Sottoscritta l’ipotesi del CCNL per la Dirigenza dell’area Funzioni Locali triennio 2019-2021

Il giorno 11 dicembre 2023, Aran e sindacati rappresentativi hanno sottoscritto l’Ipotesi di Contratto Collettivo Nazionale di lavoro per il triennio 2019-2021 per i circa 13.640 Dirigenti, Dirigenti amministrativi tecnici e professionali e Segretari Comunali e Provinciali dell’Area dirigenziale delle Funzioni Locali.

Il nuovo testo contrattuale regola alcuni istituti normativi ed economici di parte comune applicabili a tutto il personale destinatario del presente CCNL tra cui la nuova disciplina prevista in materia di Lavoro Agile e di mentoring.

Molti degli interventi previsti nel CCNL adeguano le norme contrattuali a corrispondenti interventi legislativi che si sono susseguiti negli ultimi anni.

In particolare, è stata riformulata, in modo completo e organico, la parte che riguarda le relazioni sindacali, ponendo particolare attenzione sulla tematica dell’informazione, sia preventiva sia consuntiva, nonché sulle materie di confronto.

Miglioramenti significativi sono contenuti nella riscrittura del periodo di prova e nell’ampliamento di alcune tutele, ad esempio quelle concernenti le gravi patologie che necessitano di terapie salvavita, le misure in favore delle donne vittime di violenza, le diverse tipologie di assenze.

Tra le disposizioni comuni riguardanti gli istituti economici applicabili a tutto il personale dell’Area, è stata ridefinita la materia del patrocinio legale e quella delle coperture assicurative, nonché le norme concernenti alcuni adattamenti utili per la corretta applicazione della norma sul welfare integrativo.

Sono stati, inoltre, riscritti i principi generali nonché la pianificazione strategica degli interventi della formazione.

È stata data una particolare enfasi ai meccanismi di differenziazione e variabilità della retribuzione di risultato.

Nelle specifiche sezioni dedicate, rispettivamente alla Dirigenza degli Enti Locali, ai Dirigenti amministrativi tecnici e professionali e ai Segretari comunali e provinciali, sono stati inseriti puntuali interventi sulle relazioni sindacali e sul trattamento economico.

Per i Dirigenti degli Enti Locali è stato previsto un nuovo istituto che regola il trattamento economico riconoscibile al personale utilizzato in convenzione tra più enti.

Per i Dirigenti amministrativi tecnici e professionali, oltre ai previsti incrementi delle diverse voci del trattamento economico, è stata attualizzata la disciplina della pronta disponibilità.

Gli interventi di sicuro aggiornamento, rispetto alla previgente disciplina contrattuale, riguardano le norme applicabili ai Segretari Comunali e Provinciali.

Nel nuovo impianto delle relazioni sindacali non è più prevista la contrattazione collettiva integrativa di livello nazionale e, a seguito della scelta operata dalle parti, gli istituti già regolati dai contratti collettivi integrativi nazionali sono stati disciplinati nell’Ipotesi di CCNL.

Con una puntuale riscrittura della disciplina sulla retribuzione di posizione spettante ai Segretari, è stato modificato il meccanismo per il riconoscimento della maggiorazione della retribuzione di posizione, attraverso la previsione di valori minimi e massimi riconoscibili in base alle classi demografiche degli enti e a criteri di graduazione espressamente individuati nel testo contrattuale.

Specifiche clausole sono inoltre previste per i Segretari di Comuni aderenti ad una Unione e per i Segretari operanti nei Comuni capoluogo.

E’ stata, inoltre, disciplinata l’Indennità di reggenza e supplenza prima regolata dal Contratto Collettivo integrativo nazionale ed inserita, anche per i Segretari, la norma contrattuale sugli incarichi ad interim.

 

 




Legge di Bilancio: novità per il personale degli Enti Locali

La Legge di Bilancio 2022 ha portato diverse novità per il personale delle PA centrali e delle Funzioni Locali, favorendo le assunzioni negli asili nido, nelle Province e Città Metropolitane, allargando le prospettive di lavoro per gli assistenti sociali e dando possibilità di proroga ai contratti PNNR sino alla fine del 2026. Il fondo salario accessorio è fissato a 110,6 milioni per l’anno in corso. Per i CCNL sono stati stanziati 301 milioni per il 2022 e 500 mln annui a decorrere dal 2023.

ASILI NIDO – Nuove assunzioni oltre soglia
Il comma 172, al fine di rimuovere gli squilibri territoriali nell’erogazione del servizio di asilo nido, incrementa la quota del Fondo di solidarietà comunale destinata ai comuni delle regioni a statuto ordinario e delle regioni Sicilia e Sardegna per il potenziamento degli asili nido e ne modifica i criteri e le modalità di riparto. L’ultimo periodo del comma in esame prevede, inoltre, che le risorse assegnate possono essere utilizzate dai comuni anche per l’assunzione del personale necessario alla diretta gestione dei servizi educativi per l’infanzia, trovando in tal caso applicazione l’articolo 57, comma 3-septies, del D.L. n. 104 del 2020, il quale esclude che le spese relative ad assunzioni fatte in data successiva al 14 ottobre 2020 (data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 104 del 2020), finanziate con risorse provenienti da altri soggetti, nonché le relative entrate poste a copertura, rilevino ai fini del rispetto dei limiti assunzionali previsti dalla normativa vigente;

PROVINCIE – Assunzioni flessibili, abrogati i limiti posti nel 2018
Il comma 562 abroga la disposizione del comma 847 dell’articolo 1 della legge n. 205/2017 (legge di bilancio per il 2018), in base alla quale le province delle regioni a statuto ordinario possono avvalersi di personale con rapporto di lavoro flessibile nel limite del 25 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009, nonché la disposizione del secondo periodo dell’art. 33, comma 1-ter del D.L. n. 34/2019, secondo cui le province possono avvalersi di personale a tempo determinato nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009 (primo periodo). Pertanto, il tetto di spesa per le assunzioni flessibili delle Province è fissato nel 100% di quanto sostenuto allo stesso titolo nel 2009;
Nel contempo, il comma in esame stabilisce che la spesa di personale effettuata dalle Province e dalle Città Metropolitane per le assunzioni a tempo determinato per l’attuazione dei progetti previsti nel PNRR, a valere sulle maggiori risorse finanziarie derivanti dalla applicazione delle suddette abrogazioni, non rilevi ai fini dell’applicazione dell’art. 33, comma 1-bis, del citato decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (cioè ai fini del calcolo del valore soglia funzionale alla determinazione della capacità assunzionale a tempo indeterminato), e dell’articolo 1,commi 557 e 562, della legge 27 dicembre 2006, n.296 (cioè ai fini ai fini della verifica del rispetto del limite di spesa per il personale riferito al valore medio del triennio 2011/2013);

