ARAN: risposte a quesiti inerenti il CCNL Funzioni Locali

Si riportano gli orientamenti dell’ARAN rispetto ad alcuni questiti relativi al CCN Funzioni Locali formulati recentamente

Come l’Agenzia ha tenuto più volte a sottolineare, in base al disposto dell’art. 46, comma 1, Dlgs 165/2001 e smi, l’attività di assistenza alle Amministrazioni da essa svolta è limitata alla formulazione di orientamenti per la uniforme applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro di cui essa è parte stipulante e non può quindi estendersi all’interpretazione di disposizioni legislative o regolamentari, né può consistere in indicazioni operative per l’attività di gestione che, in quanto espressione del potere organizzativo e direttivo datoriale, costituisce esclusiva prerogativa dell’Ente.

In conseguenza di ciò, l’ARAN non ha potuto esprimersi su questioni di particolare importanza quali l’applicazione della reperibilità per chi lavora in smart working e l’attribuzione delle ferie d’ufficio.

Per una più agevole lettura abbiamo suddiviso i quesiti in tre blocchi: quesiti di valenza assoluta; quesiti riguardanti la Polizia Locale e la Scuola; quesiti connessi all’epidemia Covid 19.

 

 QUESITI GENERALI

Nel caso di un dipendente che abbia presentato domanda di pensione di inabilità ex art. 12, comma 2, L 335/1995, a seguito della quale l’ente ha richiesto la visita medica collegiale che l’ha dichiarato permanentemente inidoneo in modo assoluto al servizio come dipendente di amministrazione pubblica ed a proficuo lavoro, spetta ex art. 36, c. 5 del CCNL del 21 maggio 2018, l’indennità sostitutiva del preavviso?
Le previsioni dell’art.36, comma 5, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018 e dell’art.8, comma 1, del DPR n.171/2011, debbono essere interpretate nel senso che, nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro, a seguito di dichiarazione dell’assoluta e permanente inidoneità a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, debba essere sempre corrisposta l’indennità sostitutiva del preavviso a prescindere da qualsiasi valutazione in ordine alla circostanza che il procedimento di richiesta di accertamento sanitario consegua o  meno alla richiesta del dipendente o a quella dell’ente.
Nella fattispecie in esame, infatti, la decisione del datore di lavoro pubblico è oggettivamente vincolata in quanto non potrebbe in alcun modo giustificarsi il mantenimento in servizio di un lavoratore nonostante una certificazione medica che vieti l’adibizione dello stesso a una qualunque attività lavorativa a causa della sua assoluta e permanente inidoneità psico-fisica.
Si ritiene, quindi, che l’indennità sostitutiva del preavviso sia sempre dovuta nel caso in cui la risoluzione trovi il suo fondamento nella dichiarazione di assoluta e permanente inabilità a qualsiasi proficuo lavoro, intervenuta prima della scadenza del periodo massimo di conservazione del posto per malattia.
Si tratta di una interpretazione che trova il suo fondamento nell’art. 2110, comma 2 del codice civile che, ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro, richiama l’art.2118 dello stesso codice civile in materia di preavviso.

E’ possibile erogare l’indennità di reperibilità di cui all’art. 24del CCNL 21.05.2018 al personale addetto ai servizi di pronto intervento, unitamente all’indennità per le condizioni di lavoro di cui all’art. 70 bis dello stesso CCNL, per il disagio connesso ai rientri in servizio di breve durata (30 minuti), talvolta ripetuti nella stessa notte, in luogo del corrispondente compenso per lavoro straordinario?
La disciplina contrattuale, attualmente prevista dall’art. 24 del CCNL del 21 maggio 2018, stabilisce che l’indennità di reperibilità non compete durante l’orario di servizio a qualsiasi titolo prestato.
Nei confronti del dipendente che, inserito in un servizio di reperibilità, sia chiamato a rendere effettivamente la prestazione lavorativa, trova applicazione esclusivamente la disciplina prevista dal comma 6, con esclusione di qualunque altra forma di compenso o trattamento accessorio.
In particolare, la richiamata norma prevede che in caso di chiamata le ore siano retribuite con il compenso previsto per lavoro straordinario (art. 38, comma 7 ed art. 38-bis, del CCNL del 14.9.2000) o con equivalente riposo orario compensativo.
Per completezza di ricostruzione, si rammenta che al dipendente, collocato in reperibilità nella giornata di riposo settimanale coincidente con la domenica e che, nell’ambito della stessa, sia chiamato a rendere la sua prestazione lavorativa, deve essere corrisposto per le ore di effettivo lavoro, il particolare compenso previsto dall’art. 24, comma 1, del CCNL del 14.9.2000, ai sensi del comma 7 del medesimo art. 24 del CCNL del 21.5.2018.
La richiamata disciplina, pertanto, ha già considerato e compensato, secondo le modalità ivi previste, il disagio connesso alle prestazioni effettivamente rese nell’ambito del servizio di reperibilità.
Ciò impedisce che il medesimo disagio possa essere remunerato con l’attribuzione di altro compenso quale l’indennità condizioni di lavoro di cui all’art. 70 bis del CCNL del 21.5.2018.
In materia di cumulo di trattamenti economici sussiste infatti il principio generale in base al quale è legittimamente possibile cumulare più compensi o indennità “accessorie”, purché questi siano correlati a condizioni e causali formalmente ed oggettivamente diverse, come previste e disciplinate dalla contrattazione collettiva, con conseguente illegittimità della corresponsione di più di un compenso per la medesima fattispecie.

L’indennità per specifiche responsabilità di cui all’art. 70-quinquies, comma 1, del CCNL del 21.5.2018 può essere corrisposta in caso di effettivo esercizio dei relativi compiti ed attività ancorché in assenza di un formale incarico?
L’indennità, prevista, nella disciplina previgente, dall’art. 17, comma 2, lett. f) del CCNL dell’1.4.1999 ed attualmente, dall’art. 70-quinquies, comma 1, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, si collega direttamente all’esercizio di compiti ed attività comportanti l’assunzione di specifiche responsabilità.
La disciplina contrattuale in esame demanda alle autonome determinazioni della contrattazione integrativa di ciascun ente la definizione dei criteri per l’individuazione degli incarichi di responsabilità cui è riconnettibile l’erogazione del compenso e per la quantificazione del relativo ammontare (in un importo non superiore ad € 3000), nel rispetto dei contenuti, requisiti e condizioni espressamente previsti dalla disciplina contrattuale collettiva nazionale.
La suddetta indennità può essere riconosciuta a ciascun lavoratore solo in presenza del formale ed espresso conferimento allo stesso di uno degli incarichi, comportanti l’assunzione di una qualche e diretta responsabilità di iniziativa e di risultato, precedentemente a tal fine individuati dal contratto integrativo dell’ente che intende riconoscerla.
Sulla base della richiamata disciplina, pertanto, l’indennità di cui si tratta può essere riconosciuta solo a seguito del formale conferimento dell’incarico al lavoratore, cui la medesima indennità sia connessa.

Esistono condizioni ulteriori ai casi di calamità naturali che consentano di corrispondere il pagamento del compenso per il lavoro straordinario ad un dipendente titolare dell’incarico di posizione organizzativa?
La fattispecie è regolata dalla normativa prevista dall’art. 40 del CCNL del 22.1.2004, la quale prevede che “1. Le risorse finanziarie formalmente assegnate agli enti, con i provvedimenti adottati per far fronte elle emergenze derivanti da calamità naturali, per remunerare prestazioni straordinarie del personale, possono essere utilizzate, per le medesime finalità, anche a favore del personale incaricato della responsabilità di una posizione organizzativa.”.
L’art. 18, c. 1, lett. e) del CCNL del 21 maggio 2018, in materia di trattamento economico spettante ai titolari di posizione organizzativa, richiama espressamente i compensi per lavoro straordinario connesso a calamità naturali ribadendo che gli stessi possono essere riconosciuti solo nell’ambito delle risorse finanziarie assegnate agli enti con i provvedimenti adottati per far fronte ad emergenze derivanti da calamità naturali.
In generale, tenuto conto anche delle modalità di finanziamento richieste dalla disciplina contrattuale, può affermarsi che le calamità naturali si identificano con quelle situazioni che hanno avuto espressamente tale formale riconoscimento dal Governo e/o dalle Regioni in base alla vigente legislazione in materia, con l’apprestamento delle necessarie risorse per fronteggiarle.
L’inequivoca formulazione della clausola contrattuale evidenzia la chiara volontà delle parti negoziali di limitare la deroga della corresponsione del lavoro straordinario a favore del titolare di posizione organizzativa alla sola ipotesi del lavoro straordinario connesso a calamità naturali.
Pertanto non è possibile configurare tale possibilità in qualsiasi altra fattispecie non espressamente e formalmente riconducibile a quelle considerate dalla disciplina contrattuale.

Quante ore di permesso ex art. 35, comma 1, CCNL 21.5.2018 delle Funzioni Locali debbono essere computate nel caso di prestazioni da effettuarsi in orario di poco successivo all’inizio dell’orario giornaliero di lavoro?
L’art.35, c. 1 del CCNL del 21 maggio 2018, attribuisce il diritto alla fruizione dei permessi per l’espletamento di visite specialistiche o esami diagnostici su base sia giornaliera che oraria, nella misura massima di 18 ore annuali, comprensive anche dei tempi di percorrenza da e per la sede di lavoro.
Tale previsione tiene conto del vincolo di strumentalità che può certamente intercorrere tra il tempo delle visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici e quello necessario per raggiungere il luogo di esecuzione delle stesse e/o per il ritorno alla sede di lavoro, dato che anche questo può ricadere all’interno dell’orario di lavoro.
Nel caso di prestazione da espletarsi poco dopo l’inizio dell’orario giornaliero di lavoro, tenuto conto dell’orario stabilito per la stessa e  dei tempi necessari per raggiungere la struttura ove effettuare la visita o l’accertamento diagnostico, valutata anche la ridotta utilità della prestazione che il lavoratore potrebbe rendere nell’intervallo tra l’arrivo nella sede di lavoro e la successiva uscita, secondo un criterio di logica e ragionevolezza, si ritiene che il dipendente possa raggiungere anche direttamente la sede della visita dalla propria residenza.
Tale soluzione risulta idonea a garantire un adeguato contemperamento tra l’interesse organizzativo dell’ente e quello del dipendente anche al fine di ottimizzare la gestione amministrativa dell’istituto.
Nel rispetto delle previsioni contrattuali, pertanto, ai fini del computo delle ore di permesso utilizzate dal dipendente nel caso in esame, si terrà conto di tutto il periodo di complessiva assenza dall’ufficio del lavoratore a tale titolo a partire dall’ora di inizio dell’orario di lavoro giornaliero.

