La tabella delle maggiorazioni orarie per il lavoro straordinario

Rispondendo alle numerose richieste pervenuteci, abbiamo predisposto la tabella in oggetto rendendola il più possibile intuitiva nella lettura. 

Innanzitutto va precisato che nella nostra elaborazione abbiamo preso in considerazione il personale con orario mensile sulle 36 ore settimanali. Come indicato nelle note sottostanti la tabella, per l’orario su 35 ore il calcolo è abbastanza semplice, in quanto cambia solo il dato della Colonna 2 – Numero Ore Mese, che è di 151,66 invece di 156.

Il procedimento di calcolo, in entrambi i casi, è piuttosto intuitivo. Nella Colonna 1 figura il tabellare mensile (come da Tabella F CCNL 19/21) più il rateo della 13° mensilità, secondo le disposizioni del nuovo CCNL agli artt. 74, co 2 lett. b) e 75, co.2, comprensivo dell’elemento perequativo.

Il valore risultante per ciascuna categoria viene poi diviso per 156 (oppure 151,66 nel caso delle 35 ore) per ottenere l’importo della base oraria (Colonna 3).

Le successive colonne (evidenziate in giallo) tengono conto delle maggiorazioni orarie: 15% per il feriale, 30% per il festivo o notturno. 50% per il festivo notturno.

CSA RAL – TABELLA MAGGIORAZIONE STRAORDINARIO_36 ORE




Verso la proroga al 30 giugno dello smart working per lavoratori agili e caregiver

Mentre nella Legge di Bilancio la data ultima della disposizione era stata spostata dal 31 dicembre 2022 al 31 marzo, giunge notizia degli emendamenti presentati al decreto Milleproroghe, per i quali la proroga dello smart working per lavoratori fragili, caregiver e genitori con figli sotto i 14 anni dovrebbe proseguire sino al 30 giugno.

Da ricordare che, in proposito, il CSA è intervenuto varie volte nel corso del 2022, come da ultimo con la lettera inviata alle autorità competenti in dicembre alle autorità competenti, visualizzabile di seguito.

 

Lettera CSA – lavoratori fragili/caregiver




Le progressioni verticali Madia e Brunetta sono alternative tra loro

Tra la riforma delle progressioni verticali operata col d.l. 80/2021 e la disciplina delle progressioni verticali contenuta nell’articolo 22, comma 15, del d.lgs. 75/2017  non esiste relazione alcuna, anche se il ricorso alla disciplina della riforma Madia condiziona il ricorso alla disciplina della riforma “Brunetta”.

I testi delle norme:

art. 22, comma 15, d.lgs 75/2017

art. 52, comma 1-bis, d.lgs 165/2001 (come novellato dal d.l. 80/2021)

Per il triennio 2020-2022, le pubbliche amministrazioni, al fine di valorizzare le professionalità interne, possono attivare, nei limiti delle vigenti facoltà assunzionali, procedure selettive per la progressione tra le aree riservate al personale di ruolo, fermo restando il possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno. Il numero di posti per tali procedure selettive riservate non può superare il 30 per cento di quelli previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni consentite per la relativa area o categoria. In ogni caso, l’attivazione di dette procedure selettive riservate determina, in relazione al numero di posti individuati, la corrispondente riduzione della percentuale di riserva di posti destinata al personale interno, utilizzabile da ogni amministrazione ai fini delle progressioni tra le aree di cui all’articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Tali procedure selettive prevedono prove volte ad accertare la capacità dei candidati di utilizzare e applicare nozioni teoriche per la soluzione di problemi specifici e casi concreti. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni, l’attività svolta e i risultati conseguiti, nonchè l’eventuale superamento di precedenti procedure selettive, costituiscono titoli rilevanti ai fini dell’attribuzione dei posti riservati per l’accesso all’area superiore. I dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, conservatori e istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. La contrattazione collettiva individua, una ulteriore area per l’inquadramento del personale di elevata qualificazione. Le progressioni all’interno della stessa area avvengono secondo principi di selettività, in funzione delle capacità culturali e professionali, della qualità dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito. Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni fra le aree avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni di servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli professionali e di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area, nonchè sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti. All’attuazione del presente comma si provvede nei limiti delle risorse destinate ad assunzioni di personale a tempo indeterminato disponibili a legislazione vigente.

Occorre evidenziare, in particolare, i punti di immediata differenziazione:

Istituto

art. 22, comma 15, d.lgs 75/2017

art. 52, comma 1-bis, d.lgs 165/2001

Termine di applicazione Ultimo anno del triennio 2020-2022 Non c’è termine: norma a regime
Sistema di selezione Concorso interamente riservato Procedura comparativa
Criteri di selezione
  1. valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni,
  2. attività svolta e risultati conseguiti,
  3. eventuale superamento di precedenti procedure selettive
  1. valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni di servizio,
  2. assenza di provvedimenti disciplinari,
  3. possesso di titoli professionali e di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area,
  4. numero e tipologia degli incarichi rivestiti
Quantità di posti riservati Non oltre il 30 per cento di quelli previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni consentite per la relativa area o categoria Non oltre il 50 per cento delle posizioni disponibili destinate all’accesso dall’esterno

Come si nota, le diversità tra le due norme sono molto significative. Principale tra le quali è la durata limitata della norma del 2017, i cui effetti spireranno l’anno prossimo. Molto diversi sono anche gli elementi da considerare ai fini della valutazione e lo stesso sistema selettivo.

Ma, il punto di maggior interesse consiste nella fissazione della quantità di dipendenti che possono aspirare alla progressione verticale.
La norma contenuta nel d.lgs. 75/2017 si è da sempre caratterizzata per la sua specialità ed autonomia rispetto alla disciplina del d.lgs. 165/2001, col preciso scopo di rilanciare le progressioni verticali, rimaste congelate per anni, schiacciate, da un lato, dalla privazione di effetti economici alle progressioni disposto dall’articolo 9, commi 2 e 21, del d.l. 78/2010, dall’altro dai vincoli assunzionali, che hanno fatto propendere le amministrazioni per reclutare dall’esterno. Infine, dalla circostanza che l’originario testo dell’articolo 52, comma 1-bis, imponendo di gestire le progressioni verticali mediante concorso pubblico con riserva di posti non superiore al 50% ha reso molto difficile ricorrere a detto istituto, specie per gli Enti locali, nei quali il più delle volte è inconsueto mettere a concorso almeno 2 posti del medesimo profilo e categoria.

La riforma Madia ha superato quei vincoli, consentendo progressioni verticali mediante concorsi interamente riservati e non pubblici con riserva e prevedendo una percentuale dei posti pari al 30% di quelli previsti nella programmazione, consentite per la relativa area o categoria.