CITTA’ METROPOLITANE – Nuove assunzioni per accertamento e riscossione tributi
il comma 580, il quale, al fine di potenziare l’attività di accertamento e riscossione dei tributi e la valorizzazione del patrimonio, autorizza i comuni sede di capoluogo di città metropolitana cui è riconosciuto il contributo di cui al comma 557, nel periodo 2022-2032, ad assumere personale con contratto a tempo determinato con qualifica non dirigenziale da destinare alle predette specifiche attività, sino ad una spesa aggiuntiva non superiore ad una percentuale, individuata negli Accordi di cui al comma 572, della media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati, considerate al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità stanziato nel bilancio di previsione. Le predette assunzioni possono essere disposte in deroga all’art. 9, comma 28, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, il quale prevede i limiti entro i quali le pubbliche amministrazioni possono stipulare contratti di lavoro flessibile. La relativa spesa di personale, per di più, non rileva ai fini dell’applicazione dei già cit. articoli 33 del D.L. n. 34/2019 e 1, commi 557 e 562, della legge n. 296 del 2006;

DIPENDENTI – Incremento fondo salario accessorio
il comma 604 prevede un incremento delle risorse per i trattamenti accessori dei dipendenti pubblici (ivi compresi i dirigenti) rispetto a quelle destinate alla medesima finalità nel 2021, di una misura percentuale del monte salari 2018 da determinare, per le amministrazioni statali, nei limiti di una spesa complessiva di 110,6 milioni di euro a decorrere dall’anno 2022, al lordo degli oneri contributivi ai fini previdenziali e dell’imposta regionale sulle attività produttive. Per le Amministrazioni diverse da quelle statali, detto incremento avverrà a valere sui relativi bilanci, con la medesima percentuale e i medesimi criteri previsti per il personale delle amministrazioni dello Stato;

RISORSE PER LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA – IDV
609. Per il triennio 2022-2024 gli oneri posti a carico del bilancio statale per la contrattazione collettiva nazionale in applicazione dell’articolo 48, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e per i miglioramenti economici del personale statale in regime di diritto pubblico sono determinati in 310 milioni di euro per l’anno 2022 e in 500 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2023. A valere sui predetti importi si dà luogo, nelle more della definizione dei citati contratti collettivi nazionali di lavoro e dei provvedimenti negoziali relativi al personale in regime di diritto pubblico, in deroga alle procedure previste dalle disposizioni vigenti in materia, all’erogazione dell’anticipazione (indennità di vacanza contrattuale) di cui all’articolo 47-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e degli analoghi trattamenti previsti dai rispettivi ordinamenti, nella misura percentuale, rispetto agli stipendi tabellari, dello 0,3 per cento dal 1° aprile 2022 al 30 giugno 2022 e dello 0,5 per cento a decorrere dal 1° luglio 2022. Tali importi, comprensivi degli oneri contributivi ai fini previdenziali e dell’imposta regionale sulle attivita’ produttive (IRAP) di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, concorrono a costituire l’importo complessivo massimo di cui all’articolo 21, comma 1-ter, lettera e), della legge 31 dicembre 2009, n. 196.
il comma 610 ribadisce che per il personale dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall’amministrazione statale, i maggiori oneri per i rinnovi contrattuali relativi al triennio 2022-2024 sono posti a carico dei bilanci delle amministrazioni stesse. Detti oneri devono essere quantificati sulla base dei medesimi criteri di cui al precedente comma 609, il quale conferma il finanziamento del fondo contratti nella misura già prevista dalla legge di bilancio del 2021 per la sola copertura dei costi per l’indennità di vacanza contrattuale relativa al triennio 2022 – 2024 e per i relativi effetti indotti.
La citata anticipazione è determinata, tenendo conto dei criteri previsti dai vigenti CCNL e provvedimenti negoziali, sulla base dell’IPCA per l’anno 2022 stimato dall’ISTAT a maggio 2021, nella misura, rispetto agli stipendi tabellari, dello 0,3 per cento dal 1° aprile 2022 al 30 giugno 2022 e dello 0,5 per cento a decorrere dal 1° luglio 2022;
il comma 61 concerne le risorse finanziarie per la definizione, da parte dei contratti collettivi nazionali per il triennio 2019-2021, dei nuovi ordinamenti professionali del personale non dirigente delle amministrazioni pubbliche, sulla base dei lavori delle commissioni paritetiche per la revisione dei sistemi di classificazione professionale previste dai contratti collettivi precedenti (relativi al triennio 2016-2018). Viene inoltre definito, in coerenza con le predette risorse, il limite di spesa massimo per la finalità di cui trattasi, nella misura dello 0,55% del monte salari 2018 (calcolato sulla base delle retribuzioni medie e delle unità al 31/12/2018 come da conto annuale 2018).
Anche in questo caso, tuttavia, per il personale non dirigente dipendente dalle amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall’amministrazione statale, i relativi oneri verranno posti a carico dei bilanci delle amministrazioni stesse;

POLIZIA LOCALE – Contrasto Covid
651. Stanziamento euro 1.940.625 per il pagamento degli altri oneri connessi all’impiego del personale delle polizie locali (straordinari aggiuntivi)

ASSISTENTI SOCIALI – Entro il 2026 ve ne saranno 1 ogni 6500 abitanti
I commi 734-735 modificano i criteri di riparto applicati alle quote incrementali del Fondo di solidarietà comunale stanziate dalla legge di bilancio 2021 per lo sviluppo dei servizi sociali comunali, prevedendo che tale riparto sia effettuato anche in osservanza del livello essenziale delle prestazioni e dei servizi sociali definito da un rapporto tra assistenti sociali impiegati nei servizi sociali territoriali e popolazione residente nell’ambito territoriale di riferimento, in modo che venga gradualmente raggiunto entro il 2026, alla luce dell’istruttoria condotta dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, l’obiettivo di servizio di un rapporto tra assistenti sociali impiegati nei servizi sociali territoriali e popolazione residente pari a 1 a 6.500 (commi 734-735);

SANITA’ E COMPARTO FUNZIONI LOCALI
Il comma 881, nel modificare il comma 687 della legge di bilancio 2019, prevede che, per il triennio 2022-2024 (precedentemente triennio 2019-2021), la dirigenza amministrativa, professionale e tecnica del Servizio sanitario nazionale sia compresa nell’area della contrattazione collettiva della sanità. Pertanto, anche in occasione del prossimo rinnovo contrattuale, l’area delle Funzioni Locali comprenderà i dirigenti delle amministrazioni del comparto delle Funzioni Locali, i dirigenti amministrativi, tecnici e professionali delle amministrazioni del comparto Sanità, nonché i segretari comunali e provinciali;

Contratti PNRR prorogabili (per una volta) fino al 31/12/26

il comma 995 prevede che le pubbliche amministrazioni coinvolte a vario titolo nelle attività di coordinamento, gestione, attuazione, monitoraggio e controllo del PNRR, nell’ambito della propria autonomia, possono prorogare, per una sola volta, i contratti di consulenza e collaborazione di cui all’articolo 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001 e all’articolo 110, comma 6, del D.Lgs. 267/2000 fino al 31 dicembre 2026 e nei limiti delle risorse finanziarie già destinate per tali attività nei propri bilanci, sulla base della legislazione vigente.