Come deve essere quantificata l’indennità per specifiche responsabilità di cui all’art.70-quinquies, comma 1, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018 nei casi di assenza del dipendente?
Relativamente all’indennità di cui all’art.17, comma 2, lett. f) del CCNL dell’1.4.1999, come integrata dall’art. 36, comma 1, del CCNL del 22.1.2004 e dall’art. 7 del CCNL del 9.5.2006,la disciplina contrattuale demanda alla contrattazione decentrata integrativa la definizione dei criteri sia per la individuazione degli incarichi di responsabilità legittimanti l’erogazione dell’indennità, sia per la quantificazione dell’ammontare della stessa entro il limite massimo stabilito dal CCNL (€.3000 annui lordi).
In sede di contrattazione integrativa, pertanto, le parti procedono all’individuazione delle condizioni e delle modalità di erogazione del suddetto compenso anche sotto il profilo della eventuale decurtazione in caso di assenza dal servizio.
In relazione alla eventuale decurtazione di tale compenso, anche tenendo conto della natura e delle caratteristiche dello stesso, si deve evidenziare che per effetto delle assenze il lavoratore rende comunque una prestazione ridotta, diminuendo così anche la quantità delle attività che giustificano l’erogazione del compenso.
Invero, anche per questa voce indennitaria si ritiene debba farsi riferimento al principio secondo il quale è necessario sussista sempre uno stretto legame tra tempo di lavoro, attività lavorativa e quantificazione dell’emolumento ad essa connesso.

E’ possibile ricondurre alla disciplina dell’art. 27, comma 4, 2° alinea, del CCNL del 21.5.2018 i seguenti casi, concedendo ai dipendenti che la richiedano una ulteriore fascia di flessibilità: a) dipendente ritenuto non avente diritto ai permessi di cui alla legge 104/1992 in quanto l’invalidità del familiare non è stata dichiarata grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, della stessa legge; b) dipendente di cui si assuma che non assiste il familiare portatore di handicap ai sensi della legge 104/1992, in quanto il familiare usufruisce dei permessi per se stesso?
In relazione alle fattispecie in esame si deve evidenziare che con l’art. 27, comma 4, del CCNL del 21.5.2018, le parti contrattuali hanno inteso individuare solo in quelle ivi espressamente richiamate le particolari situazioni personali sociali o familiari che possono giustificare il riconoscimento di ulteriori forme di flessibilità rispetto a quelle previste per tutto il personale, secondo il regime orario adottato dall’ente.
Si tratta di un elenco da ritenersi tassativo, con conseguente impossibilità di estensione della portata della clausola contrattuale ad altre fattispecie.
Ogni altra valutazione
, in particolare, sulla presenza dei presupposti richiesti dalla Legge 104/1992 perché una condizione possa essere ricondotta ad una fattispecie di assistenza a familiari portatori di handicap in senso tecnico e, dunque, giustificare l’applicazione della richiamata normativa contrattuale attiene ad aspetti applicativi e gestionali della disciplina legislativa e pertanto indicazioni in materia, ove ritenute necessarie per orientare le scelte gestionali datoriali, potrà essere richiesta al Dipartimento della Funzione Pubblica, istituzionalmente competente in materia di interpretazione della legislazione sul lavoro pubblico.

Il riproporzionamento nel calcolo dell’indennità di servizio esterno di cui all’art. 56 quinquies del CCNL 21.5.2018 delle Funzioni Locali, ove le corrispondenti attività di servizio non siano effettuate per l’intera giornata, deve essere computato ad ore o può esserlo anche a minuti?
In relazione alla problematica in esame, per quanto di competenza,  l’Agenzia, nel confermare  i contenuti espressi nel proprio orientamento applicativo CFL 51, ritiene di dover evidenziare, ribadendo che l’indennità di servizio esterno è indubbiamente giornaliera, che qualora il tempo di effettivo svolgimento della prestazione lavorativa in servizio esterno risulti inferiore a quello ordinariamente coincidente con la durata della giornata lavorativa, deve essere effettuato un corrispondente riproporzionamento dell’indennità di cui all’art. 56 quinquies del CCNL del 21 maggio 2018.

E’ possibile dare corso alla contrattazione integrativa in caso di mancanza della RSU?
In relazione alla questione in esame, la scrivente Agenzia non può che evidenziare che in base all’art.7, comma 2 del CCNL del 21.5.2018 del Comparto Funzioni Locali, la RSU è uno dei soggetti negoziali necessari per la contrattazione integrativa pertanto, se presso non si è comunque proceduto alla costituzione della RSU, si dovrebbe procedere ad avviare la procedura per il rinnovo delle relative elezioni il più presto possibile.
L’ente, quindi, deve invitare le OO.SS. aventi titolo ad indire le elezioni precisando che sino alla costituzione della RSU non è possibile dare corso alla contrattazione integrativa.

In caso di valutazioni del personale tardivamente effettuate dai responsabili dei Servizi, è possibile formulare la graduatoria per l’attribuzione delle progressioni economiche orizzontali esclusivamente sulla base degli atti rinvenibili alla data della contrattazione integrativa in cui sono stati definiti i criteri per la definizione delle procedure per le progressioni?
Per quanto di competenza, non possono che richiamarsi la disposizione dell’art.16, comma 3, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018 secondo cui: “Le progressioni economiche sono attribuite in relazione alle risultanze della valutazione della performance individuale del triennio che precede l’anno in cui è adottata la decisione di attivazione dell’istituto, tenendo conto eventualmente a tal fine anche dell’esperienza maturata negli ambiti professionali di riferimento, nonché delle competenze acquisite e certificate a seguito di processi formativi.”.
Pertanto dall’inequivocabile tenore letterale della clausola contrattuale, prevista dall’art. 16, comma 3 del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018 non può che evincersi l’inderogabile necessità che le valutazioni da utilizzare siano quelle del triennio antecedente l’anno della sottoscrizione del contratto integrativo che prevede l’attivazione dell’istituto.

Ai sensi dell’art. 28 del CCNL del 21.5.2018 il datore di lavoro può attribuire ai dipendenti le ferie “d’ufficio”?
In relazione alla problematica in esame si ritiene anzitutto opportuno rilevare che la vigente contrattazione collettiva nazionale di lavoro per il personale del Comparto delle Funzioni locali disciplina le modalità di fruizione delle ferie da parte del personale dipendente con una normativa, specificamente scandita nell’articolo 28 del CCNL 21.5.2018, che proceduralizza alcune modalità di esercizio del potere organizzativo e direttivo datoriale in materia.
In particolare, l’articolo 28, comma 10 configura, come primo passo del percorso regolativo, la pianificazione delle ferie dei dipendenti da parte dell’Ente “al fine di garantire la fruizione delle stesse nei termini previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti”.
Al riguardo è opportuno rilevare che l’eventuale impossibilità di provvedere ad una pianificazione preventiva di carattere generale, se dovuta a situazioni contingenti e particolari, non può comunque inficiare il diritto del dipendente di fruire delle ferie ed il potere del datore di concederle.
Poi, nell’ambito della cornice della pianificazione, ove esistente, il comma 9 dell’articolo 28 statuisce che le ferie “sono fruite, previa autorizzazione, nel corso di ciascun anno solare, in periodi compatibili con le esigenze di servizio, tenuto conto delle richieste dei dipendenti”.
Il comma 9 dispone, dunque, che il potere datoriale di indicare i periodi di fruizione delle ferie sia esercitato sulla base della valutazione delle esigenze di servizio tenendo conto per quanto possibile anche delle preferenze rappresentate dai dipendenti, fermo restando che, ovviamente, queste ultime risultano oggettivamente recessive rispetto alle prime.
Al riguardo si ritiene opportuno precisare che la locuzione “tenuto conto”, di cui al citato comma 9, stante il suo carattere di clausola di tutela della facoltà di richiesta del dipendente, deve essere correttamente intesa nel senso che, laddove questi rappresenti le proprie preferenze in ordine ai periodi di fruizione delle ferie e le medesime non possano essere accolte per motivi di servizio, delle ragioni del diniego gli si debba dare, sia pur sinteticamente, esauriente notizia esplicativa.
Infine, il comma 12 dell’articolo 28 stabilisce che, sempre compatibilmente con le esigenze del servizio, “il dipendente può frazionare le ferie in più periodi” e che esse debbono essere fruite “nel rispetto dei turni di ferie prestabiliti, assicurando comunque, al dipendente che ne abbia fatto richiesta, il godimento di almeno due settimane continuative nel periodo 1 giugno – 30 settembre”.
Così ricostruita la vigente disciplina contrattuale, per quanto qui ne occupa, si deve rilevare che la valutazione delle esigenze di servizio e di quelle dei dipendenti ai fini delle conseguenti determinazioni gestionali sulla fruizione delle ferie, costituisce, all’evidenza, una questione definita dalle concrete situazioni organizzative e gestionali e la relativa decisione, in quanto espressione del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro, è prerogativa esclusiva dell’Ente.
Pertanto, la formulazione di indicazioni in materia esula dalla competenza dell’Agenzia che, è circoscritta dall’articolo 46, comma 1, Dlgs 165/2001 e smi, alla formulazione di orientamenti per la uniforme applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro dei quali la stessa è parte stipulante e non si estende alla formulazione di specifiche indicazioni per l’attività di gestione.

QUESITI INERENTI LA SCUOLA

Durante il periodo di emergenza epidemiologica da Covid-19, le educatrici dell’asilo nido, dopo che siano state utilizzate le ferie pregresse ed applicati tutti gli altri istituti previsti dalla normativa emergenziale e dalla disciplina contrattuale ivi comprese le attività integrative di cui all’art. 31 del CCNL 14.09.2000, possono essere adibite a mansioni equivalenti nell’ambito dei servizi sociali ed in particolare alle attività connesse ai minori ed alle famiglie?