Ora, la riforma Brunetta del 2021, superando le previsioni della riforma Brunetta del 2009, regola le progressioni verticali in modo nuovo e diverso, oggettivamente tale da rendere sostanzialmente privo di senso insistere nell’utilizzazione del sistema delle progressioni disciplinato dalla riforma Madia.
Infatti, al di là delle differenze tra le due norme, viste prima, vi è un sostanziale e decisivo punto in comune: la progressione può avvenire non per concorso pubblico con riserva di posti, bensì con un reclutamento interamente riservato, qualificato come “procedura comparativa” nella riforma del 2021. La quale, rispetto alla norma del 2017, presenta un indubbio ulteriore incentivo: consente di estendere la progressione verticale al 50% del numero delle posizioni che sarebbe possibile ricoprire con accesso dall’esterno (rectius, mediante concorso).
A ben vedere, non pare vi sia una ragione precisa, oggi, per utilizzare la disposizione dell’articolo 22, comma 15, del d.lgs. 75/2017, invece che l’articolo 52, comma 1-bis, novellato, del d.lgs. 165/2001.
La novella del 2021, tuttavia, non ha disposto l’abolizione espressa della norma del 2017 (opzione che sarebbe stata possibile ed anche auspicabile, per evitare superfetazioni normative di medesimi istituti).
Tuttavia, da detta novella del 2021 non pare derivi un’abolizione tacita, per una ragione connessa all’unico punto della disciplina del 2017 che in effetti costituisce un contatto tra le due disposizioni: la parte nella quale si stabilisce che “l’attivazione di dette procedure selettive riservate determina, in relazione al numero di posti individuati, la corrispondente riduzione della percentuale di riserva di posti destinata al personale interno, utilizzabile da ogni amministrazione ai fini delle progressioni tra le aree di cui all’articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001”.
Questa previsione chiarisce che laddove un ente utilizzi l’autonoma procedura della riforma Madia, “consuma” parte del complesso dei posti che sarebbe possibile ricoprire con progressione verticale.
Per essere più chiari, si ponga che il comune A possa effettuare nell’anno 2021 12 assunzioni. Con la disposizione del d.l. 80/2021, può decidere di coprire con progressione verticale 6 di questi posti. Con la disposizione del d.lgs. 75/2017, può destinare a progressioni verticali, però, 4 posti. Dunque, se il comune A attivi 4 progressioni verticali utilizzando la norma Madia, può realizzare altre 2 progressioni verticali secondo la disciplina dell’articolo 51, comma 1-bis, del d.lgs. 165/2001.
Ovviamente, questo esempio vale solo sul piano strettamente aritmetico: coglierebbe perfettamente nel segno se le 12 assunzioni fossero destinate tutte quante ad una medesima categoria di classificazione.
Non si deve dimenticare, infatti, che secondo la consolidata lettura data dalla magistratura contabile dell’articolo 22, comma 15, del d.lgs. 165/2001, quel 30% di progressioni verticali non si può computare sul complesso delle assunzioni, ma solo su ciascuna categoria.

Quindi, tornando al nostro esempio, si immagini che le 12 assunzioni siano distribuite così:

Categoria N. assunzioni previste 30% N. progressioni possibili
B3 4 1,2 1
C 4 1,2 1
D 4 1,2 1

In questo caso, quindi, il Comune può attivare, con la riforma Madia, non 4, ma 3 progressioni verticali; ne resterebbero, allora, altre 3 per le progressioni verticali “Brunetta”.
Ipotizziamo questo altro scenario:

Categoria N. assunzioni previste 30% N. progressioni possibili
B3 5 1,5 1
C 5 1,5 1
D 2 0,6 0

In questo caso, le regole sull’arrotondamento aritmetico riducono le progressioni “Madia” a solo 2.
Quale potrebbe essere, allora, la “convenienza” a continuare ad avvalersi fino al 2012 della disciplina del d.lgs 75/2017? La circostanza che la selezione per la progressione verticale ivi prevista sia meno rigorosa, e quindi meno esclusiva, di quella stabilita dalla novella del 2021. Questa, infatti, introduce come criterio selettivo fondamentale il “possesso di titoli professionali e di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area”, nonché la quantità e la qualità degli “incarichi” rivestiti.
La norma “Madia” è più blanda e, per questo, consente una partecipazione più ampia e chance di superamento anche a chi non disponga di titoli superiori a quelli di accesso, né vanti particolari incarichi precedenti.

Oggettivamente, la norma “Brunetta” si fa preferire, perché la maggiore rigorosità selettiva è prevista a fronte dell’eliminazione del concorso pubblico con riserva di posti.
Sta di fatto che poiché le due norme sono tra esse autonome ed indipendenti, a parte la circostanza che la norma “Madia” finisca per “consumare” parte delle progressioni verticali “ordinarie”, quelle disciplinate dall’articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs. 165/2001, laddove un comune decida di applicare la previsione del d.lgs. 75/2017, non potrà estendere alla procedura ivi prevista quella della novella del 2021.

 




Vaccinazioni Coronavirus: nessun permesso speciale per assenza dovuta alla somministrazione

Nessuna norma riconosce permessi specifici in relazione alla vaccinazione per il Coronavirus. Solo per il personale del comparto scuola e università è prevista un’apposita giustificazione dell’assenza; al contrario, i lavoratori in servizio presso gli altri comparti, qualora si assentino dal lavoro per la somministrazione, hanno a disposizione i permessi personali o gli altri istituti previsti dalla contrattazione. Inoltre, le assenze dovute ai postumi del vaccino sono considerate giornate di malattia ordinaria. È questo il chiarimento offerto dal Dipartimento della Funzione pubblica mediante il parere dell’8 giugno 2021, n. 38420.




Parere in materia di fruizione dei congedi parentali ad ore

La valutazione circa la possibilità di concedere permessi al dipendente che presenti istanza, qualora lo stesso fruisca anche del riposto giornaliero, è facoltà attinente all’autonomia organizzativa dell’ufficio. A tal fine, il conteggio delle ore spettanti per il congedo deve essere effettuato su base giornaliera, secondo quanto definito dalle disposizioni della contrattazione che individua il limite di dieci mesi, undici qualora il padre ne fruisca per un periodo continuativo o frazionato di tre mesi. Ciò è quanto precisato dal Dipartimento della Funzione pubblica mediante il parere del 28 maggio 2021, n. 0036610.

Il quesito rivolto al Dipartimento attiene alla corretta applicazione delle clausole normative e contrattuali riguardanti il congedo parentale ad ore. Rispetto il primo quesito, esordisce il parere, “nel richiamare il disposto dello stesso articolo 32, comma 1-ter del d.lgs n. 151/2001, deve condividersi il parere espresso dall’ARAN attraverso l’orientamento del 15 giugno 2018″: la finalità della clausola di divieto di cumulo è evitare che l’assenza del dipendente si protragga per l’intera giornata o per buona parte di essa.