 




Le novità della Legge di Bilancio per la PA e il Progetto PICCOLI

Gli stanziamenti per la Pubblica Amministrazione pèrevisti dalla prossima manovra finanziaria sono di circa 650 milioni per il 2022 e di 1,8 miliardi sul triennio 2022-2024, suddivisi nelle voci seguenti, che secondo il ministro Brunetta, rispettano gli impegni presi col PNRR.

Salario accessorio
La legge di bilancio prevede, a decorrere dal 2022, l’aumento fino a 200 milioni di euro annui dei fondi destinati alla contrattazione integrativa delle amministrazioni statali, da stabilire in misura percentuale rispetto al monte salari 2018. Allo stesso fine, i contratti collettivi nazionali relativi ad amministrazioni, istituzioni ed enti diversi da quelli statali potranno aumentare secondo gli stessi criteri i fondi per la contrattazione integrativa. È una spinta decisa al salario di produttività.

Ordinamento professionale e carriere
Per definire i nuovi ordinamenti professionali delle amministrazioni dello Stato stabiliti dalla contrattazione 2019-2021, inclusi i percorsi di carriera, è istituito un apposito fondo con dotazione iniziale di 200 milioni di euro dal 2022. Le amministrazioni diverse da quelle statali integrano le risorse relative ai contratti 2019-2021 sulla base dei criteri previsti dalle amministrazioni statali.

Fondo per la formazione
Per centrare l’obiettivo di una formazione dei dipendenti pubblici adeguata alle tre transizioni che l’Italia deve affrontare – digitale, ecologica e amministrativa – si istituisce un fondo con dotazione iniziale di 50 milioni di euro per il 2022. Queste risorse si aggiungono agli oltre 900 milioni previsti dal Pnrr e dai fondi strutturali per gli interventi di formazione e sviluppo organizzativo delle amministrazioni pubbliche: un imponente stanziamento di risorse per aggiornare e riqualificare il lavoro pubblico. Va in questa direzione il protocollo d’intesa già siglato con la ministra dell’Università, Maria Cristina Messa, che ha spianato la strada a convenzioni con gli atenei per offrire ai dipendenti pubblici corsi di laurea e master a condizioni agevolate. Un accordo è già stato firmato con la Sapienza Università di Roma.

Aumento dell’indennità dei sindaci e degli amministratori locali
Per supportare e rafforzare la continuità dell’azione dei sindaci, anche in relazione all’impegno aggiuntivo richiesto dall’attuazione del Pnrr, si aumenta l’indennità di funzione spettante ai primi cittadini. In totale, per finanziare la misura, sono disponibili 100 milioni per il 2022, 150 milioni per il 2023, 220 milioni a decorrere dal 2024.

Fondo per le assunzioni a tempo indeterminato
È istituito un fondo per le assunzioni a tempo indeterminato nelle amministrazioni dello Stato, degli enti pubblici non economici nazionali e delle agenzie con dotazione iniziale di 100 milioni per il 2022, 200 milioni per il 2023 e 250 milioni a decorrere dal 2024. Nel complesso, sono previste oltre 100mila assunzioni all’orizzonte nella Pubblica Amministrazione, ma anche la stabilizzazione di 33mila lavoratori della sanità assunti con contratti temporanei nel corso della lunga emergenza Covid, e poi professori, ricercatori e personale per l’Università.

I nuovi concorsi per la Pubblica Amministrazione

La legge di Bilancio autorizza i nuovi concorsi per la Pubblica Amministrazione da bandire a partire dal 1 gennaio 2022. E per le assunzioni a tempo indeterminato dello Stato, degli enti pubblici non economici nazionali e delle agenzie mette sul piatto 100 milioni per il 2022, 200 milioni per il 2023 e 250 milioni per il 2024. L’ultima stima della Funzione Pubblica era di 119 mila assunti con i concorsi già banditi o da bandire quest’anno. Una parte di queste assunzioni sono già state fatte, una parte sono proiettate al 2022, ma molte altre ne arriveranno con i concorsi pubblici che verranno banditi nei prossimi mesi. In arrivo con inuovi bandi oltre 20 mila posti dai 1.500 del ministero del Lavoro ai 4.000 per l’Agenzia delle Entrate ai magistrati.

Assunzioni negli Enti Locali – Progetto PICCOLI

Difficile stimare le assunzioni negli enti locali: per i Comuni con la popolazione inferiore a 5 mila abitanti è arrivato qualche giorno fa il progetto “P.I.C.C.O.L.I.- Piani di intervento per le competenze, la capacità organizzativa e l’innovazione locale”:  iniziativa realizzata nell’ambito del PON Governance e capacità istituzionale 2014-2020, uno degli strumenti della politica di coesione finanziati dall’Unione europea attraverso i fondi strutturali e di investimento europei. Il progetto del Dipartimento della funzione pubblica, che affida ad Anci la competenza nazionale per la progettazione partecipata e l’affiancamento alle amministrazioni locali, consiste in uno stanziamento di 42 milioni di euro in 41 mesi