Con riferimento al quesito in oggetto, appare anzitutto opportuno rilevare che la vigente contrattazione collettiva in materia di sistema di classificazione professionale del personale del Comparto delle Funzioni locali, (tuttora rinvenibile nelle disposizioni del CCNL del 31.3.1999), non detta alcuna specifica disciplina per l’assegnazione del lavoratore a mansioni diverse da quelle proprie del profilo posseduto dal medesimo.
In ordine al vincolo dell’equivalenza, l’art.3, comma 2, del CCNL del 31.3.1999, dispone infatti solamente che tutte le mansioni che vengano ascritte dal contratto collettivo nazionale all’interno delle singole categorie, “in quanto professionalmente equivalenti sono esigibili”.
Tale disciplina contrattuale deve oggi essere correttamente interpretata diacronicamente nel contesto dell’evoluzione della disciplina legislativa in materia, da ultimo scandita nell’articolo 52, nuovo testo, del Dlgs. 165/2001 e smi. rispetto alla quale è intervenuta la Corte di Cassazione (cfr. Cass. 16/06/2009 n° 13941 e Cass. 26/01/2017 n° 2011), che ha statuito i seguenti principi interpretativi:
“3.2. A partire dalla sentenza resa dalle Sezioni Unite n. 8740/08, è principio costante nella giurisprudenza di questa Corte che, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, non si applica l’art. 2103 c.c., essendo la materia disciplinata compiutamente dal D.Lgs.n.165 del 2001, art. 52 che assegna rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della P.A., solo al criterio dell’equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa quindi aversi riguardo alla citata norma codicistica ed alla relativa elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale che ne mette in rilievo la tutela del c.d. bagaglio professionale del lavoratore, e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione (Cass. n. 17396/11; Cass. n. 18283/10; Cass. sez.un. n. 8740/08; v. più recentemente, Cass. n. 7106 del 2014 e n. 12109 e n. 17214 del 2016). Dunque, non è ravvisabile alcuna violazione dell’art. 52 d.lgs. n. 165/01 qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente delle medesime mansioni. Restano, dunque, insindacabili tanto l’operazione di riconduzione in una determinata categoria di determinati profili professionali, essendo tale operazione di esclusiva competenza dalle parti sociali, quanto l’operazione di verifica dell’equivalenza sostanziale tra le mansioni proprie del profilo professionale di provenienza e quelle proprie del profilo attribuito, ove entrambi siano riconducibili nella medesima declaratoria.
3.3. Condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita, evidentemente ritenendosi che il riferimento all’aspetto, necessariamente soggettivo, del concetto di professionalità acquisita, mal si concili con le esigenze di certezza, di corrispondenza tra mansioni e posto in organico, alla stregua dello schematismo che ancora connota e caratterizza il rapporto di lavoro pubblico (cfr. Cass. n. 11835 del 2009).
3.4. Tale nozione di equivalenza in senso formale, mutuata dalle diverse norme contrattuali del pubblico impiego, comporta che tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili e l’assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro.
Ai fini della interpretazione della regola sull’equivalenza delle mansioni contenuta nell’art. 3, comma 2, del CCNL del 31.03.1999 sulla base alla ricordata esegesi giurisprudenziale dell’articolo 52, nuovo testo, del Dlgs. 165/2001 e smi, si deve rilevare che la locuzione “in quanto equivalenti” ben possa essere considerata espressione di una valutazione di equivalenza di tutte le mansioni ascrivibili ad una stessa categoria aprioristicamente formulata dal contratto collettivo nazionale e perciò intesa in senso formale,  statuendo la possibilità di assegnazione al lavoratore di mansioni diverse da quelle del profilo posseduto purché ascrivibili alla medesima categoria secondo la relativa declaratoria professionale come descritta nell’allegato A allo stesso CCNL.
Così ricostruita la lettura interpretativa delle disposizioni del contratto collettivo nazionale di lavoro in materia di equivalenza delle mansioni, la valutazione di tale equivalenza nel caso concreto costituisce una questione di natura prettamente gestionale relativa all’esercizio del potere direttivo ed organizzativo datoriale da parte dell’Ente e che, pertanto, esula dalla competenza della scrivente Agenzia la quale, come è noto, è circoscritta dall’articolo 46, comma 1, Dlgs. 165/2001 e smi, alla formulazione di orientamenti per l’uniforme applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro.

 Al personale delle scuole materne e degli asili nido che durante lo stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, non abbia svolto regolarmente l’attività educativa e di insegnamento, spettano le indennità di cui all’ art. 31, c. 7 del CCNL del 14.9.2000 e art. 37, c. 2 del CCNL del 6.7.1995?
Relativamente alle voci indennitarie previste per il personale educativo degli asili nido e per il personale insegnante delle scuole materne ed elementari, la scrivente Agenzia, per quanto di competenza, non può che ribadire le indicazioni già fornite con altri orientamenti  applicativi predisposti in materia,  secondo le quali la previsione dell’art.37 , comma 3, del CCNL del 6.7.1995(“Le indennità previste alle lettere c) d) ed e) del comma 1 e al comma 2 competono solo al personale che svolga esclusivamente e permanente attività educativa e di insegnamento”) debba essere interpretata nel senso di circoscrivere l’attribuzione dei particolari trattamenti economici ivi richiamati al solo personale che, inquadrato nei profili di educatore di asili nido o di insegnante delle scuole materne ed elementari, ecc., secondo le previsioni dell’allegato A al CCNL del 31.3.1999, svolga esclusivamente e permanentemente attività educativa e di insegnamento, nell’ambito del proprio rapporto di lavoro con l’ente.
Il senso della disposizione del citato art.37, comma 3, è di tutta evidenza in quanto essa mira semplicemente ad evitare che l’indennità in questione possa essere attribuita anche a personale che non svolga “attività educativa” o di “insegnamento”, pur risultando, formalmente, in possesso del profilo di “educatore di asilo nido” o di “insegnante”.
A tal fine, inoltre, si evidenzia che l’indennità dell’art.37, comma 1, lett. c) del CCNL del 6.7.1995 viene espressamente qualificata come “professionale” dall’art.31, comma 7, del CCNL del 14.9.2000, in quanto legata alle specifiche mansioni che in generale caratterizzano il profilo professionale dell’educatore e per lo svolgimento delle quali questi viene assunto.
Ordinariamente, tale compenso, quindi, non può non essere erogato che al solo personale in possesso del profilo di educatore di asilo nido (ai sensi dell’Allegato A al CCNL del 31.3.1999), che, in via permanente ed esclusiva, svolga attività educative.
In sostanza, come emerge dalla disciplina contrattuale, si tratta di indennità che si collegano alla specifica professionalità posseduta dal dipendente e che sono erogate solo nel caso dell’effettivo ed esclusivo svolgimento delle attività e delle specifiche mansioni proprie dei profili professionali dell’educatore e dell’insegnante.
Pertanto, esse non possono essere riconosciute ove manchino le condizioni legittimanti previste dalla disciplina contrattuale.

QUESITI RIGUARDANTI LA POLIZIA LOCALE

 

Come deve essere quantificata l’indennità di servizio esterno di cui all’art. 56 quinquies del CCNL 21.5.2018 delle Funzioni Locali, in caso di prestazione di durata inferiore alla intera giornata lavorativa?
L’indennità di servizio esterno di cui all’art. 56 quinquies del CCNL del 21 maggio 2018 è indubbiamente giornaliera e qualora il tempo di effettivo svolgimento della prestazione lavorativa in servizio esterno risulti inferiore a quello ordinariamente coincidente con la durata della giornata lavorativa deve essere effettuato un corrispondente riproporzionamento dell’indennità.
Pertanto, nei casi in cui, per particolari esigenze organizzative dell’ente, o per la fruizione da parte del dipendente di specifici permessi ad ore, previsti sia dalla legge che dalla contrattazione collettiva, la prestazione lavorativa nei servizi esterni non copra l’intera durata della giornata lavorativa, l’indennità sarà necessariamente riproporzionata in relazione all’arco temporale di effettivo svolgimento della stessa prestazione lavorativa resa nei servizi esterni.

Con quali modalità l’ente deve determinare l’utilizzo dei proventi delle sanzioni amministrative derivanti dal Codice della Strada?
L’art. 56 quater del CCNL del 21 maggio 2018 individua alle lettere a), b) e c) del comma 1, le possibili modalità di utilizzo dei proventi delle sanzioni amministrative derivanti dalla violazione del Codice della Strada.
Tale disciplina contrattuale, tuttavia, deve essere interpretata ed applicata all’interno della cornice regolativa dell’art.208 del D. lgs. n. 285/1992.
Infatti, il citato art.6 quater, comma 1, del CCNL del 21.5.2018 dispone che: “I proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie riscossi dagli enti, nella quota da questi determinata ai sensi dell’art. 208, commi 4 let c), e 5, del D.Lgs. n. 285/1992 sono destinati, in coerenza con le previsioni legislative,…”.
Pertanto, in coerenza e nel rispetto delle disposizioni del citato art.208, commi 4, lett. c), e 5, del D.Lgs.n.285/1992, spetta all’ente la concreta individuazione delle possibili finalità di utilizzo delle risorse di cui si tratta, tra quelle indicate nella legge e l’ammontare delle risorse per ciascuna fissata.
Al riguardo risulta opportuno evidenziare che in materia non esiste alcuna delega negoziale nazionale alla contrattazione di secondo livello.
Spetta, pertanto, al singolo ente, sulla base di proprie autonome determinazioni, la definizione della disciplina di dettaglio per l’applicazione delle previsioni del citato art.56-quater, lett. a) del CCNL del 21.5.2018, anche per quanto attiene ai profili meramente regolativi e gestionali della stessa.

L’indennità di ordine pubblico propria dell’ordinamento della Polizia di Stato, estesa per l’emergenza da Covid-19 alla Polizia Locale, può essere cumulata con l’indennità di servizio esterno prevista dall’art.56-quinquies del CCNL 21.5.2018 delle Funzioni Locali?
(…) Al riguardo si precisa, infatti che le indicazioni applicative sul riconoscimento della indennità di ordine pubblico al personale di polizia locale coinvolto, su tutto il territorio nazionale, nell’attività di monitoraggio e di attuazione delle disposizioni per il contrasto della diffusione della epidemia Covid-19 in conseguenza della relativa normazione di emergenza, sono contenute nella Circolare del Capo della Polizia del 16 marzo 2020 e nella Circolare del 13 marzo in essa richiamata.
Poiché la predetta indennità risulta temporaneamente e straordinariamente applicabile al personale della polizia locale, nell’ambito della normativa speciale concernente lo stato di emergenza nazionale in atto  esclusivamente in forza delle richiamate circolari, a tali fonti occorre fare riferimento per la risoluzione della questione di compatibilità in esame e pertanto, ratione materiae, qualora si ravvisi la necessità di orientamenti per la corretta interpretazione della normativa in parola, non può che farsi rinvio alle indicazioni delle competenti Autorità di Governo.
In proposito si deve peraltro segnalare la Deliberazione n. 96/2020, resa dalla Sezione Regionale di Controllo per il Veneto nell’adunanza del 4 giugno 2020, che ha effettuato una ampia ricostruzione della fattispecie sotto il profilo della eventuale cumulabilità delle due indennità, concludendo che: “In conclusione (sulla base del quadro normativo ed ermeneutico sopra analiticamente ricostruito) la Sezione ravvisa l’opportunità di evidenziare che l’individuazione dell’ambito delle ipotesi di cumulo -solo eccezionalmente consentite- non può che essere rigorosamente vincolata alla verifica dell’oggettività delle prestazioni di servizio, ontologicamente riconducibili alla materia collegata dell’ordine pubblico, senza alcuna commistione e/o sovrapposizione con le competenze ordinarie della polizia locale. Solo tale condizione preventiva, infatti, è idonea ad escludere l’attribuzione di componenti remunerative illegittimamente liquidate per la resa del medesimo ed unico servizio, da realizzare, quindi, secondo il criterio di effettività con la resa di prestazioni diverse e aggiuntive rispetto a quelle ordinarie”.
Tanto premesso, per quanto di propria competenza, la scrivente Agenzia, per agevolare il confronto trai due citati istituti ai fini della verifica della sussistenza delle condizioni per il loro eventuale cumulo, ritiene opportuno, relativamente alla richiamata indennità di servizio esterno, confermare i più salienti passaggi degli orientamenti applicativi già formulati ed a tale riguardo ritiene utile precisare che sulla base delle disposizioni dell’art. 56- quinquies, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, il riconoscimento della indennità in parola può essere garantito solo al personale della polizia locale che, continuativamente (e, quindi, in maniera non saltuaria o occasionale) sulla base dell’organizzazione del lavoro adottata, renda effettivamente la propria prestazione lavorativa ordinaria in servizi di vigilanza esterni sul territorio, fuori degli uffici, nell’ambito non solo della vigilanza stradale, ma di tutte le altre molteplici funzioni della polizia locale.
Nei casi in cui, per particolari esigenze organizzative dell’ente, o in quelli di fruizione da parte del dipendente di specifici permessi ad ore, previsti sia dalla legge che dalla contrattazione collettiva, la prestazione lavorativa nei servizi esterni non copra l’intera durata della giornata lavorativa, l’indennità sarà necessariamente riproporzionata tenendo conto solo delle ore effettivamente rese nei servizi esterni.
La disciplina contrattuale, infatti, ai fini del riconoscimento dell’indennità fa riferimento “all’effettivo svolgimento del servizio esterno”…
Ugualmente, per le medesime motivazioni, l’indennità di cui trattasi non potrà essere erogata nei casi di assenze per l’intera giornata lavorativa, qualunque sia la motivazione della stessa.
Si deve infine evidenziare che, sia sulla base delle previsioni dell’art.18, sia su quelle dell’art. 56-quinquies, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, l’indennità di servizio esterno non risulta tra i compensi che possono essere erogati ai titolari di posizione organizzativa in aggiunta alla retribuzione di posizione e di risultato.