Il Dipartimento afferma quindi il valore dell’autonomia organizzativa della PA, posto il rispetto delle condizioni legali; in caso contrario, il legislatore avrebbe inserito nella norma istruzioni circa il coordinamento del cumulo con altri istituti. Per quanto attiene al conteggio delle ore spettanti, il Dipartimento si affida nuovamente all’interpretazione fornita dai tecnici dell’ARAN, questa volta nel parere del 18 agosto 2015: ” La scelta operata dalle parti contrattuali, quindi, fa propria l’individuazione dell’intervallo di fruizione oraria nella forma di metà dell’orario medio giornaliero, il cui impatto, rispetto al montante di giornate di congedo spettanti, consuma una frazione pari allo 0,5“.

 

 IL PARERE DEL DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA DEL 28 MAGGIO 2021, n. 0036610




Riflessioni sulla “nuova” mobilità

Fonte – Italia Oggi

La nuova mobilità senza nulla osta richiede 3 anni di permanenza presso l’ente dal quale il dipendente pubblico intende trasferirsi. L’articolo 3, comma 7, del d.l. 80/2021, nel sopprimere (con l’eccezione dei comparti sanità ed istruzione, pari a circa la metà del complesso dei dipendenti pubblici) il «previo assenso» alla mobilità (noto anche come nulla osta), prevede tre possibili (e non molto chiaramente definite) eccezioni. Tra esse, la circostanza che si tratti di «personale assunto da meno di tre anni». Detta previsione pone almeno due ordini di problemi: il coordinamento con le disposizioni circa l’obbligo di permanenza in servizio a seguito della prima assunzione e se per personale «assunto» possa intendersi quello che sia provenuto per mobilità. Obblighi di permanenza L’articolo 35, comma 5-bis, del d.lgs. 165/2001 dispone che «i vincitori dei concorsi devono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni.  La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi».

Per gli Enti locali, la norma è replicata dall’articolo 3, comma 5-septies del d.l. 90/2014, convertito in legge 114/2014: «i vincitori dei concorsi banditi dalle regioni e dagli enti locali, anche se sprovvisti di articolazione territoriale, sono tenuti a permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni. La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi». E’ evidente che la previsione del d.l. 80/2021, che ritiene da applicare il nulla osta al personale assunto da meno di tre anni non sia perfettamente coordinata con le norme viste prima, ai sensi delle quali vi è un obbligo di permanenza nella sede di cinque anni. Si potrebbe sostenere che le norme non siano in contrasto tra loro. Infatti quelle sull’obbligo di permanenza sono riferite espressamente ai «vincitori dei concorsi»; sicchè si potrebbe concludere che i vincitori dei concorsi proprio non possono chiedere la mobilità prima dei cinque anni. Tutti gli altri dipendenti, invece, dovrebbero dimostrare di aver lavorato per almeno tre anni presso l’ente dal quale intendono trasferirsi. Tuttavia, pare possibile leggere la previsione del d.l. 80/2021 in termini più ampi e, cioè, come norma oggettivamente incompatibile con quelle precedenti e, come tale, essendo intervenuta su una medesima materia, capace di abrogare implicitamente tali norme precedenti.

Esigenze di di sistematicità e coerenza interpretativa lasciano preferire la seconda tesi e propendere, quindi, per l’abrogazione tacita del vincolo di permanenza nella prima sede successiva ai concorsi per cinque anni e per l’introduzione di un termine minimo di tre anni generalizzato, ai fini della mobilità. Cosa si intende per personale assunto Come si è visto, la normativa precedente riferisce l’obbligo di permanenza per cinque anni ai «vincitori di concorsi». Si è, quindi, sempre inteso che laddove un dipendente fosse stato assunto da un ente a seguito di mobilità in entrata, non fosse tenuto al vincolo di permanenza quinquennale. Il d.l. 80/2021, tuttavia, rimette il triennio minimo di lavoro presso un ente come requisito soggettivo perché non sia richiesto il nulla osta alla pura e semplice «assunzione»: locuzione che sintetizza la sottoscrizione tra un datore ed un lavoratore di un contratto di lavoro subordinato. Da questo punto di vista ogni attivazione di un rapporto di lavoro, qualunque sia lo strumento di reclutamento, concorso, corso-concorso, stabilizzazione o la stessa mobilità in entrata, è un’assunzione. Né deve trarre in inganno la circostanza che la mobilità tra enti soggetti a limitazioni al turnover sia neutrale sul piano finanziario e quindi non sia considerata «assunzione» sul piano giuscontabile: si tratta di una finzione giuridica, che non cancella il fenomeno dell’assunzione. Dunque, i tre anni minimi necessari a scongiurare il nulla osta valgono per tutti i dipendenti «assunti», a prescindere dal modo col quale siano stati assunti. Il triennio di permanenza minima è coerente con la durata triennale della programmazione dei fabbisogni lavorativi e fornisce alle amministrazioni un orizzonte minimo di durata della prestazione lavorativa e della programmazione operativa dei propri dipendenti.




La Cassazione conferma il licenziamento del lavoratore lavativo

La sentenza 11635/21, pubblicata il 4 maggio dalla sezione lavoro della Cassazione, ha reso definitivo il benservito dato al dipendente Asl di Foggia, assunto come operatore tecnico Ced in una procedura per stabilizzare i precari. I Supremi Giudici hanno stabilito infatti che, laddove venga violato il regolamento disciplinare e il lavoratore presenti scarso rendimento e assenteismo è giustificata la massima sanzione espulsiva. Infatti nel caso di specie l’informatico, proprio perché spesso non presente in ufficio o assente negli orari di lavoro è stato ritenuto poco affidabile ed incapace di adempiere in modo adeguato gli obblighi di servizio.

Perciò, se i singoli episodi in precedenza non sono stati ritenuti importanti tanto da ledere in modo irreparabile il rapporto di fiducia con il datore, il “protrarsi della prestazione insufficientemente produttiva” risulta essere fondamentale per minare quel rapporto. Quindi, non giova eccepire l’illegittimità del licenziamento per rappresaglia, dal momento che risultano chiari e dimostrati i gravi e numerosi inadempimenti contestati al lavoratore, inadempimenti che legittimano il recesso del datore per violazione del regolamento disciplinare, dal momento che lo stesso, data la gravità degli inadempimenti, non ha potuto più confidare nella correttezza della prestazione lavorativa.