“Questo intervento fa parte di un ampio ventaglio di iniziative del Governo e in particolare del Dipartimento della funzione pubblica – ha sottolineato il ministro Renato Brunetta – a supporto dei Comuni, i più penalizzati in questi anni dal blocco del turnover e dalla contrazione della spesa per investimenti sul capitale umano. Ora l’inversione di marcia è netta, grazie al progetto P.I.C.C.O.L.I., agli altri realizzati grazie ai fondi strutturali e soprattutto a quelli previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e in gran parte già tradotti in norme, con le semplificazioni, le nuove e rapide modalità di reclutamento per il personale Pnrr, i percorsi di carriera più fluidi, il rafforzamento della formazione. Un altro importante pacchetto di misure per gli enti locali troverà spazio nella legge di bilancio. Siamo davanti a un enorme investimento sulle competenze e sulle tecnologie per sostenere il cambiamento organizzativo necessario alla transizione digitale e per assicurare ai Comuni personale e strumenti adeguati. Senza mai dimenticare l’obiettivo finale: garantire a cittadini e imprese servizi efficienti e di qualità. Abbiamo le risorse e l’intelligenza per vincere questa sfida”.
“I piccoli Comuni – afferma il presidente Anci, Antonio Decaro – rappresentano l’ossatura portante del Paese: sul totale di 7.904 Comuni italiani ben 5.490 hanno una popolazione inferiore a cinquemila abitanti, rappresentano il 17% della popolazione italiana e amministrano il 54% del territorio nazionale. Custodiscono anche gran parte del patrimonio storico e naturalistico del Paese. Per questo è nostro dovere prendercene cura. Purtroppo in questi anni la frenesia e il mito della grande città ha determinato un progressivo spopolamento. E invece la pandemia ci ha fatto scoprire che esiste nel nostro Paese una riserva di luoghi e di vita che ci restituisce una dimensione nuova, salutare in cui non solo è bello vivere ma è anche possibile. Per far questo però c’è bisogno di renderli efficienti e moderni, pur conservando la loro peculiarità. È fondamentale la convergenza tra la storica battaglia dell’Anci in difesa della rete dei piccoli Comuni e gli impegni assunti dal Governo nazionale su diversi fronti. Sono stati già conseguiti risultati concreti. Si è allentata la stretta sulle assunzioni di nuovo personale. Può essere selezionato un numero maggiore di Segretari comunali. Sono arrivate in porto semplificazioni richieste da lungo tempo nella redazione dei bilanci e in altri adempimenti burocratici. Quest’anno per i piccoli Comuni sono state stanziate risorse per investimenti per 2,8 miliardi, cui va aggiunto il miliardo di euro destinato dal Pnrr al Piano nazionale borghi. Il Progetto P.I.C.C.O.L.I. è coerente e importante corollario di questi interventi, affinché l’afflusso delle risorse finanziarie e l’assunzione di nuovo personale si traducano in ciò che alla fine conta davvero: un servizio migliore ai cittadini, una risposta più rapida e completa a ogni loro esigenza nei confronti delle Amministrazioni locali”.
Il progetto P.I.C.C.O.L.I. ha visto arrivare 1.502 manifestazioni di interesse (1.399 singole e 103 in forma aggregata), per un totale di 1.988 Comuni con meno di 5.000 abitanti. Gli ambiti tematici più selezionati sono stati bilanci, contabilità, gestione del personale e riscossione dei tributi (24%), smart working (22%), acquisti e appalti pubblici (19%), semplificazione (18%), gestione associata servizi locali (17%).
L’Anci sta attualmente supportando i Comuni nella progettazione partecipata dei Piani di intervento: 471 enti hanno già trasmesso il piano al Dipartimento della funzione pubblica, 552 hanno ultimato il percorso di analisi dei fabbisogni e 612 sono al lavoro. Sono in corso le interlocuzioni con Formez PA individuato come soggetto attuatore, che fornirà sostegno per la transizione amministrativa e digitale delle amministrazioni.



Progressioni verticali: non è ammesso il “doppio salto”

Come evidenziato dalla Gazzetta degli Enti Locali, il rilancio delle progressioni verticali operato dall’articolo 3, comma 1, del d.l. 80/2021, che modifica l’articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs. 165/2001, non lascia spazio alla possibilità di far effettuare una progressione verticale con un balzo in avanti di due categorie, ovvero saltando la categoria che sta in mezzo tra quella di partenza e quella di arrivo (ad es. dalla B3 alla D).

Secondo alcuni questo salto sarebbe ammissibile in quanto la norma non lo vieta espressamente. Ma, come giustamente osservato dall’autore dell’articolo, l’ordinamento amministrativo considera legittimi solo gli istituti che disciplina in via espressa e tipica.

Essendovi comunque la necessità di arrivare a una conclusione certa, l’autore porta una serie di argomentazioni, come di seguito indicato.

Le progressioni verticali sono con ogni evidenza un sistema di vero e proprio reclutamento alternativo a quello del concorso pubblico. Le pubbliche amministrazioni hanno la possibilità, cioè, di coprire alcuni posti liberi nell’ambito del fabbisogno senza rivolgersi al “pubblico”, ma fornendo ai propri dipendenti l’opportunità di uno sviluppo di carriera, evidentemente fondato sulla maturazione della consapevolezza che tra i propri dipendenti sono maturate esperienze e competenze meritevoli dell’ascesa verticale.

È proprio questo l’elemento da tenere in specifica considerazione. La tesi opposta secondo la quale il salto sarebbe ammissibile trae altra argomentazione per sostenere le proprie ragioni dall’esame del mero possesso del titolo di studio. Si afferma, quindi, che laddove un dipendente in categoria B3 disponga della laurea, potrebbe per ciò solo concorrere alla progressione verticale.

Sfugge a questo modo di leggere le norme che in capo al dipendente, per quanto dotato del titolo di studio in astratto utile all’inquadramento in categoria D, manchi del tutto anche la sola possibilità di una valutazione dello svolgimento delle proprie attività tale da evidenziare un potenziale adeguato alla progressione.

Guardiamo i criteri di valutazione imposti dalla norma, ai fini della procedura comparativa da svolgere per selezionare i meritevoli del passaggio verticale:

  • la valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni di servizio,
  • l’assenza di provvedimenti disciplinari,
  • il possesso di titoli professionali e di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area,
  • il numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti.

Occorre, allora, porsi una domanda: quale utilità può avere, per la collocazione in D, la valutazione per attività connesse alla categoria B3; quali incarichi connesse alla categoria B3 stessa possono considerarsi minimamente comparabili utili e rilevanti, per reputare il dipendente come potenzialmente in grado di ascendere direttamente alla categoria D, senza passare dalla C? La risposta oggettiva è una sola: nessuna utilità.

Una progressione per saltum è all’evidenza solo una forzatura, che spesso per altro nasconde un chiaro favoritismo nei confronti di individuati dipendenti in apertissima violazione dei criteri anticorruzione posti dal Piano Nazionale 2013.

Il dipendente di categoria B che intenda ascendere alla D, per altro, ha aperte ben due strade. La prima: quella della progressione verticale nel medesimo ente, in successione dalla C alla D. Ci vuole tempo, certo, ma è esattamente quel richiedono legge e, prima ancora, logica. La seconda: partecipare ad un concorso pubblico per l’assunzione nella categoria D.

In conclusione, è d’obbligo evidenziare, comunque, che il divieto della progressione per saltum non è una lettura capricciosa di qualche interprete intento a tarpare le ali dei dipendenti pubblici. Essa si fonda, come visto, su evidenze normative inconfutabili.

In ogni caso, detto divieto trova un suo autorevole fondamento non normativo, bensì interpretativo, nelle sentenze della Corte Costituzionale 1/1999 e 194/2002, che richiama la prima.

La prima sentenza censura una procedura di concorso interno che non solo aveva riservato al personale interno il 100% dei posti disponibili, ma utilizzando l’escamotage di corsi, per altro dai contenuti formativi ignoti, come strumento di cooptazione, aveva esteso la promozione anche a dipendenti di due categorie inferiori, che avessero partecipato a detti corsi.