Le prestazioni di lavoro straordinario conseguenti alle attività lavorative connesse allo stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 possono essere remunerate anche al personale di Polizia Locale titolare di Posizione Organizzativa?
L’art. 115 del D.L. n. 18 del 17.3.2020, convertito con modificazioni nella Legge 24.4.2020 n. 27, ha individuato specifiche risorse (nella forma di uno fondo con dotazione pari a 10 milioni di euro, istituito presso il Ministero dell’Interno per l’anno 2020) destinate al finanziamento delle prestazioni di lavoro straordinario del personale della polizia locale dei comuni, delle province e delle città metropolitane direttamente impegnato per le esigenze conseguenti ai provvedimenti di contenimento del fenomeno epidemiologico da COVID-19 e limitatamente alla durata dell’efficacia delle disposizioni attuative.
In conformità alle previsioni  dal comma 2 del richiamato art. 115, con  decreto del Ministero dell’interno di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze del 16/4/2020, sono stati individuati criteri di riparto e destinatari: le predette risorse, stanziate nei limiti delle quote assegnate a ciascuna amministrazione, possono, pertanto, essere destinate, nei limiti dell’uso temporaneo limitato allo stato di emergenza, esclusivamente al personale di polizia locale che sia impegnato nella situazione emergenziale.
Relativamente alle disposizioni di fonte contrattuale previste in materia, ai sensi dell’art. 40 del CCNL del 22.1.2004 “Le risorse finanziarie formalmente assegnate agli enti, con i provvedimenti adottati per far fronte elle emergenze derivanti da calamità naturali, per remunerare prestazioni straordinarie del personale, possono essere utilizzate, per le medesime finalità, anche a favore del personale incaricato della responsabilità di una posizione organizzativa.”.
L’art. 18, c. 1, lett. e) del CCNL del 21 maggio 2018  menziona espressamente, tra i diversi compensi aggiuntivi che possono essere erogati ai titolari di posizione organizzativa, i compensi per lavoro straordinario connesso a calamità naturali,  previsti dall’art. 40 del CCNL del 22.1.2004, precisando inequivocabilmente che  tali compensi possono essere riconosciuti solo nell’ambito delle risorse finanziarie assegnate agli enti con i provvedimenti adottati per far fronte ad emergenze derivanti da calamità naturali.
Stabilire se l’attuale situazione emergenziale, assolutamente priva di precedenti confrontabili, possa essere ricondotta alla nozione di emergenza derivante da calamità naturale sussunta dalle norme del CCNL e, dunque, legittimare l’applicazione della disciplina ivi prevista, costituisce una questione definitoria la cui soluzione non può che risultare dall’esegesi della disciplina, di fonte legislativa, regolante la materia.
Una possibile soluzione positiva potrebbe essere rinvenuta nelle disposizioni dell’articolo 16, comma 2, del Dlgs. 02/01/2018, n° 17, ma a tale riguardo, ratione materiae, l’Agenzia non può che uniformarsi alle indicazioni che potranno essere formulate dai competenti Dicasteri.

 

QUESITI CONNESSI ALL’EMERGENZA COVID-19

 

Al personale impiegato in regime di “lavoro agile” può essere riconosciuta l’indennità condizioni di lavoro prevista dall’art. 70 bis del CCNL del 21.5.2018?
Relativamente all’istituto previsto dall’art. 70 bis del CCNL del 21.5.2018,, per quanto di competenza, l’Agenzia ha già avuto modo di precisare che la nuova “Indennità condizioni di lavoro”, che accorpa le precedenti indennità di rischio, disagio e maneggio valori, fermo restando, comunque, i presupposti fattuali che giustificavano l’erogazione di tali compensi (remunerare lo svolgimento, da parte dei lavoratori, di attività disagiate o rischiose in quanto pericolose o dannose per la salute o implicanti il maneggio di valori, laddove tutte effettivamente espletate) è demandata alla contrattazione collettiva integrativa.
La richiamata norma, infatti, si è limitata a stabilire solo che, la nuova voce indennitaria è commisurata ai giorni di effettivo svolgimento delle attività legittimanti ed il suo ammontare è determinato in sede di contrattazione integrativa, sulla base di specifici criteri individuati direttamente dal CCNL, e cioè:
a) l’effettiva sussistenza ed incidenza di ciascuna delle condizioni legittimanti sulle attività svolte dal dipendente;
b) le caratteristiche istituzionali, dimensionali, sociali e ambientali degli enti interessati e degli specifici settori di attività.
La soluzione dipende dalle scelte che l’ente opera in sede di contrattazione integrativa ove viene individuata la misura dell’indennità entro i valori minimi e massimi e nel rispetto dei criteri ivi previsti; ogni valutazione o decisione in ordine all’erogazione o meno dell’indennità per condizioni di lavoro, quindi, non può che spettare all’ente nella sua veste di datore di lavoro e che ha sottoscritto il contratto integrativo.
Nella fattispecie in esame, pertanto, l’ente dovrà valutare, tenuto conto di quanto previsto nel contratto integrativo, se il personale chiamato a svolgere la prestazione lavorativa presso la sede di lavoro durante lo stato di emergenza o che sia utilizzato, nel medesimo stato di emergenza, in modalità di “lavoro agile”, possa o meno avere diritto alla richiamata indennità, ove concretamente sussistano i suindicati presupposti fattuali per la sua erogazione.

Il personale impiegato in regime di “lavoro agile” può svolgere prestazioni di lavoro straordinario?
(…) In relazione alla questione concernente il lavoro straordinario e la fruizione dei riposi compensativi, per quanto di competenza, la scrivente Agenzia non può che richiamare la disciplina di carattere generale a cui occorre fare riferimento nella gestione di tali istituti.
Al riguardo si evidenzia, in primo luogo, che, secondo la norma di cui all’art. 38 del CCNL del 14/09/2000, le prestazioni straordinarie sono rivolte a fronteggiare situazioni di lavoro eccezionali e non possono essere utilizzate come fattore ordinario di programmazione del tempo di lavoro e di copertura dell’orario di lavoro.
Nell’ambito della definizione contrattuale, l’indicazione secondo la quale la prestazione di lavoro straordinario non può essere utilizzata come fattore ordinario di programmazione del lavoro sta ad indicare la necessità che, ai fini dell’ordinaria organizzazione del lavoro, il datore di lavoro può tenere conto solo delle prestazioni dovute dal dipendente nell’ambito del suo normale orario di lavoro d’obbligo, contrattualmente stabilito.
Da qui la necessità di contenere il ricorso al lavoro straordinario, limitandolo alle ipotesi della sopravvenienza di situazioni di carattere eccezionale e straordinario, le sole che, in quanto imprevedibili ed insuscettibili di essere programmate dal datore di lavoro, possono giustificare la richiesta dello stesso al dipendente di eseguire prestazioni di lavoro ulteriori ed aggiuntive rispetto a quelle dovute nell’ambito dell’orario di lavoro contrattualmente stabilito.
Risulta quindi evidente che l’applicabilità degli istituti contrattuali relativi alle prestazioni di lavoro straordinario ed ai riposi compensativi richiede, quali condizioni necessarie e legittimanti, di norma non riscontrabili nel lavoro agile come affermato anche dalla ricordata circolare 2/2020 alla pagina 4:
a) l’assolvimento dell’obbligo lavorativo nell’ambito di un tempo di lavoro predefinito, puntualmente rilevato e controllato;
b) lo svolgimento delle prestazioni straordinarie nell’ambito di un tempo aggiuntivo, anch’esso puntualmente rilevato e controllato, con sistemi conformi a quanto prescrive la normativa in materia.

Il personale impiegato in regime di “lavoro agile” può utilizzare le diverse fattispecie di permesso, fruibile su base oraria, previste dalla disciplina contrattuale?
In considerazione della peculiarità della situazione determinata dall’epidemia di Covid-19 e della necessità di valutare i margini di applicabilità della disciplina contrattuale collettiva nazionale degli istituti contrattuali sottoposti ad esame, nel contesto della legislazione speciale legata all’emergenza nazionale in atto, è opportuno, anzitutto, premettere alcune considerazioni propedeutiche a tale valutazione.
Al riguardo, occorre in primo luogo rilevare che, secondo le indicazioni impartite dal Ministro per la Pubblica Amministrazione con Circ. 01/04/2020 n° 2, alla pagina 4. “Le amministrazioni sono chiamate, nel rispetto della disciplina normativa e contrattuale vigente, a definire gli aspetti di tipo organizzativo e i profili attinenti al rapporto di lavoro” e che, pertanto, il lavoro agile costituisce una modalità di espletamento della prestazione lavorativa la cui organizzazione concreta, quale espressione del potere organizzativo e direttivo datoriale, è prerogativa delle amministrazioni.
Tale attività di organizzazione del lavoro da parte delle amministrazioni, inoltre, non costituisce una attività da esercitarsi una tantum, ma integra un processo di progressivo adeguamento alle diverse necessità che si pongono in dipendenza della evoluzione delle misure emergenziali nelle varie fasi dalle stesse previste, come precisato alla pagina 3 della Direttiva  04/05/2020 n° 3 del Ministro per la Pubblica Amministrazione, giusta la quale “Le pubbliche amministrazioni dovranno essere in grado di definire modalità di gestione del personale duttili e flessibili, tali da assicurare che il supporto alla progressiva ripresa delle attività sia adeguato e costante”.
Per quanto attiene l’interpretazione, a fini applicativi, della disciplina degli istituti contrattuali concernenti le varie tipologie di permesso, per la cui fruizione l’orario di lavoro rappresenta il parametro di riferimento e di quantificazione, la scrivente Agenzia, per quanto di sua competenza, si è già espressa mediante la formulazione di orientamenti applicativi pubblicati sul proprio sito istituzionale ed ivi facilmente consultabili, ai quali pertanto si rinvia.
Con riferimento alle tre fattispecie di permessi su base oraria, si deve rilevare altresì che nel lavoro svolto in modalità agile deve di norma, intendersi sussistente, in base alle indicazioni recate alle pagine 6, punto ii), 10 e 18 della Direttiva 01/06/2017, n° 3 del Ministro per la Pubblica Amministrazione, uno specifico obbligo del lavoratore di rendersi contattabile all’interno di fasce orarie predeterminate.
Pertanto, tenendo conto dell’insieme delle citate indicazioni formulate alla pagina 4 della richiamata Circ. 2/2020, anche nella modalità lavorativa agile potrebbe risultare possibile la fruizione dei permessi su base oraria previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro vigente. Essi, nella fattispecie in esame, si concretizzerebbero nella possibilità per il dipendente, in relazione ad un intervallo temporale determinato, di essere sollevato dal predetto obbligo di contattabilità laddove la sua esigenza, per natura e caratteristiche, non risulti compatibile con tale obbligo e non possa essere soddisfatta al di fuori del periodo di durata del medesimo, ferme restando le ordinarie disposizioni contrattuali sulle causali, e sulla motivazione e sulla documentazione dei permessi stessi.