 

I




Illegittimo il ricorso alle ferie dell’anno corrente per fronteggiare la emergenza Covid

Pubblichiamo una importante sentenza del Tribunale di Milano – Sezione Lavoro che ha accolto il ricorso presentato da una lavoratrice del Comune di Pieve Emanuele contro la condotta mantenuta dal Comune stesso di collocarla in ferie, utilizzando n.6 giorni maturati nell’anno 2020, non potendo essa svolgere la propria prestazione in modalità agile durante il periodo emergenziale, invece di riconoscerle l’esenzione dal servizio con regolare retribuzione, come stabilito dall’art. 87, co. 3, d.l. n. 18/2020.

SENTENZA TRIBUNALE MILANO




Analisi del fondo per le posizioni organizzative

A. Bianco (La Gazzetta degli Enti Locali 19/2/2021)

Le amministrazioni locali e regionali possono dare corso ad un incremento del fondo per le posizioni organizzative solamente nelle ipotesi che sono previste dalla normativa. Il contratto collettivo nazionale di lavoro del 21 maggio 2018, che ha riscritto le regole da applicare, consente tale aumento esclusivamente attraverso la contrattazione decentrata, con lo spostamento di somme del fondo per le risorse decentrate, non prevedendo quindi – a differenza di quanto previsto per il personale e per la dirigenza – delle possibilità di incremento autonomo. Questi incrementi ovviamente devono essere contenuti nel tetto complessivo del salario accessorio, di cui all’articolo 23 del d.lgs. n. 75/2017, cioè quanto previsto nell’anno 2016. Le disposizioni di legge e le letture che ne sono state fornite dall’ARAN e dalla RGS consentono di operare questi incrementi, anche senza la preventiva contrattazione e non effettuando alcun taglio del fondo per il personale. Le amministrazioni decidono sulla utilizzazione dei risparmi che si sono determinati nella utilizzazione delle risorse destinate al finanziamento del salario accessorio delle posizioni organizzative.

La costituzione

La costituzione del fondo per le posizioni organizzative deve essere effettuata dalle amministrazioni, come per la individuazione di tutte le risorse destinate al salario accessorio. Le regole sono definite nel contratto nazionale in modo molto netto ed univoco: le risorse che l’ente ha destinato al finanziamento delle indennità di posizione e di risultato nell’anno 2017. Negli enti con la dirigenza, ciò determina una corrispondente riduzione della parte stabile del fondo per le risorse decentrate.
L’importo delle risorse destinate al finanziamento delle posizioni organizzative può essere una tantum ridotto dalle amministrazioni, previo confronto con le organizzazioni sindacali, ma a condizione che i risparmi vengano destinati al finanziamento del fondo per la contrattazione decentrata. Nel parere ARAN CFL 38 leggiamo testualmente: “non sembrano sussistere impedimenti contrattuali a che un ente riduca per un periodo definito, ad esempio per un anno, lo stanziamento delle risorse destinate nel 2017 al finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato delle posizioni organizzative previste dall’ordinamento dell’ente, ampliando in tal modo le possibilità di incrementare, per quell’anno, le risorse del Fondo del personale (previo confronto sindacale, ai sensi dell’art. 5, comma 2, lett. g), del CCNL del 21 maggio 2018 e utilizzando gli strumenti dell’art. 67 del medesimo CCNL del 21 maggio 2018). L’anno, successivo, invece, l’ente potrà ripristinare lo stanziamento delle risorse destinate nel 2017 al finanziamento delle posizioni organizzative, senza necessità di ricorso alla contrattazione integrativa, come previsto dall’art.7, comma 3, lett. u), del CCNL del 21 maggio 2018”.

La destinazione dei risparmi

Spetta alle amministrazioni decidere la utilizzazione dei risparmi che si sono determinati. Il parere ARAN CFL 123 ci dice che “non sembrano sussistere impedimenti a che la percentuale minima del 15% prevista dal CCNL possa essere implementata, con riferimento ad un anno, con le risorse già finalizzate al finanziamento della retribuzione di posizione in quel medesimo anno le quali, a consuntivo, risultino non essere state effettivamente utilizzate. Pertanto, in sede di contrattazione integrativa, potrebbero essere stabiliti anche i criteri per incrementare, in presenza di tali ulteriori risorse, il valore già determinato in via ordinaria per la retribuzione dei risultato dei titolari di posizione organizzativa (fermo restando, comunque, la necessità di garantire, in via prioritaria, le risorse necessarie per gli eventuali incrementi della retribuzione di risultato dei titolari di posizione organizzativa, cui sia stato affidato l’incarico ad interim di altra posizione organizzativa). In tal modo le risorse non utilizzate sarebbero impiegate nello stesso anno in cui si è determinato il risparmio, senza neppure problemi di trasporto nell’anno successivo. Ove tale percorso non sia ritenuto conforme agli interessi dell’ente, questo potrebbe anche decidere di non ricorrervi, considerando le risorse comunque non utilizzate in sede di erogazione della retribuzione di risultato di un determinato anno come mere economie di spesa”.
Si deve aggiungere che, a parere di chi scrive, si devono inoltre applicare anche a queste risorse le indicazioni dell’ARAN sui risparmi nella utilizzazione del fondo della dirigenza che derivano nella retribuzione di risultato a seguito di valutazioni non positive o non interamente positive. Tali risorse vanno in economia al bilancio dell’ente.

