga la portata del cosiddetto “fascicolo elettronico” del lavoratore.

DECRETI ATTUATIVI

  1. Decreto legislativo 4 marzo 2015 n.22
  2. Decreto legislativo 4 marzo 2015 n.23
  3. Decreto legislativo 15 giugno 2015 n.80
  4. Decreto legislativo 15 giugno 2015 n.81;
  5. Decreto legislativo 14 settembre 2015, n.148
  6. Decreto legislativo 14 settembre 2015, n.149;
  7. Decreto legislativo 14 settembre 2015, n.150
  8. Decreto legislativo 14 settembre 2015, n.151

NOTE

1. Dlgs 4 marzo 2015, n. 22 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 183/2014″)

  • abolisce l’Assicurazione Sociale Per l’Impiego (ASPI); al suo posto è costituita la Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASPI) che prevede un sussidio decrescente della durata massima di 24 mesi .
  • costituisce per l’anno 2015 uno speciale sussidio di disoccupazione chiamato Disoccupazione per i Collaboratori (DIS-COLL) che varrà per i lavoratori con contratti co.co.co., i quali potranno disporre di un assegno di disoccupazione della durata massima di sei mesi, nel caso perdano il lavoro e abbiano versato più di tre mesi di contributi nell’anno solare ed almeno un mese nell’anno precedente al momento in cui hanno perso il proprio impiego. La ratio del nuovo sussidio è quella di allargare la platea dei beneficiari, estendendola anche ai lavoratori parasubordinati. La natura sperimentale è dovuta al fatto che, a partire dal 1º gennaio 2016, non sarà più possibile di regola stipulare contratti di lavoro di tipo co.co.co.
  • Per l’anno 2015 è inoltre introdotta in via sperimentale l’Assegno di Disoccupazione (ASDI), un ulteriore assegno di disoccupazione a cui avrà diritto chi, scaduta la NASPI, non ha trovato impiego e si trovi in condizioni di particolare necessità. L’importo dell’ASDI è pari al 75% dell’importo della NASPI.

2. D.lgs 4 marzo 2015, n. 23 – “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 183/2014″‘

  • Le nuove disposizioni si applicano per i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto (cioè dal 7 marzo 2015), nonché ai casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del decreto, di contratti a tempo determinato o di apprendistato in contratti a tempo indeterminato. Per gli altri contratti, invece, continua ad applicarsi l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
  • In caso di licenziamento senza giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro dovrà versare al lavoratore dipendente un indennizzo pari a due mesi di stipendio per ogni anno di lavoro nell’azienda, da un minimo di 4 a un massimo di 6 mesi di indennizzo per le aziende con meno di 15 dipendenti e da 12 mesi a 24 mesi di indennizzo per le aziende con più di 15 dipendenti. Le nuove regole prevedono anche la possibilità di ricorrere alla conciliazione veloce, nella quale il datore di lavoro offre una mensilità per ogni anno di anzianità fino a un massimo di 18 mensilità.
  • La norma modifica anche l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che nella attuale formulazione prevede per i licenziamenti senza giustificato motivo oggettivo un risarcimento che andava da un minimo di 12 a un massimo di 24 mensilità o la reintegra sul posto di lavoro, ma si applica solo alle imprese con più di 15 dipendenti.
  • Sono poi predisposte analoghe tutele per i licenziamenti discriminatori e per quelli disciplinari per i quali venga provata l’insussistenza del fatto contestato (per i quali viene imposto il reintegro del dipendente).

3. D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 80 – Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell’articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183: maternità, paternità, congedo parentale, dimissioni, ecc.

4. L’ art. 3 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 ha modificato la disciplina del mutamento delle mansioni, riducendo i limiti preesistenti, sia mediante l’ estensione dello ius variandi del datore di lavoro, sia prevedendo ipotesi di derogabilità dei nuovi limiti ad opera tanto dell’ autonomia individuale, quanto di quella collettiva. Il decreto ha inoltre abolito la tipologia del contratto di co.co.pro., tranne che per i contratti ancora in corso all’entrata in vigore sella norma.