Al personale impiegato in regime di “lavoro agile” può essere applicata la disciplina della reperibilità?
Per quanto di competenza, si deve rilevare che la disciplina contrattuale, attualmente prevista dall’art. 24 del CCNL del 21 maggio 2018, stabilisce che l’indennità di reperibilità non compete durante l’orario di servizio a qualsiasi titolo prestato.
Nei confronti del dipendente che, inserito in un servizio di reperibilità, sia chiamato a rendere effettivamente la prestazione lavorativa, trova applicazione esclusivamente la disciplina prevista dal comma 6, con esclusione di qualunque altra forma di compenso o trattamento accessorio.
In particolare, la richiamata norma prevede che in caso di chiamata le ore siano retribuite con il compenso previsto per lavoro straordinario (art.38, comma7 ed art.38-bis, del CCNL del 14.9.2000) o con equivalente riposo orario compensativo, al dipendente, collocato in reperibilità nella giornata di riposo settimanale coincidente con la domenica e che, nell’ambito della stessa, sia chiamato a rendere la sua prestazione lavorativa, deve essere corrisposto per le ore di effettivo lavoro, il particolare compenso previsto dall’art.24, comma 1, del CCNL del 14.9.2000, ai sensi del comma 7 del medesimo art.24 del CCNL del 21.5.2018).
La concreta applicazione dei suindicati orientamenti interpretativi della disciplina contrattuale in materia costituisce una attività di carattere gestionale prerogativa esclusiva dell’Ente quale datore di lavoro.
Le risorse di cui all’art. 115 del D.L. n. 18 del 17.3.2020, convertito con modificazioni nella Legge 24.4.2020 n. 27, possono essere utilizzate per remunerare prestazioni di lavoro straordinario effettuate dal personale non appartenente al corpo di polizia locale ed a quello operante nei COC per esigenze connesse allo stato di emergenza epidemiologica da Covid-19?
L’art. 115 del D.L. n. 18 del 17.3.2020, convertito con modificazioni nella Legge 24.4.2020 n. 27, ha individuato specifiche risorse (nella forma di uno fondo con dotazione pari a 10 milioni di euro, istituito presso il Ministero dell’Interno per l’anno 2020) destinate al finanziamento delle prestazioni di lavoro straordinario del personale della polizia locale dei comuni, delle province e delle città metropolitane direttamente impegnato per le esigenze conseguenti ai provvedimenti di contenimento del fenomeno epidemiologico da COVID-19 e limitatamente alla durata dell’efficacia delle disposizioni attuative.
Pertanto, per tutto il personale amministrativo e/o tecnico non rientrante nel corpo di polizia locale che sia impegnato, per le esigenze conseguenti ai provvedimenti di contenimento del fenomeno epidemiologico da COVID-19, le prestazioni di lavoro straordinario, in assenza di uno specifico finanziamento derivante da una specifica fonte di legge dovranno trovare integrale copertura esclusivamente nello specifico fondo di cui all’art.14 del CCNL dell’1.4.1999, costituito nel rispetto delle prescrizioni ivi contenute, come sopra precisato.
Si ritiene che le medesime considerazioni valgano anche per il personale non appartenente al corpo di polizia locale
che sia nominato, con ordinanza sindacale, quale componente del C.O.C (Centro operativo comunale) per l’emergenza epidemiologica in essere; al riguardo, è opinione dell’Agenzia che trattandosi di attività di servizio le prestazioni straordinarie eventualmente rese debbano essere finanziate sempre entro i menzionati limiti previsti dalla disciplina contrattuale.
Si ricorda, comunque che, ai fini della corretta gestione dell’istituto del lavoro straordinario, gli enti devono attenersi alle regole di carattere generale espressamente stabilite nella disciplina contrattuale.
Al riguardo si evidenzia, in primo luogo, che, secondo la norma di cui all’art. 38 del CCNL del 14/09/2000, le prestazioni straordinarie sono rivolte a fronteggiare situazioni di lavoro eccezionali e non possono essere utilizzate come fattore ordinario di programmazione del tempo di lavoro e di copertura dell’orario di lavoro.
Nell’ambito della definizione contrattuale, l’indicazione secondo la quale la prestazione di lavoro straordinario non può essere utilizzata come fattore ordinario di programmazione del lavoro sta ad indicare la necessità che, ai fini dell’ordinaria organizzazione del lavoro, il datore di lavoro può tenere conto solo delle prestazioni dovute dal dipendente nell’ambito del suo normale orario di lavoro d’obbligo, contrattualmente stabilito.
Da qui la necessità di contenere il ricorso al lavoro straordinario, limitandolo alle ipotesi della sopravvenienza di situazioni di carattere eccezionale e straordinario, le sole che, in quanto imprevedibili ed insuscettibili di essere programmate dal datore di lavoro, possono giustificare la richiesta dello stesso al dipendente di eseguire prestazioni di lavoro ulteriori ed aggiuntive rispetto a quelle dovute nell’ambito dell’orario di lavoro contrattualmente stabilito.

E’ possibile remunerare a titolo di straordinario per emergenze derivanti da calamità naturali le prestazioni eccedenti l’orario giornaliero di lavoro rese dal personale non appartenente al corpo di polizia locale titolare di posizione organizzativa a seguito delle esigenze operative derivanti dallo stato di emergenza epidemiologica da Covid-19?
In relazione alla problematica in esame, occorre ricordare che ai sensi dell’art. 40 del CCNL del 22.1.2004 “Le risorse finanziarie formalmente assegnate agli enti, con i provvedimenti adottati per far fronte elle emergenze derivanti da calamità naturali, per remunerare prestazioni straordinarie del personale, possono essere utilizzate, per le medesime finalità, anche a favore del personale incaricato della responsabilità di una posizione organizzativa.”.
L’art. 18, c. 1, lett. e) del CCNL del 21 maggio 2018 menziona espressamente, tra i diversi compensi aggiuntivi che possono essere erogati ai titolari di posizione organizzativa i compensi per lavoro straordinario connesso a calamità naturali, previsti dall’art.40 del CCNL del 22.1.2004, precisando inequivocabilmente che  tali compensi possono essere riconosciuti solo nell’ambito delle risorse finanziarie assegnate agli enti con i provvedimenti adottati per far fronte ad emergenze derivanti da calamità naturali.
La scrivente Agenzia ha avuto modo di precisare in precedenti orientamenti applicativi, tenuto anche conto delle modalità di finanziamento richieste dalla disciplina contrattuale, che per “calamità naturali” si debbono intendere gli eventi che hanno avuto espressamente tale formale riconoscimento dal Governo e/o dalle Regioni in base alla vigente legislazione prevista in materia, con l’apprestamento delle risorse necessarie per fronteggiarle.
Stabilire se l’attuale situazione emergenziale, assolutamente priva di precedenti confrontabili, possa essere ricondotta alla nozione di emergenza derivante da calamità naturale sussunta dalle norme del CCNL e, dunque, legittimare l’applicazione della disciplina ivi prevista, costituisce una questione definitoria la cui soluzione non può che risultare dall’esegesi della disciplina, di fonte legislativa, regolante la materia.
Peraltro, a prescindere dalla soluzione della appena ricordata questione definitoria, per quanto riguarda il personale titolare di posizione organizzativa non appartenente al corpo di polizia locale si ritiene di dover comunque escludere l’applicabilità dell’art. 18, c. 1, lett. e) del CCNL del 21 maggio 2018 poiché, nell’emergenza in atto, le sole risorse finanziarie di fonte legislativa specificamente destinate al finanziamento dello straordinario, sono, allo stato, esclusivamente  quelle destinate al personale di polizia locale.

In un ente che non abbia mai stanziato ed erogato in passato risorse per finalità di welfare integrativo la situazione emergenziale determinata dall’epidemia di Covid-19 potrebbe legittimare forme di attivazione di tale istituto?
Per quanto di competenza si deve rilevare che, nella assoluta consapevolezza della necessità di valutare i margini di applicabilità dei diversi istituti previsti dalla disciplina contrattuale nel contesto della legislazione speciale legata all’emergenza nazionale in atto, non può, tuttavia, che confermarsi l’orientamento applicativo già espresso in materia dall’Agenzia.
Si precisa, pertanto, che come evidenziato dalla stessa formulazione dell’art.72 del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, gli oneri per la concessione al personale di benefici di natura assistenziale e sociale possono trovare copertura nelle disponibilità già stanziate dagli enti sulla base delle vigenti e specifiche disposizioni normative in materia.
Pertanto, se l’ente non ha già in passato stanziato risorse a tale finalità, sulla base di specifiche norme vigenti nel tempo, non potrà applicare la citata disciplina dell’art.72 del CCNL del 21.5.2018 atteso che il CCNL non prevede altre e diverse forme di finanziamento.




Importanti chiarimenti ARAN sulla rappresentanza sindacale

L’Aran, con gli orientamenti applicativi CQRS149 e CQRS150 del 4 agosto 2020, ha fornito alcuni chiarimenti in materia di rappresentanza sindacale. In particolare, l’Agenzia ha precisato che:
  • l’organizzazione sindacale territoriale di categoria, firmataria del CCNL, può, nell’esercizio della propria autonomia organizzativa, eleggere come propri dirigenti sindacali sia lavoratori dipendenti, che pensionati o altro. Tale carica non dipende in alcun modo dall’essere o meno dipendenti dell’amministrazione presso cui si svolgerà la contrattazione integrativa e né di qualsiasi altra amministrazione pubblica;
  • per poter accedere a tutti i diritti e alle prerogative sindacali, fra cui, ad esempio, informazione, accesso ai luoghi di lavoro, uso locali, bacheca sindacale, etc., occorre il requisito della rappresentatività sindacale, ex art. 42 d.lgs. 165/2001 e art. 39, comma 1 CCNQ 4 dicembre 2017. Pertanto, un sindacato non rappresentativo nel comparto di riferimento non ha alcun diritto e prerogativa sindacale, sebbene possa avere molti iscritti presso l’ente.