L’incremento

Il fondo per le posizioni organizzative può essere incrementato nelle 3 ipotesi previste dalla normativa e dalla contrattazione collettiva, ma può essere anche aumentato se diminuiscono gli altri fondi per il salario accessorio a condizione che si rimanga nel tetto dell’anno 2016.
La prima ipotesi di aumento del fondo per la retribuzione di posizione e di risultato delle posizioni organizzative è disciplinata dall’articolo 11 bis, comma 2, del d.l. n. 135/2018 e riguarda esclusivamente i comuni senza dirigenza. Ci viene detto che il tetto al salario accessorio delle posizioni organizzative può essere superato “limitatamente al differenziale tra gli importi delle retribuzioni di posizione e di risultato già attribuiti alla data di entrata in vigore del CCNL e l’eventuale maggiore valore delle medesime retribuzioni successivamente stabilito dagli enti ai sensi dell’articolo 15, commi 2 e 3, del medesimo CCNL, attribuito a valere sui risparmi conseguenti all’utilizzo parziale delle risorse che possono essere destinate alle assunzioni di personale a tempo indeterminato che sono contestualmente ridotte del corrispondente valore finanziario”. Queste risorse si devono considerare in deroga al tetto del fondo per il salario accessorio di cui all’articolo 23 del d.lgs. n. 75/2017, cioè il tetto delle somme destinate a questo titolo nell’anno 2016. La norma si deve considerare pienamente in vigore anche alla luce delle modifiche alle capacità assunzionali introdotta dall’articolo 33 del d.l. n. 34/2019. Siamo quindi in presenza di una disposizione che è diretta solamente ai comuni senza dirigenti; essa consente l’aumento delle risorse per il salario accessorio delle posizioni organizzative esistenti e non l’incremento del loro numero.
La seconda ipotesi è prevista dall’articolo 33 del d.l. n. 34/2019 e si realizza nel caso in cui vi sia un aumento del personale in servizio rispetto al 31.12.2018. In questo caso, occorre mantenere inalterata la incidenza media pro capite del trattamento economico accessorio del personale e delle posizioni organizzative. Di conseguenza, si procede all’aumento di tali due fondi in modo da mantenere invariato il salario medio pro capite in godimento nell’anno 2018. Spetta agli enti decidere in quale parte questo incremento deve essere destinato al fondo per il personale dipendente e per quale quota invece viene destinato al fondo per il salario accessorio delle posizioni organizzative. Si deve evidenziare che, non essendo previsto un incremento diretto di tali fondi, ma esclusivamente la possibilità di superare il tetto, la realizzazione concreta di questo aumento si deve realizzare attraverso gli istituti previsti dal contratto nazionale. In primo luogo si deve immaginare, per il personale, il ricorso all’articolo 67, comma 5, lettera a) del CCNL 21 maggio 2018, cioè “l’incremento delle dotazioni organiche, al fine di sostenere gli oneri dei maggiori trattamenti economici del personale”. Inoltre, si può fare riferimento anche alla lettera b) della prima citata disposizione, cioè il “conseguimento degli obiettivi dell’ente”. Inoltre, la RIA dei dipendenti cessati, che va inserita nel fondo, può a questo punto essere inserita nell’ambito dell’aumento che va in deroga al tetto del salario accessorio. Quindi, una previsione che consente questo incremento, ma solamente nel caso di aumento del numero dei dipendenti in servizio, peraltro solamente a tempo indeterminato per la lettura data dalla RGS.
La terza ipotesi è prevista dall’articolo 8, comma 2, lettera u) dello stesso CCNL 21 maggio 2028, in base al quale la contrattazione collettiva decentrata integrativa può disporre l’aumento del fondo per la retribuzione di posizione e di risultato delle posizioni organizzative, con risorse tratte dal fondo per le risorse decentrate del personale.
Si deve inoltre evidenziare che, come ricordato dall’ARAN, il taglio del fondo dei dirigenti e/o di quello del personale può liberare risorse da destinare all’incremento del fondo per le posizioni organizzative, quindi senza un passaggio diretto, ma creando le condizioni attraverso cui si possa realizzare questa osmosi attraverso una deliberazione dell’ente. Il parere dell’ARAN fa riferimento alle indicazioni dettate dalla circolare della Ragioneria Generale dello Stato n. 16/2020, che contiene le istruzioni per la compilazione del conto annuale del personale. In tale circolare viene evidenziato che il tetto al trattamento economico accessorio è complessivo e non le singole voci. Leggiamo inoltre testualmente che la introduzione del tetto complessivo al salario accessorio “consente di incrementare fino alla concorrenza del limite generale della retribuzione accessoria dell’intera amministrazione le risorse di una categoria di personale in presenza di una corrispondente diminuzione di quelle disposte per una diversa categoria. Ciò può avvenire per espressa previsione del CCNL, come è il caso del trasferimento dal fondo per il trattamento accessorio del personale non dirigente delle Funzioni locali alle disponibilità destinate a bilancio in favore delle posizioni organizzative. Ciò può altresì avvenire quando, in applicazione di ordinarie facoltà disposte dal CCNL, si disponga la riduzione delle risorse aggiuntive che la parte datoriale aveva in precedenza appostato ai fondi per la contrattazione integrativa, anche di parte fissa, di una categoria di personale. Tale rimodulazione verso il basso consente, ancora in applicazione di ordinarie facoltà disposte dal CCNL, di incrementare fino alla concorrenza del limite generale, le risorse di una diversa categoria di personale”. Di conseguenza, siamo in presenza di una lettura che sembra superare la inesistenza di una norma contrattuale che consente di incrementare il tetto del fondo per le posizioni organizzative.




Funzioni locali: per i dirigenti 190 euro di aumento

Il Consiglio dei ministri del 2 dicembre, n. 82, ha deliberato l’autorizzazione per il ministro per la Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone, ad esprimere il parere favorevole del Governo sull’ipotesi di contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale dell’Area Funzioni Locali per il triennio 2016-2018, sottoscritta lo scorso 16 luglio dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e dalle confederazioni e organizzazioni sindacali di categoria. L’ipotesi di contratto ora dovrà essere certificata dalla Corte dei conti prima della stipula definitiva che si presume avverrà nel corso dell’anno. Si ricorda che il contratto riguarda anche i segretari comunali e provinciali, oltre che i dirigenti degli Enti locali.

L’incremento per i dirigenti

È contemplato, per quel che concerne il rinnovo dei contratti dei dirigenti, un incremento fino al 3,48%. Ciò equivale a un ammontare complessivo mensile di quasi 190 euro, ripartito tra la rivalutazione della parte fissa compresa nella retribuzione e le somme erogate in sede locale e finalizzate alla remunerazione dovuta alle condizioni di lavoro, ai risultati raggiunti e agli incarichi dirigenziali. Circa la rivalutazione tabellare a regime, si parla di 125 euro al mese, a cui vanno ad aggiungersi gli incrementi di parte accessoria, connessi con gli istituti retributivi relativi all’erogazione dei servizi.

 




Emergenza Covid: nota ANCI sull’utilizzo dell’esenzione dal servizio

Nella nota ANCI: Riflessi sul personale della sospensione di attività e rideterminazione delle attività indifferibili in applicazione del DPCM 3 novembre 2020, è di particolare interesse l’esame della possibiità di utilizzare lo strumento dell’esenzione dal servizio prevista dall’art.87, comma 3, del DL 18/2020.

 

Nota-ANCI-attivita-indifferibili




Nasce l’Osservatorio sullo smart working

E’ stato firmato il decreto che istituisce l’Osservatorio nazionale del lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche, come previsto dal Decreto Rilancio (d.l. 34/2020).

L’Osservatorio sarà composto da 27 rappresentanti di Governo, Regioni, Enti locali, INPS, ISTAT e altre istituzioni, tra cui un membro per conto dell’Enea, in modo da poter approfondire con attenzione anche gli aspetti connessi alle tecnologie, all’energia e allo sviluppo sostenibile. Ad essi si aggiungeranno 14 esperti del settore pubblico e privato o provenienti dal mondo universitario, che andranno a costituire una Commissione tecnica di supporto.