Anche il Ministero dell’interno, col parere ad oggetto “Progressione verticale personale EE. LL. – Art. 4, commi 1 e 2, del C.C.N.L. del 31 marzo 1999”, ha espresso la propria contrarietà al doppio salto: “la giurisprudenza costituzionale (…) non ha escluso la compatibilità delle progressioni interne dei dipendenti della pubblica amministrazione, purché le stesse siano conformi ai principi costituzionali, identificati dalla stessa Corte Costituzionale. Tali principi, estrapolati dal contenuto delle sentenze della Corte stessa, sono sostanzialmente identificabili nel divieto di procedere a progressione di soggetti non appartenenti alla qualifica immediatamente inferiore (c.d. principio del divieto del doppio salto) e nel rispetto delle regole generali di buon andamento della pubblica amministrazione, così come enucleate dall’art. 35 del decreto legislativo 30.3.2001, n. 165, che si riferiscono, in sostanza, all’obbligatorietà dello svolgimento di procedure selettive volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l’acceso dall’esterno; peraltro, quest’ultima, valutata dalla Corte stessa, non irragionevole, se rapportata alla riserva del 50% dei posti da coprire (sent. 234/94)”.

Infine, il divieto del doppio salto è enunciato e rilevato dalla giurisprudenza amministrativa costante, come ad esempio Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18 marzo 2010, n. 1604.

 

 




Il riparto del Fondo Covid per gli Enti Locali

È stato raggiunto l’accordo in sede di Conferenza Stato-Città, presieduta dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, in merito al riparto del Fondo per l’esercizio delle funzioni degli Enti locali. L’intesa prevede l’erogazione di una somma pari a 1 miliardo e 280 milioni di euro, come previsto dall’articolo 106 del d.l. n. 34/20201 miliardo e 150 milioni saranno destinati ai Comuni, mentre le Città metropolitane riceveranno i restanti 130 milioni.

Non tutte le risorse dello stanziamento iniziale, pari a 1 miliardo e mezzo, saranno erogate immediatamente. Sarà anzitutto fondamentale, in questa fase, garantire il ristoro della perdita di gettito connessa all’emergenza sanitaria. Buone notizie per le grandi città: Milano, Roma e Venezia riceveranno rispettivamente 184, 90 e 74 milioni. Il fabbisogno 2021 del comparto è stato calcolato, chiaramente, alla luce delle minori entrate, al netto però delle minori spese per i contratti di servizio. È stata dedicata attenzione anche al trasporto pubblico locale, per il quale è stato calcolato un importo pari al 25% della variazione di entrate 2019-2020; valore a cui si aggiungono le risorse per compensare le variazioni di imponibile per l’addizionale IRPEF 2021. Ad ogni modo, il fabbisogno 2021 è ora determinato in 969 milioni, al netto dell’addizionale IRPEF, in considerazione dell’acconto 2021 già erogato. In relazione ai criteri di riparto, l’obiettivo era assicurare una quota pari ad almeno 2 euro per abitante per ciascun Comune. Nel prosieguo della seduta è stato anche preso in esame, e successivamente approvato, il DPCM recante la ripartizione del Fondo per i contenziosi connessi a sentenze esecutive emesse a causa di calamità o cedimenti strutturali, o da accordi transattivi ad esse collegate, verificatesi entro il 25 giugno 2016. I Comuni interessati da tale provvedimento, volto ad evitare che gli stessi precipitino nel dissesto finanziario, sono Pontboset (AO), Noli (SV), San Giuliano di Puglia (CB), Lettere (NA), Castellaneta (TA) e Sarno (SA).




Solo il sindaco può emanare l’ordinanza contingibile e urgente

L’ordinanza contingibile e urgente sottoscritta da un dirigente è illegittima in quanto viziata da incompetenza. Alla luce di un consolidato orientamento giurisprudenziale solo il sindaco, in qualità di ufficiale di governo, è dotato di tale potere, non delegabile, peraltro, a soggetti diversi dall’Amministrazione comunale, anche in considerazione del fatto che al dirigente in questione sono attribuiti solo compiti di ordinaria gestione del patrimonio comunale che non contemplano in nessun modo l’adozione di provvedimenti extra ordinem a tutela della sicurezza. Sono queste le conclusioni cui è giunto il TAR Campania, Sez. V, mediante la sentenza dell’8 luglio 2021, n. 4693.

L’istante ha impugnato le ordinanze con le quali il funzionario comunale responsabile del servizio igiene e sanità, sulla base del verbale di sopralluogo effettuato dalla Polizia municipale, ha ordinato di provvedere alla pulizia radicale del fondo di cui l’istante è proprietaria mediante il taglio delle erbacce e degli arbusti selvatici, entro il termine perentorio di 20 giorni dalla notifica. Il Collegio ha ritenuto di dover accogliere il ricorso soprattutto alla luce dell’illegittimità dei gravati provvedimenti per l’incompetenza del dirigente responsabile dell’emanazione. Assume infatti rilievo l’esercizio della potestà di ordinanza riservato, dall’articolo 54 del TUEL, espressamente al sindaco. Dunque le determinazioni comunali così assunte soffrono il vizio di incompetenza, per cui s’impone l’annullamento delle stesse.

 

IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA




Decreto Sostegni bis, 660 milioni per salvare i bilanci dei Comuni

Decreto Sostegni bis, 660 milioni per salvare i bilanci dei Comuni

Fonte: ItaliaOggi

Più fondi e più tempo per ripianare i disavanzi extra creati nei conti comunali dalla sentenza della Consulta (n.80/2021) sul Fondo anticipazioni di liquidità. La dote di 500 milioni, prevista dal testo originario del decreto legge Sostegni bis (dl 73/2021), sale a 660 milioni. E si riconosce agli enti la possibilità di ripianare dal 2021 l’eventuale maggiore disavanzo, registrato al 31 dicembre 2019 e derivante dalla pronuncia della Corte, in quote costanti entro il termine massimo di 10 anni al netto delle anticipazioni rimborsate nel 2020. Questo il punto di caduta su un tema caldo che da fine aprile agita il mondo delle autonomie, impattando sui bilanci di almeno 900 comuni, di cui 456 a rischio concreto di default. La soluzione, che dovrebbe essere messa al voto oggi in commissione bilancio della Camera e potrebbe essere ulteriormente modificata con ritocchi dell’ultim’ora, è frutto della riformulazione da parte del governo degli emendamenti ANCI al decreto legge Sostegni bis. Emendamenti in cui l’Associazione dei Comuni, oltre a chiedere più risorse (1 miliardo in totale per il 2021) rispetto a quelle che l’esecutivo sembrerebbe voler riconoscere agli enti, puntava anche a modificare il limite attualmente previsto che circoscrive la possibilità di fruire dei fondi ai soli municipi con maggiori disavanzi superiori al 10% di incidenza sulle entrate correnti.