 

RISOLUZIONI ARAN CQRS149-CQRS150




INPS: Circolare sul congedo COVID-19 per quarantena scolastica dei figli

 

LA Circolare INPS n.116 su: Congedo COVID-19 per quarantena scolastica dei figli in favore dei lavoratori dipendenti, introdotto dall’articolo 5 del decreto-legge 8 settembre 2020, n. 111, recante “Disposizioni urgenti per far fronte a indifferibili esigenze finanziarie e di sostegno per l’avvio dell’anno scolastico, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Istruzioni contabili. Variazione al piano dei conti.

 

Vai alla Circolare




Coronavirus: orientamenti applicativi ARAN per il comparto Funzioni Locali

Sul portale dell’ARAN è stato reso disponibile un pacchetto di orientamenti applicativi per il comparto Funzioni Locali con specifico riferimento alle problematiche di ordine tecnico generate dall’emergenza Coronavirus in questi complicati mesi. Tra i vari orientamenti (se ne contano oltre 10 a livello complessivo) differenti i temi trattati: dalla fruizione del congedo matrimoniale oltre i limiti temporali di legge alla gestione delle ferie transitando per l’impiego dello smart working durante il periodo di emergenza epidemiologica.




Le capacità assunzionali ed il salario accessorio delle posizioni organizzative

Le amministrazioni comunali prive di dirigenti possono continuare a destinare una parte delle proprie capacità assunzionali all’aumento del salario accessorio delle posizioni organizzative in essere alla data di entrata in vigore del CCNL 21 maggio 2018.

Sono queste le indicazioni che, in modo consolidato, vengono fornite dalle sezioni regionali di controllo della magistratura contabile. Esse assumono, quindi, che le disposizioni di cui all’articolo 11 bis, comma 2, del d.l. n. 135/2018 che consentono di aumentare le somme destinate al finanziamento del salario accessorio delle posizioni organizzative in essere nell’ente in deroga al tetto del salario accessorio, continuano ad essere pienamente applicabili, non essendo state abrogate, neppure implicitamente, dalla entrata in vigore delle nuove regole sulle capacità assunzionali di cui all’articolo 33 del d.l. n. 34/2019.

Anzi, per le amministrazioni virtuose, che ricordiamo sono quelle che possono aumentare la propria spesa del personale entro i tetti fissati dal Decreto dei Ministri della Pubblica Amministrazione, dell’Economia e delle Finanze e dell’Interno del 17 marzo 2020, ciò si traduce in un ampliamento delle somme a propria disposizione.

Ricordiamo che in modo consolidato le Corti dei conti ritengono che questo incremento non possa essere utilizzato per finanziare la istituzione di nuove posizioni organizzative, anche negli enti senza dirigenza; il che finisce con il determinare un limite assai rilevante alla autonomia organizzativa delle singole amministrazioni.




Al via le richieste di anticipo del TFS/TFR dei dipendenti pubblici

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 5 settembre è stato pubblicato il Dpcm 19 agosto 2020 contente l’approvazione dell’Accordo quadro per il finanziamento bancario dell’anticipo sulla liquidazione dell’indennità di fine servizio (TFS, TFR altrimenti denominata e determinata) dei dipendenti pubblici, così come previsto dall’articolo 23, comma 2, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26.

Il Decreto era stato annunciato dal Ministro Dadone nei giorni scorsi, assieme alla piattaforma telematica che servirà a gestire le richieste e l’intera procedura di erogazione.

Domanda di anticipo TFS/TFR

Il Decreto contiene in allegato il modello di domanda di anticipo della liquidazione ed anche quello di richiesta di finanziamento contro cessione pro solvendo del TFR/TFS.

L’importo dell’anticipo è determinato sulla base degli importi dell’indennità al netto delle imposte. Il tasso di interesse annuo (non inferiore a 0,40%) è fisso, pari al rendimento medio dei titoli pubblici (Rendistato) con durata analoga al finanziamento, maggiorato di 0,40%.  Ai fini delle condizioni del finanziamento, le banche aderenti possono offrire anche condizioni migliorative rispetto a quelle previste dall’Accordo.

I finanziamenti di anticipo TFS/TFR possono anche essere ceduti dalla banca, in tutto o in parte, ma conservando sempre  le medesime garanzie che assistono i finanziamenti originari.

E’ possibile procedere con l’estinzione anticipata del finanziamento stesso (anche parziale), pagando per importi residui superiori a 10mila euro una penale massima dello 0,30% dell’importo rimborsato in anticipo.

Il provvedimento contempla le varie casistiche del caso, a partire dalle richieste avanzate dai dipendenti pubblici andati in pensione con la Quota 100.

MODULISTICA RICHIEDENTE

Di seguito sono disponibili i seguenti moduli:

  • Richiesta di finanziamento contro cessione pro solvendo dell’indennità di fine servizio comunque denominata – Proposta contrattuale di finanziamento verso l’anticipo della liquidazione dell’indennità di fine servizio comunque denominata ex art. 23, del dl n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n.a 26 (scarica il documento).
  • Domanda di anticipo della liquidazione del TFS/TFR, mediante finanziamento ex art. 23, del dl n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26 (scarica e compila).
  • Autocertificazione dello stato di famiglia (scarica e compila).

Ai fini della richiesta della certificazione del diritto all’anticipazione, se l’ente che eroga il trattamento è l’INPS, la domanda dovrà essere presentata secondo le istruzioni indicate nell’apposita sezione del portale dell’Istituto.




Anche il Tribunale di Ivrea conferma la non obbligatorietà del Fondo Perseo Sirio

A seguito della ben nota sentenza del Tribunale di Arezzo, il Tribunale di Ivrea ha confermato che i lavoratori dipendenti del Comune – nella fattispecie un agente di Polizia Locale – di mantenere l’iscrizione al proprio fondo pensionistico e conseguentemente di destinare al fondo stesso le quote di sua spettanza dei proventi di cui all’art.208 Dlgs. 285/92 (proventi delle sanzioni amministrative) maturate dopo il 21 maggio 2018.

In altri termini, il Tribunale di Ivrea ha dichiarato l’illegittimità della delibera con cui il Comune non consentiva ai lavoratori di poter mantenere la precedente adesione ad un Fondi diverso dal Perseo Sirio, per contrasto con l’art. 56 quater del CCNL Funzioni Locali del 21/5/2018.

 

Sentenza Ivrea fondo Perseo Sirio




SPID: nuova modalità di accesso ai servizi del Ministero del Lavoro

​A partire dal 15 novembre 2020 si accederà a tutti i servizi online del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali esclusivamente tramite SPID, il Sistema Pubblico di Identità Digitale. Pertanto, non sarà più possibile utilizzare le precedenti credenziali del portale informativo e di servizio, Cliclavoro.

Il Dicastero entra così nel novero di quelle amministrazioni pubbliche che consentono ai cittadini di accedere, con le credenziali SPID o elDAS per i Paesi stranieri aderenti, al portale ministeriale per l’erogazione dei servizi. Per gli altri Paesi stranieri che non adottano eIDAS resta la possibilità di accesso ai servizi digitali previa registrazione al portale.

“L’importante intervento di digitalizzazione – dichiara il Ministro Nunzia Catalfo – si colloca all’interno di un più ampio percorso di rinnovamento tecnologico dell’Amministrazione, avviato nel 2008 e proseguito negli anni, per far fronte alle sfide imposte dalla trasformazione digitale. Le nostre abitudini stanno cambiando in fretta, coinvolte nel processo di trasformazione digitale; la tecnologia è sempre più presente nelle nostre vite. L’accesso ai servizi online è una prassi sempre più diffusa ed è quindi necessario stare al passo coi tempi, parlare ai cittadini in un’unica lingua innovativa e per far ciò è importante uniformare i processi”.

Come è noto, il Ministero era già pronto “a transitare” verso un unico sistema di autenticazione nei primi mesi dell’anno in corso, ma il sopraggiungere dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 ne ha impedito l’avviamento previsto lo scorso marzo. “Tuttavia – prosegue il Ministro – adesso è prioritaria l’esigenza di accelerare sulla trasformazione digitale e sulla possibilità di erogare servizi telematici, come recentemente confermato dal Decreto Semplificazioni”. “In questa direzione – conclude Catalfo – abbiamo avviato un confronto sul tema con il Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione, l’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID) e l’INPS, concordando che da metà novembre non sarà più possibile accedere ai servizi digitali del Ministero utilizzando strumenti di autenticazione diversi da SPID”.

Il Sistema Pubblico di Identità Digitale sarà così l’unico strumento di autenticazione che consentirà ai cittadini, pubbliche amministrazioni e imprese di interagire non solo con il Ministero, ma anche con l’intero sistema pubblico e con i soggetti privati che aderiscono, costituendo di fatto un sistema aperto agli sviluppi europei.




Le regole per esclusione delle festività infrasettimanali dal turno

L’ARAN, con il parere  n.3246/2020. ha cambiato la posizione precedentemente assunta con il parere n. 649/2020. Ora si delinea uno spazio interpretativo nuovo che apparentemente sembra superare un consolidato orientamento precedente dell’Agenzia. Agli Enti infatti è riconosciuta maggiore autonomia.
In sintesi, dunque, secondo il nuovo orientamento dell’ARAN l’Ente può decidere in autonomia di escludere dall’orario di servizio le giornate di festività infrasettimanali.
Ma di conseguenza le stesse non possono essere prese in considerazione neppure ai fini dell’articolazione settimanale dell’orario di lavoro.
Tuttavia la decisione di non rendere la prestazione dovuta in giornata festiva infrasettimanale afferisce alla sola autonomia gestionale del singolo ente, il quale dovrà assumersi ogni forma di responsabilità in ordine all’interruzione del servizio istituzionale.
Questo anche in presenza di una organizzazione di lavoro per turni che l’Ente ha adottato per garantire proprio la continuità del servizio, nel rispetto della regolamentazione contrattuale.
Inoltre, ultimo punto, ma non meno importante: per il personale turnista viene meno l’obbligo della prestazione lavorativa. E cade il vincolo della perfetta coincidenza tra orario di lavoro e orario di servizio per il turnista, presente nel vecchio parere dell’ARAN.



Ammesse le POER in attesa dei concorsi pubblici per dirigenti

tratto da giustizia-amministrativa.it
Per la Corte Costituzionale è legittima, nelle more dell’espletamento di concorsi per dirigenti, la previsione di incarichi non dirigenziali temporanei per il personale già in servizio
La Consulta dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale relative alle disposizioni contenute nell’art. 1, comma 93, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, con cui: da un lato, in attesa di espletare i concorsi pubblici per il reclutamento di dirigenti delle Agenzie fiscali, vengono istituite specifiche posizioni organizzative (POER) da affidare previa procedura selettiva a funzionari interni delle medesime Agenzie; dall’altro lato, con riguardo alle ridette procedure concorsuali da svolgere si prevede per i dipendenti delle Agenzie fiscali, qualora in possesso di determinati requisiti professionali e di esperienza, la possibilità di evitare le prove preselettive nonché di aspirare sino al 50% dei posti dirigenziali messi a concorso.