L’Organismo nasce per fornire spunti e proposte di carattere normativo, organizzativo o tecnologico per migliorare sempre più lo smart working nelle pubbliche amministrazioni, anche interagendo con i principali stakeholder, per sviluppare le competenze del personale pubblico, le capacità manageriali dei dirigenti, la misurazione e valutazione delle performance organizzative e individuali. Verificherà, inoltre, che i POLA (Piani Organizzativi del Lavoro Agile) messi a punto dagli enti raggiungano gli obiettivi quantitativi e qualitativi fissati, monitorerà gli effetti dello smart working sull’organizzazione e i benefici per i servizi ai cittadini, ma ne promuoverà anche la diffusione sul piano comunicativo e culturale.

DM_Osservatorio_sw




PEO: orientamenti applicativi ARAN

Sul sito ARAN sono state pubblicate le risposte ad alcuni quesiti sul CCNL Funzioni Locali, tutte vertenti sull’istituto della Progressione Economica all’interno della categoria. In neretto le nostre note di sintesi

 

La contrattazione integrativa prevista dall’art 7, comma 4, lett. c), del CCNL del comparto delle Funzioni locali del 21.05.2018 in materia di progressione economica orizzontale può stabilire, ai fini dell’applicazione dell’istituto, un arco temporale di cui tener conto nella valutazione del personale diverso da quello triennale previsto dall’art. 16, comma 3, del CCNL?

l’art.16, comma 3, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, espressamente dispone che “Le progressioni economiche sono attribuite in relazione alle risultanze della valutazione della performance individuale del triennio che precede l’anno in cui è adottata la decisione di attivazione dell’istituto, tenendo conto eventualmente a tal fine anche dell’esperienza maturata negli ambiti professionali di riferimento, nonché delle competenze acquisite e certificate a seguito di processi formativi.”

L’inequivoco tenore letterale della clausola contrattuale, ai fini della sua applicazione, richiede espressamene le valutazioni del triennio antecedente l’anno della sottoscrizione del contratto integrativo che prevede l’attivazione dell’istituto e non consente soluzioni diverse volte ad introdurre,  nella procedura per l’attribuzione della progressione economica orizzontale, elementi derogatori quali il calcolo della media delle valutazioni conseguite in un periodo inferiore al triennio considerato dalla norma contrattuale nazionale.

Si ritiene utile precisare che il triennio indicato nella richiamata norma non rappresenta un requisito di partecipazione ma l’inderogabile arco temporale di riferimento relativo agli esiti della valutazione della performance individuale da considerare ai fini dell’attribuzione della progressione economica orizzontale.

Si ritiene opportuno infine rammentare che, ai sensi dell’art. 40, comma 3-quinquies, 5° periodo, del dlgs. 165/2001 e smi.” Nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite ai sensi degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile”.

 NOTA di sintesi: Non è ammessa alcuna deroga all’arco temporale di 3 anni per la valutazione del personale ai fini della PEO, con espresso riferimento alla contrattazione integrativa.

 

Come deve essere interpretato l’art. 16, comma 2, del CCNL del comparto delle Funzioni locali del 21.05.2018 nella parte in cui recita “ad una quota limitata di dipendenti”?

Con riferimento alla questione in esame, si deve anzitutto chiarire che l’art.16, comma 2, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, con la locuzione “ad una quota limitata di dipendenti”, non ha in alcun modo inteso “contrattualizzare” tale particolare aspetto della disciplina delle progressioni economiche orizzontali.

Infatti, si tratta solo di un richiamo alla vigenza ed efficacia delle previsioni dell’art. 23, comma 2, del D.Lgs.n.150/2009 che rappresentano la cornice legale di riferimento entro la quale si muove la regolamentazione contrattuale, che non ha capacità derogativa o integrativa della stessa, al fine di garantire la premialità e la selettività dell’istituto della progressione economica orizzontale.

Tale disciplina legislativa dispone che: “Le progressioni economiche sono attribuite in modo selettivo, ad una quota limitata di dipendenti, in relazione allo sviluppo delle competenze professionali ed ai risultati individuali e collettivi rilevati dal sistema di valutazione”.

Tanto premesso, si ritiene necessario rammentare che, in base al disposto dell’art. 46, comma 1, dlgs 165/2001 e smi, l’attività di assistenza alle Amministrazioni dell’Agenzia è limitata, per quanto qui ne occupa, alla formulazione di orientamenti per la uniforme applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro di cui essa è parte stipulante e non può quindi estendersi all’interpretazione di disposizioni legislative.

Pertanto, sulla effettiva portata di tale normativa e, quindi, anche sui contenuti dell’obbligo imposto dal legislatore (che espressamente non fissa alcun preciso vincolo quantitativo) si rinvia alle indicazioni fornite dal Dipartimento della Funzione Pubblica e dal Ministero dell’Economia e Finanze, istituzionalmente competenti per l’interpretazione delle norme di legge concernerti il rapporto di lavoro pubblico.

 Nota di sintesi: l’ARAN sostanzialmente non risponde al quesito in quanto ad essa non compete l’interpretazione di un testo di legge

 

L’art. 16, comma 3, del CCNL del comparto delle Funzioni locali 21.05.2018, ai fini dell’attribuzione delle progressioni economiche orizzontali, richiede che negli anni del triennio considerato vi sia stata anche l’erogazione dei relativi premi di performance individuale?

La disciplina dell’art. 16, comma 3, del CCNL 21.05.2018, ha inteso assumere quale presupposto per l’attribuzione delle progressioni economiche orizzontali le “risultanze della valutazione della performance individuale del triennio precedente l’anno in cui è adottata la decisione di attivazione dell’istituto”, senza che a tal fine rilevi la circostanza che, negli anni in riferimento, vi sia stata o meno l’erogazione in concreto dei relativi premi di performance individuale.

La ratio della disposizione, infatti, è quella di evitare che l’ente, come avveniva in passato, attivi due distinte procedure di valutazione relativa l’una alla performance individuale e l’altra alle progressioni economiche orizzontali, rette da criteri diversi.

Nota di sintesi: la mancata erogazione dei premi di performance individuale non ha alcuna incedenza sulla valutazione delle performance per l’attribuzione delle PEO

 

Con quale criterio è possibile determinare, ai sensi dell’art. 16, comma 7, del CCNL del comparto delle Funzioni locali 21.05.2018, la data di decorrenza dell’attribuzione delle progressioni economiche orizzontali laddove il contratto integrativo non abbia stabilito esplicitamente nulla al riguardo?

Come espressamente stabilito dall’art.16, comma 7, del CCNL del comparto delle Funzioni Locali del 21.5.2018, l’attribuzione della progressione economica orizzontale non può avere decorrenza anteriore al 1° gennaio dell’anno nel quale viene sottoscritto il contratto integrativo che prevede l’attivazione dell’istituto, con la previsione delle necessarie risorse finanziarie.