5. DLgs 14 settembre 2015, n. 148 – Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183.

6. DLgs 14 settembre 2015, n. 149 – Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale.

  • istituisce un’agenzia unica per le ispezioni del lavoro, denominata Ispettorato del Lavoro, che svolge le attività ispettive finora compiute dalle Direzioni Territoriali del Lavoro, da INPS e INAIL. Tutto il personale ispettivo delle DTL confluisce nella nuova agenzia; il personale ispettivo di INPS e INAIL resta invece nei rispettivi enti “ad esaurimento”, ma segue le direttive e la programmazione dell’Ispettorato. Per una maggiore efficacia ispettiva, INPS, INAIL e Agenzia delle entrate sono tenuti a condividere con l’Ispettorato le proprie banche dati.

7. Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150 – Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive: organizzazione, struttura e competenze degli organismi componenti la rete di servizi

8. Decreto legislativo 151/2015, emanato in attuazione della delega conferita dalla legge 10 dicembre 2014, n. 183, che dispone nuove regole procedure alla luce delle innovazioni tecnologiche intervenute nei modelli e nei contesti aziendali lavorativi e produttivi. Le disposizioni contenute nel decreto possono essere suddivise in tre gruppi fondamentali:

  • Semplificazioni di procedure e adempimenti in materia di inserimento mirato delle persone con disabilità, costituzione e gestione del rapporto di lavoro, salute e sicurezza sul lavoro e assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, revisione delle sanzioni in materia di lavoro e legislazione sociale.
  • Disposizioni in materia di rapporto di lavoro.  Tra le novità più importanti la modifica l’art. 4 dello statuto dei lavoratori che consente l’utilizzo di apparecchiature audiovisive per il controllo a distanza dei lavoratori, possibilità prima non prevista. L’utilizzo di impianti audiovisivi è comunque subordinato ad autorizzazione del Ministero del Lavoro; sono poi previste sanzioni per i lavoratori che utilizzino telefoni cellulari, tablet e altre strumentazioni non per finalità lavorative. Da segnalare inoltre: la possibilità per i lavoratori di cedere, a titolo gratuito, ai colleghi, i riposi e le ferie maturati, al fine di assistere i figli minori; l’introduzione per i lavoratori del settore privato di ipotesi di esenzione dal rispetto delle fasce di reperibilità in caso di malattia; l’introduzione di modalità semplificate per effettuare le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, esclusivamente con modalità telematiche.
  • Disposizioni in materia di pari opportunità, rivedendo ampiamente la normativa sulle consigliere di parità.



Legge Fornero di riforma del lavoro

La riforma del lavoro , legge 28 giugno 2012, n. 92, reca il titolo “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”, è stata proposta dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero durante il governo Monti, per riformare il mercato del lavoro.

La riforma Fornero è stata in seguito in gran parte modificata, nell’ambito del Jobs Act, dal decreto legge 20 marzo 2014, n. 34 (“decreto Poletti”), approvato dal governo Renzi il 20 marzo 2014.

Tra le novità introdotte dalla legge: nuove norme sui rapporti di lavoro subordinato e parasubordinato,  modifiche allo Statuto dei lavoratori per rendere più facili licenziamenti individuali per motivi economici,  modifiche ai contratti dei collaboratori e alla durata dei lavoratori a termine,  una stretta sull’abuso delle partite IVA, un nuovo sistema di ammortizzatori sociali.

NB: In merito alla modifica dell’art.18 Statuto dei Lavoratori, una recente sentenza di Cassazione ha specificato che esso non si applica al pubblico impiego (vedi)

Testo Legge Fornero con aggiornamenti

Sintesi delle novità

 




Legge Madia di riforma della Pubblica Amministrazione e decreti attuativi

Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13 agosto 2015, la Legge 124/2015 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, meglio conosciuta come Legge Madia di Riforma della PA, è costituita da 23 articoli, così suddivisi: artt. 1-7: semplificazioni amministrative; artt. 8-10: organizzazione; artt. 11-15: personale; artt. 16-23: deleghe per la semplificazione normativa.

Il provvedimento contiene 14 importanti deleghe legislative: dirigenza pubblica, riorganizzazione dell’amministrazione statale centrale e periferica, digitalizzazione della PA, semplificazione del procedimenti amministrativi, razionalizzazione e controllo delle società parteicpate, anticorruzione e trasparenza.

Oltre al testo integrale, pubblichiamo separatamente l’art.17 sul riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze della PA.

 

DECRETI ATTUATIVI

Di seguito, i testi dei decreti attuativi di maggior rilievo per la nostra area di interesse sin qui emanati

  • Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale (in via di emanazione)