L’ANCI aveva giudicato «del tutto arbitrario» tale paletto e aveva chiesto che venisse rimosso. Per il momento nel testo dell’emendamento che dovrebbe andare al voto in commissione non c’è traccia di questo dietrofront anche se non è escluso che su questo tema le richieste dei sindaci possano essere accolte. L’emendamento detta anche le istruzioni su come contabilizzare il rimborso annuale delle anticipazioni di liquidità a decorrere dall’esercizio 2021. Gli enti, spiega la norma, iscriveranno nel bilancio di previsione il rimborso annuale delle anticipazioni di liquidità «nel titolo 4 della missione 20 – programma 03 della spesa, riguardante il rimborso dei prestiti». A decorrere dal medesimo anno 2021, in sede di rendiconto, gli Enti locali ridurranno, «per un importo pari alla quota annuale rimborsata con risorse di parte corrente, il fondo anticipazione di liquidità accantonato». La quota del risultato di amministrazione liberata seguito della riduzione del fondo anticipazione di liquidità sarà iscritta in entrata del bilancio dell’esercizio successivo come «Utilizzo del fondo anticipazione di liquidità», in deroga ai limiti previsti dall’articolo 1, commi 897 e 898, dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2018 n. 145. Nella nota integrativa allegata al bilancio di previsione nella relazione sulla gestione allegata al rendiconto dovrà essere data evidenza della copertura delle spese riguardanti le rate di ammortamento delle anticipazioni di liquidità, che, precisa la disposizione, «non possono essere finanziate dall’utilizzo del fondo anticipazioni di liquidità». «In accordo con tutti i capigruppo della commissione bilancio, siamo al lavoro per inserire nel decreto Sostegni bis una norma in grado di valutare con maggior ponderazione gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale che interviene su un’area di comuni e, più marginalmente, di province e Città metropolitane, caratterizzati da maggior fragilità e rigidità degli equilibri di bilancio, sui quali deve essere definita una nuova politica di sostegno al risanamento finanziario, attraverso una più ampia riforma della disciplina delle crisi finanziarie», ha spiegato Roberto Pella, capogruppo di Forza Italia in quinta commissione e primo firmatario dell’emendamento. «Con questa proposta, anche in considerazione degli effetti dell’emergenza epidemiologica tuttora in corso, si permette il recupero dei disavanzi di amministrazione degli enti locali mediante l’allungamento dei rispettivi periodi di ammortamento. Grazie a questa norma per la quale è doveroso ringraziare anche il viceministro all’economia Laura Castelli, i Comuni potranno scongiurare il default e continuare ad assicurare ai cittadini l’erogazione di servizi che non avrebbero più potuto garantire se non si fosse intervenuti concedendo loro più tempo per risanare i debiti pregressi». L’intesa è frutto della riformulazione da parte del governo degli emendamenti Anci al decreto legge Sostegni bis. Resta ancora aperto il nodo del tetto che circoscrive la possibilità di fruire delle risorse ai soli municipi con maggiori disavanzi superiori al 10% di incidenza sulle entrate correnti. Un tetto che l’ANCI aveva subito definito «del tutto arbitrario». Pella (FI): i comuni potranno continuare a garantire i servizi ai cittadini




Recovery Plan, il malessere dei Comuni e dell’ANCI

“In materia di Recovery Plan abbiamo una governance molto politica che coinvolge Ministeri competenti a seconda dei temi da trattare e più tutta la struttura che verrà incardinata dentro al Mef dal punto di vista finanziario. In questa governance il ruolo dei Comuni non c’è, non ci siamo nella cabina di regia”. Ad affermarlo è Veronica Nicotra, segretario generale ANCI, intervenendo al terzo Tavolo tecnico organizzato dal Centro studi Enti locali e dal dipartimento Economia e management dell’Università degli Studi di Pisa nell’ambito del progetto “Next Generation Eu-EuroPa Comune”.

“Ci sono stati – ha ricordato la rappresentante ANCI – i primi due decreti attuativi delle riforme prescritte dal Recovery (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), eppure siamo particolarmente preoccupati per l’assenza e mancanza di chiarezza rispetto alla finalizzazione delle misure. Abbiamo un totale di circa 87 mld che dovrebbero essere destinati a Regioni, Comuni, Province e Città metropolitane”.
“Il Paese – ha concluso Veronica Nicotra – deve spendere una mole di risorse enorme rispetto al tempo assegnato: parliamo di 200 mld da spendere in un quinquennio ed è un’illusione. Sicuramente i Comuni sono i maggiori investitori pubblici del nostro Paese, ma vogliono sapere cosa devono fare, con quante risorse e quali sono le regole amministrative”.

 

Recovery Plan: i sindaci chiedono l’assegnazione diretta delle risorse ai Comuni

“Noi sindaci delle grandi Città, a nome dei sindaci di tutti i Comuni italiani riuniti oggi nel Coordinamento ANCI dei Sindaci metropolitani, ribadiamo la necessità di veder riconosciute direttamente ai Comuni e alle Città le risorse del PNRR“. Esordisce così l’appello rivolto dai sindaci delle Città metropolitane al premier Mario Draghi: è necessario, sostengono i firmatari, instaurare un canale politico diretto con la Presidenza del consiglio e un tavolo permanente politico per concretizzare il coinvolgimento dei sindaci, superando la cabina di regia prevista dal Decreto Semplificazioni, vero artefice dell’esclusione degli Enti locali.

La partecipazione diretta dei Comuni – L’insoddisfazione degli amministratori è dovuta all’insufficienza del “ruolo riservato dal Dl Governance e Semplificazioni a Comuni e Città metropolitane. Chiediamo di partecipare direttamente e senza intermediazione alla gestione di alcune missioni di progetti, perché in questi anni abbiamo dato ampia dimostrazione di saper gestire gli investimenti con efficacia ed efficienza. Chiediamo che i finanziamenti siano diretti e non necessariamente intermediati dalle Regioni, applicando modelli di gestione già sperimentati dal Governo in occasione del Patto delle Città Metropolitane e del Pon Metro.” I sindaci domandano inoltre che i riparti siano condotti mediante “assegnazione automatica per classe demografica, stanziamenti a sportello su programmi nazionali e il finanziamento di progetti cosiddetti bandiera.”

I pericoli della sovrapposizione istituzionale – L’appello prosegue sottolineando la necessità che ogni livello di governo si assuma la responsabilità delle misure e delle risorse assegnate, garantendo tempi ed efficienza per gli interventi; sarà altrimenti impossibile investire le risorse assegnate alle condizioni che pone la Commissione UE: “Vogliamo fare il nostro lavoro e il nostro dovere per spendere bene e rapidamente le risorse; non accettiamo di aspettare anni di burocrazia e procedure per sapere chi fa che cosa. I cittadini hanno l’esigenza di vedere cantierizzati al più presto i progetti, quale risposta concreta generata sui territori dalle risorse assegnate dal PNRR. L’Europa ci chiede di realizzare e rendicontare i progetti entro il 2026: senza reali semplificazioni e risorse dirette sarà molto complicato rispondere ad una sfida epocale come quella del PNRR. La sovrapposizione tra diversi livelli istituzionali rischia di allungare i tempi e confondere le responsabilità.”