La decorrenza del beneficio dovrebbe essere prevista dal contratto integrativo che prevede le nuove progressioni economiche orizzontali, ma nell’eventuale silenzio di esso si ritiene che per poter ricostruire la volontà delle parti contraenti di tale contratto si possa aver riguardo al finanziamento che è stato concordato per l’istituto delle progressioni economiche orizzontali.

Laddove, infatti, tale finanziamento sia stato previsto anche per l’intero anno in cui è stato definitivamente sottoscritto il contratto integrativo, si può ritenere che la volontà delle parti contraenti sia stata, in applicazione dell’art. 16, comma 7, del CCNL del comparto delle Funzioni Locali del 21.5.2018, nel senso di far decorrere il beneficio dall’inizio di tale anno.

Si raccomanda tuttavia di evitare una simile situazione limite prevedendo sempre esplicitamente una data di decorrenza dell’attribuzione delle progressioni economiche orizzontali nel contratto integrativo.

Nota di sintesi: a livello di contrattazione integrativa, si raccomanda di indicare sempre la data di attribuzione delle PEO, fermo restando che l’attribuzione delle PEO non può essere antecedente al 1° ganniod ell’anno in cui viene sottoscritto il Contratto

 

Nel caso di un contratto integrativo definitivamente sottoscritto alla fine dell’anno 2018 quale decorrenza è possibile dare all’attribuzione delle progressioni economiche orizzontali nel 2018?

Come espressamente stabilito dall’art.16, comma 7, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, l’attribuzione della progressione economica orizzontale non può avere decorrenza anteriore al 1° gennaio dell’anno nel quale viene sottoscritto il contratto integrativo che prevede l’attivazione dell’istituto, con la previsione delle necessarie risorse finanziarie.

Di conseguenza, se il contratto integrativo che prevede le nuove progressioni economiche orizzontali è stato sottoscritto definitivamente comunque nel 2018, le stesse possono avere decorrenza dal 1° gennaio del 2018, ma possono avere decorrenza anche da una diversa data del 2018, successiva al 1° gennaio, che le parti abbiano ritenuto opportuno a tal fine prevedere.

Per completezza, informativa, si ricorda che le posizioni economiche “nuove” D7, C6, B8 e A6, previste dalla Tabella C allegata al CCNL del 21.5.2018, non possono avere comunque decorrenza anteriore all’1.4.2018, dato che esse sono state istituite dalla contrattazione collettiva nazionale solo da tale data.

Nota di sintesi: in coerenza con quanto indicato nel quesito precedente, l’ARAN sottolinea che le parti possono concordare anche una data successiva al 1° gennaio, precisando che per alcune categorie – riguardo i contratti integrativi sottoscritti nel 2018 – la decorrenza non può essere anteriore al 1° aprile dell’anno stesso.

 

In base all’art. 16, comma 10, del CCNL del comparto delle Funzioni locali del 21.05.2018 sono fatte salve le procedure di attribuzione delle progressioni economiche orizzontali ancora in corso alla data di sottoscrizione definitiva dello stesso CCNL. In tale ipotesi quale decorrenza dovrà avere il riconoscimento del beneficio?

Con riferimento alla problematica in esame si ritiene opportuno evidenziare che l’art.16, comma 10, del CCNL del 21.5.2018 delle Funzioni Locali fa espressamente salve le procedure di attribuzione della progressione economica orizzontale ancora in corso all’atto della sottoscrizione definitiva del suddetto CCNL, sulla base, evidentemente, di decisioni già adottate in materia con contratti integrativi  antecedenti  al  21.5.2018, e, quindi, nel rispetto delle pregresse disposizioni contrattuali nazionali e delle prassi applicative già seguite, anche per ciò che attiene alla decorrenza del riconoscimento del beneficio.

A tale ultimo riguardo si deve tener presente che, a suo tempo, il Dipartimento della Funzione Pubblica con il parere n.7259 del 5.2.2014 ed il Ministero dell’Economia delle Finanze, hanno fornito alcune indicazioni in ordine a tale aspetto, con specifico riferimento anche al profilo dell’eventuale efficacia retroattiva dell’istituto delle progressioni economiche orizzontali nel regime previgente l’entrata in vigore dell’art. 16, comma 7, del CCNL 21.05.2018.

In particolare, secondo il suddetto dicastero nel previgente regime “…non risulta possibile retrodatare la decorrenza delle progressioni anteriormente al 1° gennaio dell’anno nel quale risulta approvata la graduatoria delle stesse”.

Nota di sintesi: anche nel caso di attribuzione di PEO ancora in corso, nell’anno in cui viene sottoscritto il CCNL (segnatamente il 2018), la decorrenza delle stesse non può essere retrodatata anteriormente al 1° gennaio.

 

La contrattazione integrativa prevista dall’art 7, comma 4, lett. c), del CCNL del comparto delle Funzioni locali in materia di progressione economica orizzontale può modificare il requisito di 24 mesi previsto dall’art. 16, comma 6, dello stesso CCNL?

L’art.16, comma 6, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, sostanzialmente ripetendo quanto già previsto dall’art.9 del CCNL dell’11.4.2008, dispone che “Ai fini della progressione economica orizzontale, il lavoratore deve essere in possesso del requisito di un periodo minimo di permanenza nella posizione economica in godimento pari a ventiquattro mesi”.

Al riguardo si deve precisare che il periodo minimo di almeno di 24 mesi di permanenza nella posizione economica in godimento costituisce un requisito di partecipazione alla procedura per l’attribuzione della progressione economica orizzontale che non può in nessun caso essere modificato, in aumento o in diminuzione, in sede di contrattazione integrativa, data la mancanza nella disciplina del CCNL di ogni delega in tal senso alla contrattazione di secondo livello alla quale è affidata dall’art 7, comma 4, lett. c) la regolazione de “i criteri per la definizione delle procedure per le progressioni economiche”.

Viceversa, si ritiene che possano essere stabiliti in sede di contrattazione integrativa sia la data alla quale i dipendenti devono possedere il requisito del periodo minimo di permanenza di 24 mesi nella posizione economica in godimento, sia eventuali ulteriori presupposti e condizioni legittimanti la partecipazione dei dipendenti alle procedure  selettive per l’attribuzione della progressione economica orizzontale quali, ad esempio, la presenza in servizio del personale ad una determinata data.

Si ritiene opportuno al riguardo rammentare che, ai sensi dell’art. 40, comma 3-quinquies, 5° periodo, del dlgs. 165/2001 e smi.” Nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite ai sensi degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile”.

 Nota di sintesi: il periodo minimo di  24 mesi di permanenza nella posizione economica in godimento non può in nessun caso essere modificato in sede di contrattazione integrativa, dove è possibile stabilire soltanto la data alla quale i dipendenti devono essere in possesso del requisito dei 24 mesi e i criteri per la partecipazione alle selezione dei dipendenti per l’attribuzione della PEO.