Compenso incentivante da liquidare anche se l’opera pubblica non è realizzata

tratto da leggiditalia.it
La PO dell’area tecnica e RUP al fine di ottenere il compenso incentivante ai sensi dell’art. 113, comma 2D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 ha presentato una “dichiarazione sulla corretta effettuazione delle attività e prestazioni affidategli e sullo svolgimento delle stesse senza errori e/o ritardi” e predisposto la relativa determina di liquidazione. Tra gli appalti per i quali si chiede l’incentivo se ne riscontra uno in particolare che ha dato avvio ad un lungo contenzioso con sentenza del Consiglio di Stato che ha dato ragione al ricorrente. Si chiede se sussistono elementi per non liquidare l’incentivo per il caso in questione ed chi può decidere nel merito (segretario/giunta).
Il quesito proposto trova risposta in una recente sentenza della Corte di Cassazione Civile, Sez. lavoro n. 10222 del 28 maggio 2020.
Nel caso di specie è esaminata una vicenda in cui gli incentivi tecnici non sono stati liquidati dall’Ente perchè l’opera pubblica non è stata più realizzata ma le conclusioni cui sono addivenuti i giudici sono assimilabili al caso odierno.
Nello specifico, la Corte di Cassazione, sconfessando il Regolamento di cui l’Ente si era dotato (che prevedeva appunto il pagamento degli incentivi soltanto alla conclusione dell’opera) ha sancito il principio secondo il quale “la sorte della retribuzione accessoria reclamata dai dipendenti non può essere condizionata alla mancata conclusione delle successive fasi (oppure nel caso di specie dalla soccombenza ad un contenzioso), tanto che in mancanza di queste ultime verrebbero meno le precedenti attività pur completate”.
Tale conclusione è molto importante e deriva dal fatto che i citati incentivi derogano alla disciplina generale del trattamento accessorio dettata dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (art. 45), in quanto il legislatore ha previsto, in una logica premiale ed al fine di valorizzare le professionalità esistenti all’interno delle pubbliche amministrazioni, un compenso ulteriore, da attribuire, secondo le modalità stabilite dalle diverse versioni della norma succedutesi nel tempo, al personale impegnato nelle attività di progettazione interna agli enti oltre che in quelle di esecuzione dei lavori pubblici.
A nostro parere, pertanto, l’incentivo è comunque da riconoscere e liquidare al personale dell’Ente per le specifiche attività svolte, secondo le previsioni del proprio regolamento comunale, fermo restando l’eventuale accertamento (con conseguente mancata partecipazione alla ripartizione degli incentivi), a carico dei dipendenti coinvolti, del mancato rispetto di obblighi di legge e/o regolamentari o il mancato svolgimento dei compiti assegnati secondo la dovuta diligenza richiesta (se previsto nel proprio regolamento).



Coronavirus: la quarantena equivale a periodo di malattia

Con il riaccendersi dei focolai Covid-19, torna di attualità una delle prime misure urgenti prese dal Governo con il decreto Cura Italia: i lavoratori che sono posti in quarantena per contenere il rischio di contagio da Coronavirus, hanno diritto alla prestazione lavorativa della malattia.

In pratica, i giorni trascorsi a casa (la quarantena dura 15 giorni) non si calcolano ai fini del superamento del periodo di comporto e vengono altresì retribuiti. Il riferimento è l’articolo 26, comma 1, del decreto 18/2020. Quanto previsto dal Legislatore riguarda il periodo trascorso in isolamento con sorveglianza attiva (persone che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva) o in permanenza domiciliare fiduciaria (cioè che hanno fatto ingresso in Italia da zone a rischio) dei lavoratori dipendenti.

La seconda definizione resta valida e si applica anche declinata in base a specifiche ordinanze locali legate al rischio di contagio da Coronavirus. In ogni caso, è il Dipartimento di prevenzione della Asl a disporre il provvedimento di quarantena o sorveglianza in base alle indicazioni che possono arrivare dalla persone stessa, dall’azienda o dai medici di base.

Questi ultimi redigono il certificato, specificando gli estremi del provvedimento che ha dato origine alla quarantena con sorveglianza attiva o alla permanenza domiciliare. Il provvedimento può venire emesso dall’autorità sanitaria in relazione a una delle notizie sopra riportate.

Esempio: un lavoratore segnala di avere avuto un contatto stretto con un caso confermato di Covid. L’azienda provvede ad avvisare l’autorità sanitaria (ci sono appositi numeri di emergenza per il Covid-19 forniti dalla Regione o dal ministero della Salute) che a sua volta prende le contromisure indicate.

I medici di base hanno precise indicazioni da parte delle autorità e di conseguenza sanno esattamente quando prescrivere la quarantena. Ricordiamo che l’indicazione del ministero è quella di rivolgersi al medico di base, chiamandolo al telefono, evitando invece di andare in pronto soccorso o in ambulatorio. La quarantena, come è noto, dura 15 giorni.

Attenzione: sono considerati validi i certificati di malattia trasmessi, prima dell’entrata in vigore del decreto Cura Italia (quindi, prima del 17 marzo), anche in assenza dell’indicazione del provvedimento in base al quale si dispone la quarantena.

La quarantena equivale a un periodo di malattia. Ed è quindi retribuita di conseguenza. E non vale ai fini del periodo di comporto (il numero massimo di giorni in cui un lavoratore può stare a casa per malattia mantenendo il diritto al posto di lavoro).

Contatti a rischio

Specifichiamo cosa significa , in base alle indicazioni del Ministero della Salute:

  • persona che vive nella stessa casa di un caso di COVID-19;
  • una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso di COVID-19 (per esempio la stretta di mano);
  • persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso di COVID-19 (ad esempio toccare a mani nude fazzoletti di carta usati);
  • persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso di COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di durata maggiore a 15 minuti;
  • persona che si è trovata in un ambiente chiuso (ad esempio aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso di COVID-19 per almeno 15 minuti, a distanza minore di 2 metri;
  • operatore sanitario od altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso di COVID19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso di COVID-19 senza l’impiego dei DPI raccomandati o mediante l’utilizzo di DPI non idonei;
  • persona che abbia viaggiato seduta in aereo nei due posti adiacenti, in qualsiasi direzione, di un caso di COVID-19, i compagni di viaggio o le persone addette all’assistenza e i membri dell’equipaggio addetti alla sezione dell’aereo dove il caso indice era seduto (qualora il caso indice abbia una sintomatologia grave od abbia effettuato spostamenti all’interno dell’aereo, determinando una maggiore esposizione dei passeggeri, considerare come contatti stretti tutti i passeggeri seduti nella stessa sezione dell’aereo o in tutto l’aereo).

C’è una precisazione per i datori di lavoro: gli oneri connessi alla quarantena, per i quali si presenta domanda agli enti previdenziali, sono a carico dello Stato.

Sottolineiamo infine che sono diverse le regole che si applicano ai dipendenti in possesso del riconoscimento di disabilità grave (articolo 3, comma 3, legge 104/1992), nonché in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita: in questi casi, fino al 30 aprile, il periodo di assenza dal servizio prescritto dalle competenti autorità sanitarie, è equiparato al ricovero ospedaliero.




La Cassazione sulle sanzioni disciplinari espulsive e conservative

Il legislatore, con l’introduzione delle disposizioni di cui all’art. 55-quater del D.Lgs. n. 165/2001, pur facendo salva la disciplina generale in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo, ha tipizzato specifiche ipotesi di licenziamento disciplinare nel modo seguente:

  1. a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;
  2. b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione;
  3. c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per motivate esigenze di servizio;
  4. d) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera; e) reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell’onore e della dignità personale altrui;
  5. f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro;

f-bis) gravi o reiterate violazioni dei codici di comportamento, ai sensi dell’art. 54, comma 3;

f-ter) commissione dolosa, o gravemente colposa, dell’infrazione di cui all’art. 55-sexies, comma 3;

f-quater) la reiterata violazione di obblighi concernenti la prestazione lavorativa, che abbia determinato l’applicazione, in sede disciplinare, della sospensione dal servizio per un periodo complessivo superiore a un anno nell’arco di un biennio;

f-quinquies) insufficiente rendimento, dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza, e rilevato dalla costante valutazione negativa della performance del dipendente per ciascun anno dell’ultimo triennio, resa a tali specifici fini ai sensi dell’art. 3, comma 5-bis, D.Lgs. n. 150 del 2009.

Con tali disposizioni, precisano i giudici di legittimità, sono state introdotte fattispecie legali di licenziamento aggiuntive rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva. In questo caso il legislatore ha anche affermato con chiarezza, con il precedente articolo 55, comma 1, la preminenza della disciplina legale rispetto a quella di fonte contrattuale; quest’ultima, quindi, non può essere più invocata ove in contrasto con la norma inderogabile di legge, venendo in tal caso sostituita di diritto da quest’ultima, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 c.c.

In conclusione, per queste ipotesi tipizzate di licenziamento disciplinare, restano prive di effetto le clausole della contrattazione collettiva che prevedano una sanzione conservativa, anziché di natura espulsiva.

 

I poteri dei giudici di merito

Risolto il problema delle sanzioni espulsive tipizzate dal legislatore, restano da verificare le altre sanzioni disciplinari e i poteri dei giudici in presenza di una sanzione disciplinare conservativa prevista dalla contrattazione collettiva. In questo caso, precisano i giudici di Cassazione, le previsioni della contrattazione collettiva che individuano le fattispecie di licenziamento disciplinare non vincolano il giudice di merito, essendo quella della giusta causa e del giustificato motivo una nozione legale. Tale principio, tuttavia, subisce una eccezione ove la previsione negoziale ricolleghi ad un determinato comportamento disciplinarmente rilevante unicamente una sanzione conservativa. In quest’ultimo caso, il giudice è vincolato dal contratto collettivo, trattandosi di una condizione di maggior favore fatta espressamente salva dal legislatore (art. 12, L. n. 604 del 1966). In altri termini, qualora alla violazione disciplinare del dipendente pubblico sia ricollegata dalla contrattazione collettiva una sanzione conservativa, il giudice non può estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall’autonomia delle parti.

Pertanto, continua il giudice di legittimità, il giudice è vincolato dalla previsione del contratto collettivo che ricolleghi ad un determinato comportamento giuridicamente rilevante solamente una sanzione conservativa. Di tale indicazione è proprio il legislatore a precisarlo, nel comma 2 dell’art. 55 del D.Lgs. n. 165/2001, secondo cui – salvo quanto previsto delle disposizioni dello stesso capo – la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi.

 




INPS: Sono ripartite le visite fiscali

(Messaggio Hermes/INPS)

Dal 10 agosto 2020 sono riprese le visite mediche di controllo domiciliare e ambulatoriale (VMC) nei confronti dei lavoratori incapaci temporaneamente al lavoro per malattia.gli accertamenti medico legali, che erano state sospese nella fase di picco della  emergenza sanitaria da COVID-19 col dal D.P.C.M. 9 marzo 2020.

Nell’ottica di tutelare al massimo i lavoratori, i medici di controllo incaricati del servizio, il personale dell’Istituto e i medici convenzionati operanti presso le Unità Operative territoriali Semplici o Complesse (di seguito UOC/UOST), sono stati previsti alcuni interventi procedurali e gestionali che vengono di seguito illustrati.