Quote rosa: il problema del rispetto della parità di genere nei piccoli Comuni

Fonte: Gazzetta degli Enti Locali

Le “quote rosa” non hanno vita facile nel sistema degli Enti locali, soprattutto nei piccoli Comuni. Tra i Comuni al di sotto dei 5mila abitanti delle Regioni a statuto ordinario che sono stati chiamati alle urne nell’ultima tornata elettorale, infatti, solo uno su due ha raggiunto l’obiettivo “quote rosa”. In ben 176 casi su 351 i candidati uomini hanno sforato il tetto dei 2/3 e in 63 Comuni hanno rappresentato percentuali superiori all’80% del totale. Caso limite Samo, in Calabria, dove si è raggiunta quota 100%. Tutto ciò affiora emerge da una elaborazione effettuata dal Centro Studi Enti Locali per l’Adnkronos, basata su dati del Ministero dell’Interno.

Il tema della parità di genere nei Piccoli Comuni
Il tema della rappresentazione femminile nelle liste elettorali dei Piccoli Comuni è stato recentemente portato all’attenzione del Consiglio di Stato che si è pronunciato, mediante l’ordinanza n.  4294/2021, sollevando la questione di costituzionalità per la legge che regola le elezioni nei Comuni fino a 5mila abitanti per mancato rispetto del principio della parità di genere. I candidati di sesso femminile hanno superato quelli appartenenti al genere maschile soltanto in 14 Comuni.
I due generi sono stati equamente rappresentati in 12 Comuni (2 Piemonte, 2 Basilicata, 2 Lombardia, 1 Marche, 1 Molise e 4 Piemonte), ma le buone notizie si fermano qui.
In tutti gli altri casi, ovvero nel 93% del totale degli enti al di sotto dei 5mila abitanti coinvolti nelle amministrative del settembre 2020 (solo Regioni a statuto ordinario), i candidati di sesso maschile hanno ampiamente superato quelli di sesso femminile. Globalmente le donne (2.602 su 8.162) hanno rappresentato il 31,8% del totale, leggermente al di sotto quindi del terzo dei candidati complessivi.

La normativa vigente in tema di parità di genere
Ma cosa prevedono le norme vigenti? Esistono 3 discipline differenti da applicare ad altrettanti scaglioni demografici, con regole sempre meno stringenti man mano che decresce la popolazione. Nel caso dei Comuni con più di 15mila abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in ciascuna lista in misura superiore a due terzi dei candidati ammessi. Ove questo non accada, la Commissione elettorale circondariale può ridurre le liste cancellando, partendo dall’ultimo, i nomi dei candidati appartenenti al genere sovra rappresentato. Nel caso in cui, dopo questa riduzione, il numero di candidati ammessi sia inferiore a quello minimo previsto, scatta la ricusazione della lista. Per gli Enti con popolazione compresa tra 5mila e 15mila abitanti, in caso di violazione delle disposizioni a tutela della parità tra sessi, la lista viene ridotta cancellando i nomi dei candidati appartenenti al genere rappresentato in misura eccedente i due terzi dei candidati. Per i Comuni con popolazione inferiore ai 5mila abitanti – che in Italia rappresentano circa il 70% del totale – la spinta verso la parità di genere è decisamente più leggera. Come evidenziato dai giudici di Palazzo Spada, l’unica previsione di riequilibrio di genere è contenuta nell’art. 2 della legge 215/2012 che dispone che “nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi”.
Non è quindi prevista, a oggi, come si può leggere sul Giornale dell’ANCITEL, alcuna misura sanzionatoria a carico delle liste che non assicurino almeno un terzo di donne tra candidati. Se la Consulta dovesse avallare la posizione del Consiglio di Stato, promuovendo l’estensione ai Comuni più piccoli delle previsioni valide per gli enti dai 5mila abitanti in su, i consigli comunali italiani potrebbero cambiare volto in misura significativa.




Decreto Sostegni bis: le norme di interesse per i Comuni

La nota esplicativa dell’ANCI relativa alle norme d’interesse dei Comuni contenute nel Decreto Sostegni bis, (decreto legge 25 maggio 2021, n. 73, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 123 del 25 maggio),  recante “Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali”. Il provvedimento verrà trasmesso alla Camera dei deputati in prima lettura per la conversione in legge.

 

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ISTAT: la digitalizzazione della PA procede, ma i Comuni sono in forte ritardo (e più sono piccoli, peggio è)

L’ISTAT conferma quanto ormai sappiamo da tempo. Dalla sua periodica rilevazione sull’utilizzo dell’ICT nelle PA locali è emersa un’alta percentuale di personale in servizio con accesso a internet e una ampia presenza di strumenti tecnologici. Tra i Comuni, tuttavia, non c’è grande disponibilità di strumenti tecnologici moderni. Solo il 60% infatti possiede una rete Intranet per il coordinamento comunicativo e informativo.

La diffusione delle competenze nelle PA
Nell’area organizzativa e strategica, sono davvero pochi i Comuni che investono nello sviluppo di competenze interne e nella formazione del personale in materia di tecnologie ICT: nel 2018 solo il 7,3% del personale ha partecipato ad attività formative in materia. Molto più diffuso il ricorso a società esterne. Sussiste però un buon livello nella gestione delle principali funzioni amministrative, nonostante ancora il 40% dei Comuni utilizzi ancora procedure analogiche. Si registra un generale miglioramento della disponibilità di strumenti online: oltre nove Comuni su dieci permettono di acquisire on line modulistica e quasi tutti (98,3%) forniscono online informazioni. Purtroppo, specie nei Comuni più piccoli, la diffusione dei servizi interamente online è ancora limitata. Le regioni nelle quali è più diffusa l’offerta dei servizi online sono Umbria, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto; tra quelle meno performanti, figurano la Valle d’Aosta, il Molise, la Provincia Autonoma di Bolzano e la Calabria.

I servizi online offerti
La maggior parte dei servizi online adibiti dalle PA sono destinati alle imprese, sia tra i Comuni grandi che in quelli fino a 5mila abitanti. Ad ogni modo, l’offerta interattiva dei Comuni più piccoli si concentra su livelli di informatizzazione molto bassi. Nel 2018 è stato misurato per la prima volta un indicatore di risultato in termini di pratiche evase online sul totale: per i quattro servizi alle imprese analizzati, la gran parte dei Comuni che hanno dichiarato un’offerta online più matura e hanno indicato anche quote elevate di moduli ricevuti o di pratiche evase interamente online, con un’incidenza compresa tra il 71% e il 100% del totale dei moduli ricevuti e delle pratiche evase. Per quanto riguarda le modalità di accesso ai servizi, il 20,5% dei Comuni dichiara che, nel 2018, l’utenza può accedere ai servizi online attraverso l’identità digitale (Spid); per i Comuni più grandi (oltre i 60mila abitanti), tale quota sale al 58,2%, mentre è pari ad appena il 15,8% per quelli fino a 5mila abitanti. Il Censimento permanente delle istituzioni pubbliche è una rilevazione diretta, rivolta a tutte le istituzioni pubbliche e alle unità locali ad esse afferenti. Nella seconda edizione del Censimento, svolta nel 2018 sono state rilevate 12.848 istituzioni pubbliche, articolate sul territorio in 63.414 unità locali. Le informazioni raccolte permettono di cogliere il livello di digitalizzazione sotto questi profili, allargando il quadro all’insieme delle amministrazioni e delle istituzioni della PA. Tra i canali disponibili per acquisire informazioni, lo sportello fisico resta quello più utilizzato dalle unità locali di tutte le tipologie istituzionali. Fanno eccezione le Città metropolitane e l’Università pubblica, per le quali il canale più utilizzato è il sito istituzionale. Le unità locali delle Università pubbliche si confermano più digitalizzate delle altre tipologie istituzionali, consentendo di svolgere tutte le operazioni previste attraverso canali online.