 

Un dipendente in congedo straordinario ex art.42, comma 5, del D.Lgs.n.151/2001 può partecipare alla selezione per l’attribuzione della progressione economica orizzontale?

In relazione alla questione posta, per quanto di competenza, si evidenzia che  la posizione di temporanea estraneità del dipendente all’ambiente di lavoro,  che possa derivare dalla fruizione del congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, del D.Lgs.n.151/2001 o di altro  istituti giuridico, non dovrebbe rappresentare,  di per sé,  motivo sufficiente per escluderlo dalla partecipazione a quei momenti di esame dell’operato dei singoli dipendenti che può portare all’acquisizione del beneficio della progressione economica orizzontale o alla fruizione dei compensi di produttività.

Tuttavia, a tal fine, anche per questo personale devono trovare applicazione le regole generali concernenti le progressioni economiche orizzontali contenute nell’art.16 del CCNL del 21.5.2018.

Relativamente alla sussistenza nella fattispecie concreta dei requisiti necessari per la partecipazione ad una procedura per l’attribuzione delle progressioni economiche, espressamente indicati nel richiamato art. 16 del CCNL del 21 maggio 2018, la questione costituisce materia gestionale.

A tale ultimo proposito, si ritiene utile rammentare che l’attività di assistenza alle Amministrazioni della scrivente Agenzia è limitata, in base al disposto dell’art. 46, comma 1, dlgs 165/2001 e smi, alla formulazione di orientamenti per la uniforme applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro di cui essa è parte stipulante e non può quindi estendersi all’interpretazione di disposizioni legislative o regolamentari, né può consistere in indicazioni operative per l’attività di gestione che, in quanto espressione del potere organizzativo e direttivo datoriale, costituisce esclusiva prerogativa dell’Ente.

Nota di sintesi: l’ARAN dichiara di non poter rispodnere al quesito in quanto non può fornire indicazioni operative per l’attività di gestione degli Enti.




Assenze per Coronavirus nella Pubblica Amministrazione: in tilt le certificazioni

Fonte: Sole 24 Ore

L’intensificarsi dell’emergenza epidemiologica sta mettendo in crisi anche il sistema amministrativo del servizio sanitario che non riesce a trasmettere tempestivamente i provvedimenti cartacei necessari ad attestare la malattia oppure la quarantena collegata al Covid. Diverse amministrazioni segnalano che le comunicazioni dell’autorità sanitaria vengono effettuate per telefono all’interessato, il quale a sua volta deve informare il proprio datore di lavoro. Di fatto, si ripropone quanto già sperimentato nel corso del primo lockdown.

Questa situazione pone in seria difficoltà il datore di lavoro, dal momento che molti istituti a tutela dei dipendenti coinvolti dall’emergenza epidemiologica possono essere attivati solo a fronte di un provvedimento dell’autorità sanitaria competente. Tra questi rientra in primo luogo l’assenza per malattia o quarantena Covid prevista dall’articolo 87, comma 1, del Dl 18/2020. Sia lo stato di malattia sia la quarantena devono essere certificati dall’autorità sanitaria, altrimenti l’istituto non può essere attivato. Se la comunicazione avviene per telefono, soprattutto per la quarantena e la permanenza domiciliare fiduciaria, il datore di lavoro si trova in un’impasse. Da un lato il dipendente non può andare al lavoro, e dall’altro è privo di una certificazione. Qualora non risulti possibile attivare il lavoro agile, non resta che mettere in ferie il dipendente in attesa dell’eventuale certificazione.

Il principio di correttezza e buona fede alla base del rapporto di lavoro dovrebbe consentire di modificare il giustificativo di assenza, anche ex post, nel momento in cui l’autorità sanitaria dovesse produrre la certificazione. Anche per la malattia Covid è necessario uno specifico certificato per consentire di equiparare l’assenza al ricovero ospedaliero e impedire che questa venga conteggiata nel periodo di comporto. Ancora più complicato il contagio da Covid che abbia un nesso eziologico con la prestazione lavorativa, e che di conseguenza possa avere le caratteristiche dell’infortunio sul lavoro. In questo caso è necessario inviare tempestivamente la denuncia di infortunio (entro due giorni). Considerata la rilevanza della sanzione per il tardivo invio all’Inail della denuncia, risulta in ogni caso opportuno trasmetterla, anche nell’attesa del provvedimento dell’autorità sanitaria, fornendo le opportune spiegazioni nelle note.

Le stesse problematiche emergono anche per il recente congedo retribuito al 50% collegato alla quarantena del figlio convivente di età inferiore ai 14 anni per la frequenza scolastica oltre che per le attività sportive, musicali e linguistiche. La norma prevede espressamente che l’assenza debba essere disposta dal dipartimento di prevenzione dell’Azienda sanitaria locale territorialmente competente.
Infine, la certificazione dell’autorità sanitaria è necessaria per giustificare l’assenza per lo svolgimento di accertamenti sanitari del dipendente e dei figli minorenni in base alla possibilità introdotta dall’articolo 4, comma 3, del decreto ministeriale della Funzione pubblica firmato il 19 ottobre scorso dalla ministra della Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone.




Il nuovo decreto della Funzione Pubblica sullo smart working

Questi gli aspetti più importanti del nuovo decreto ministeriale firmato nella giornata di lunedì 19 ottobre dal Ministro della Funzione Pubblica, Fabiana Dadone:

  • qualora non sia già stato fatto, ogni dirigente dovrà organizzare il proprio ufficio assicurando lo svolgimento del lavoro agile ad almeno il 50% del personale;
  • adottare nei confronti dei dipendenti, specialmente per i lavoratori fragili, ogni soluzione utile ad assicurare lo svolgimento di attività in modalità agile, se necessario anche attraverso l’adibizione a diversa mansione (purché ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento);
  • è prevista la rotazione del personale in modo da assicurare un’equilibrata alternanza nello svolgimento dell’attività in modalità agile e di quella in presenza;
  • saranno individuate, per i lavoratori in rpesenza, fasce temporali di flessibilità in entrata e in uscita ulteriori rispetto a quelle stabilite;
  • rispetto delle prescrizioni sanitarie vigenti per le attività in presenza;
  • assicurare, tenuto conto dell’evolversi della situazione epidemiologica, le percentuali più elevate possibili di lavoro agile, compatibili con le potenzialità organizzative e con qualità e effettività del servizio erogato;
  • il lavoro agile si svolge ordinariamente in assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro, ma potranno essere stabilite delle fasce di contattabilità, garantendo comunque al lavoratore tempi di riposo e la disconnessione dagli strumenti tecnologici di lavoro;
  • viene stabilito anche che le pubbliche amministrazioni svolgono riunioni solamente in modalità a distanza, salvo la sussistenza di motivate ragioni.

Il testo del decreto del 19 ottobre