Chiarimenti sull’aspettativa per il dipendente che svolge attività professionali o imprenditoriali

Il dipendente pubblico che intenda avviare un’attività professionale e imprenditoriale può godere del collocamento in aspettativa, senza assegni né decorrenza dell’anzianità, per un periodo massimo di dodici mesi. È comunque esclusa da tale ipotesi la stipula di contratti di lavoro subordinato con datori di lavoro privati. Lo ha chiarito il Dipartimento della Funzione pubblica con il parere del 24 marzo 2021, n. 19365.

Il quesito rivolto al Dipartimento concerne la possibilità per il dipendente di una Provincia di svolgere contemporaneamente un’attività di lavoro subordinato presso un privato sfruttando l’aspettativa ex articolo 18 della legge n. 183/2010. Secondo il Dipartimento questa disposizione, come modificata dall’articolo 4, comma 2, della legge n. 56/2019, consente ai dipendenti pubblici di essere collocati in aspettativa, privi di assegni e senza decorrenza dell’anzianità, qualora gli stessi siano intenzionati ad avviare attività economiche o imprenditoriali.

Per tale periodo non si applicano le disposizioni in tema di incompatibilità dettate dall’articolo 53 del d.lgs n. 165/2001, norma che impedisce ai dipendenti pubblici l’esercizio del commercio, dell’industria, dell’attività professionale o l’assunzione di impieghi alle dipendenze di privati. Dunque, considerando che l’aspettativa di cui trattasi agisce in deroga alla disciplina generale sopraccitata, la stessa dev’essere concessa previo esame della documentazione presentata dall’interessato. Ad ogni modo, conclude il Dipartimento, poiché il legislatore del 2019 fa cenno alle sole attività professionali e imprenditoriali, si ritiene comunque preclusa ai dipendenti pubblici la stipula di contratti di lavoro subordinato con datori di lavoro privati, per quanto attiene al regime dell’aspettativa in esame.

 IL PARERE DEL DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA DEL 24 MARZO 2021, N. 19365.




Fondo per l’esercizio delle funzioni degli Enti locali: il riparto

Il report della Conferenza Stato-Città, della seduta straordinaria del 25 marzo 2021, con l’importante approvazione dello schema di decreto del Ministro dell’Interno, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, recante i criteri e le modalità di riparto dell’incremento di 220 milioni di euro del fondo per l’esercizio delle funzioni degli Enti locali, di cui all’art. 106, comma 1, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34.

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Digitalizzazione PA: in arrivo nuove risorse per gli Enti locali

Procede a pieno regime il percorso di riforme e iniziative che condurrà le Amministrazioni pubbliche, finalmente, al traguardo ormai irrimandabile della transizione digitale. Sono davvero pochi i giorni che ci separano dallo switch-off integrale a favore delle identità digitali e dall’esclusiva fruibilità online dei servizi delle PA. Inoltre, è ormai prossimo all’attivazione il Fondo per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione

L’agenda della transizione digitale

Il decreto legge n. 76/2020 (cd. Decreto Semplificazioni) ha fissato due scadenze strategiche: la prima, quella fatidica, è il 28 febbraio 2021, giorno a partire dal quale viene disposto l’utilizzo esclusivo delle identità digitali, della carta d’identità elettronica e della Carta Nazionale dei Servizi, quali strumenti di identificazione dei cittadini che accedano ai servizi online. Contestualmente, sarà anche vietato alle amministrazioni di rilasciare o rinnovare credenziali diverse da queste per le interazioni digitali con gli Enti locali. Sempre il 28 febbraio, inoltre, diventerà obbligatorio rendere fruibili i servizi in rete tramite l’app IO, per smartphone e tablet, e sarà anche il giorno da cui decorrerà l’obbligo per i prestatori di servizi di pagamento abilitati, come ad esempio le banche e le poste, di utilizzare esclusivamente la piattaforma PagoPA per i pagamenti verso le pubbliche amministrazioni.
Entro il 31 dicembre 2021  gli Enti locali dovranno spostare almeno il 70% dei servizi di incasso su PagoPA, dal pagamento della TARI a quello della refezione scolastica. In altre parole, saranno tenuti ad attivare almeno 10 servizi digitali sull’app IO, come le operazioni di anagrafe o quelle degli sportelli edilizia, e infine completare il passaggio allo SPID come strumento unico per l’accesso alle funzioni online dei Comuni.

Risorse strutturali per la transizione digitale

Proprio per garantire le risorse strutturali necessarie a ultimare il processo di trasformazione, sono in dirittura di arrivo le risorse del Fondo per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione; misura questa specificatamente creata per supportare le PA locali nell’implementazione delle buone pratiche inerenti alla transizione digitale: previsti 50 milioni l’anno. A tale scopo il Governo ha reso permanente la misura in aiuto ai Comuni: ciascuna Amministrazione potrà partecipare all’assegnazione, seguendo i dettami dell’avviso pubblico annuale, degli stanziamenti che tengono conto della densità abitativa di ciascun Ente.




Assunzioni pubbliche: restrizioni per gli enti “non virtuosi”

La Sezione controllo per la Sicilia della Corte dei conti ha rilasciato la deliberazione 9 novembre 2020, n. 131, in cui definisce i limiti di libertà di assunzione per gli enti che registrano eccessive spese per il personale.

A questi non è del tutto impedito stipulare contratti a tempo indeterminato, ma devono agire in modo tale da rispettare i parametri di sostenibilità stabiliti ad hoc. Di seguito si riporta la massima ricavata dal testo della deliberazione.

“Gli enti caratterizzati da elevata incidenza della spesa di personale sulle entrate correnti secondo le disposizioni di cui all’art. 33, comma 2, del d.l. n. 34 del 2019 (Decreto Crescita), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58 e del relativo decreto attuativo del 17 marzo 2020 (c.d. “non virtuosi”) non sono, per ciò solo, privati di ogni facoltà di effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato, ma l’entità dei relativi spazi assunzionali deve essere determinata in misura tale da risultare compatibile con il percorso di graduale riduzione annuale del rapporto di sostenibilità finanziaria che gli stessi sono chiamati a compiere”.

 

 IL TESTO DELLA DELIBERAZIONE DELLA CORTE DEI CONTI (SEZ. SICILIA) 9 NOVEMBRE 2020, n. 131.