  1. Fornitura dei dispositivi di protezione

Il personale sanitario della UOC/UOST di competenza deve essere dotato dei dispositivi di sicurezza normativamente previsti (DPI), indicati nell’allegato al citato messaggio n. 2351/2020. I medici di controllo dovranno provvedere autonomamente a dotarsi dei medesimi DPI attenendosi scrupolosamente al rispetto delle indicazioni fornite dall’Inps.Una volta eseguito tale prioritario adempimento e consentita quindi anche l’attività ambulatoriale di Sede, sarà cura dei Direttori, responsabili delle Strutture territoriali delle UOC/UOST di appartenenza, inviare apposita richiesta, avente ad oggetto “Richiesta ripresa attività VMC”, per gli interventi procedurali che riguarderanno tutte le Agenzie afferenti al proprio territorio.

  1. Attività delle Unità Operative territoriali Semplici o Complesse

Ai medici dipendenti, convenzionati e fiscali, è raccomandato di attenersi scrupolosamente alle indicazioni contenute nel messaggio n. 984/2020 e alle nuove indicazioni operative medico-legali che saranno inviate dal Coordinamento Generale Medico Legale ai responsabili medici delle UOC/UOST delle Strutture territoriali dell’Istituto.

  1. Certificazione di malattia e predisposizione VMC

In una prima fase di attività verrà incrementata la percentuale delle visite disposte d’ufficio rispetto a quelle datoriali. Ciò al fine di garantire che le VMC vengano eseguite solo a fronte di accurata valutazione medico-legale sulla certificazione di malattia pervenuta.Pertanto, si raccomanda l’applicazione da parte delle UOC/UOST delle istruzioni già fornite con il messaggio n. 984/2020 in merito alla gestione delle certificazioni di malattia – riferite ai lavoratori privati aventi diritto alla tutela previdenziale della malattia e ai lavoratori pubblici afferenti al Polo unico (D.lgs n. 75/2017) – e alla necessità di selezionare in modo adeguato le VMC, tenendo in debita considerazione la diagnosi riportata sul certificato, a fronte della grave situazione infettiva emergenziale.

Le VMC verranno quindi proposte, come di consueto, dalla procedura SAViO, tra quelle individuate dal medico della Struttura territoriale di competenza.

Anche nella procedura “gestione malattia marittimi”, dovrà essere selezionato dal medico di Sede un numero adeguato di VMC su certificati con diagnosi non critica.

Per quanto sopra detto, è particolarmente importante che i medici delle UOC/UOST preposte provvedano quotidianamente alla verifica dei certificati di malattia, nelle procedure sopra indicate, avendo cura di valutare sotto il profilo medico legale le certificazioni da escludere dai controlli (per possibile rischio da COVID-19).

Si informa che prima della ripresa delle assegnazioni si è provveduto con intervento tecnico centrale ad azzerare, in procedura VMC, il contenitore delle richieste VMC d’ufficio nei confronti dei lavoratori privati e pubblici.In vista della ripresa delle VMC, le UOC/UOST dovranno altresì procedere alla predisposizione dei calendari, come di consueto, per l’inserimento delle disponibilità dei medici di controllo.

  1. Gestione dei verbali delle VMCD

Il medico di controllo impossibilitato ad effettuare l’accesso al domicilio del lavoratore, per sospetta situazione infettiva, dovrà attenersi a quanto previsto nel citato messaggio n. 984/2020, chiudendo il verbale con un esito B “accesso”, scegliendo l’opzione “altro” e compilando il campo note con informazioni accurate e dettagliate della situazione riscontrata in fase di triage anamnestico senza procedere a predisporre alcun invito a VMC ambulatoriale per il lavoratore (opzione “Impossibilità a lasciare invito”).Il suddetto medico dovrà, inoltre, procedere a comunicare immediatamente alla UOC/UOST competente l’avvenuto “accesso – esito B” specificando il numero del verbale e la condizione indicata nelle motivazioni, per le successive attività da parte della Struttura territoriale.

Con riguardo a tali attività, confermando le indicazioni già fornite (cfr. il messaggio n. 984/2020), l’operatore sanitario o il medico della UOC/UOST di competenza procederà alla visione/validazione del verbale di accesso in procedura gestionale e alla definizione della VMC ambulatoriale creata come “impropria”; la pratica di accesso domiciliare verrà “giustificata” sanitariamente, inserendo nel campo note le specifiche notizie acquisite dal verbale di accesso del medico di controllo. Conseguentemente, non verrà generata alcuna sanzione di tipo amministrativo.

Nei casi, invece, in cui il lavoratore non venga trovato al proprio domicilio di reperibilità, si procederà come di consueto e verrà rilasciato apposito invito a VMC ambulatoriale, mediante i modelli “SR 147” e “SR 177” (Allegati n. 1 e n. 2), opportunamente rivisti e disponibili nella sezione modulistica della Intranet dell’Istituto, al fine di prevedere, ove possibile, prima dell’accesso all’ambulatorio della UOC/UOST da parte del lavoratore, un triage telefonico. Sarà cura del medico fiscale inserire sul modulo di invito a VMC ambulatoriale lo specifico indirizzo e-mail della UOC/UOST di competenza.

  1. Visite Mediche di Controllo Ambulatoriali e giustificazioni

Con riguardo alle modalità operative, nonché alle misure di protezione sanitaria (DPI) per l’effettuazione delle VMC ambulatoriali, considerato che le stesse rappresentano un’attività di visita ambulatoriale assimilabile alle altre visite eseguite in ambito assistenziale e previdenziale, si richiamano preliminarmente le disposizioni generali già fornite dall’Istituto in ottica di prevenzione di possibili rischi di contagio da COVID-19.

Si evidenziano di seguito alcuni aspetti peculiari delle VMC ambulatoriali, in ambito di medicina fiscale, prevedendo, in relazione alla specifica situazione emergenziale, le seguenti attività:

  • effettuazione del triage telefonico: l’infermiere o il medico della UOC/UOST competente, ricevuta la comunicazione da parte del lavoratore assente al controllo domiciliare sulla casella di posta elettronica dedicata (come indicato nei predetti modelli) opportunamente presidiata, provvederà a contattare il lavoratore e a fornire le informazioni acquisite al responsabile medico della Struttura territoriale. Qualora, invece, il lavoratore si presenti presso l’ambulatorio della UOC/UOST, senza aver preventivamente trasmesso alcuna comunicazione per consentire il triage telefonico, la visita ambulatoriale non verrà eseguita, considerato l’accesso contingentato e solo su prenotazione degli utenti presso le Sedi, sulla base dell’Accordo sopra citato. Si procederà, quindi, a programmare per la prima data utile apposita visita ambulatoriale dandone comunicazione al lavoratore, che dovrà comunicare il proprio recapito telefonico per poter comunque essere contattato per il necessario triage preventivo.Verrà tenuta annotazione dei dati anagrafici del lavoratore che ha effettuato il triage telefonico in apposito registro unitamente all’esito del colloquio, per ogni eventuale possibile successiva attività istruttoria di tipo amministrativo;
  • gestione della VMC ambulatoriale: qualora il medico stabilisca l’impossibilità ad effettuare la visita, si procederà alla gestione della VMC ambulatoriale con verbale cartaceo, nel quale verranno inserite tutte le specifiche in merito alla valutazione del triage appena effettuato. Nella funzione “acquisizione esito verbale cartaceo” disponibile in procedura VMC si inserirà, come indicato nelle allegate istruzioni procedurali (Allegato n. 3), esclusivamente l’esito (conferma prognosi o prognosi al curante in caso di visita nell’ultimo giorno di prognosi utile). In tal modo, verranno interrotti gli effetti dell’eventuale applicazione della sanzione amministrativa per l’assenza del lavoratore a VMC domiciliare e non verrà generata alcuna sanzione per la VMC ambulatoriale;
  • valutazione giustificazioni prodotte per assenza a VMC domiciliare: il medico della UOC/UOST dovrà comunque procedere alla valutazione dei motivi di assenza al domicilio del lavoratore nelle consuete modalità.

Da consultare inoltre:

Nuovo regolamento visite fiscali (DPCM 206-del-17-ottobre-2017)

Polo Unico per le visite fiscali. Riepilogo e aggiornamento delle disposizioni vigenti



Licenziamento illegittimo: ammessa solo la reintegrazione

Il “decreto Madia” (d.lgs. n. 75/2017) ha modificato il T.U. del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, portando chiarezza e certezza sul regime del licenziamento disciplinare, a soluzione delle perplessità sorte dopo la “legge Fornero” (legge n. 92/2012).
Nelle pubbliche amministrazioni c’è, in qualunque caso di illegittimità del licenziamento, la sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro, senza possibilità di scelte diverse per entrambe le parti.

Inoltre, eliminando qualunque riferimento all’art. 18 Stat. lav., è stato escluso il “rito Fornero”. Resta, come disposto già con la prima privatizzazione del 1993, un regime totalmente diverso per le cessazioni dovute a motivi oggettivi, che la legge chiama «risoluzioni» senza usare la parola «licenziamento».

Il “decreto Madia” attribuisce anche un potere officioso del giudice, senza domanda, di rideterminare la sanzioni in caso d’illegittimità del licenziamento per sproporzione: oltre qualche incertezza facilmente superabile, sorgono dubbi su questo potere d’ufficio d’andare oltre le domande delle parti. Alla fine bisogna dar atto, ancor di più per i regimi di licenziamenti e «risoluzioni», che il lavoro pubblico ha una disciplina completamente distinta e separata rispetto a quella privata, con impossibilità di confronti.

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Ad ulteriore specifica, è bene ricordare che all’indomani dell’entrata in vigore della Legge Fornero (92/12) si è discusso se l’art. 18 riformato trovasse applicazione nell’ambito del pubblico impiego privatizzato oppure se dovesse continuare ad applicarsi l’art. 18 pre–riforma dello Statuto dei Lavoratori.
La tesi favorevole all’applicazione della norma, come riformata, argomentava perlopiù sul fatto che il rinvio di cui all’art. 51, comma 2, D.lgs 165/01 dovesse essere considerato come rinvio mobile.

Tuttavia vi era anche chi aveva osservato che, comunque, il licenziamento nel pubblico impiego avrebbe dovuto considerarsi nullo per contrarietà a norme imperative, applicandosi pertanto il primo comma dell’art. 18 “post–Fornero” e quindi, di fatto, le stesse conseguenze (reintegra) previste in base alla disciplina previgente.
La tesi contraria faceva leva, prevalentemente, su argomenti sistematici che avrebbero dovuto condurre a ritenere incompatibile l’opzione per una tutela meramente indennitaria con la disciplina del pubblico impiego seppur privatizzato.
Inoltre si faceva riferimento ai commi 7 e 8 dell’art. 1 L. 92/12, evocanti un futuro intervento normativo funzionale all’”armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche”.

Ulteriori problemi ha posto la legge c.d. sulle tutele crescenti. La questione, ormai non più attuale, era sorta per la mancanza di una espressa previsione tanto di inclusione quanto di esclusione del pubblico impiego dall’ambito di applicazione del D.lgs. n. 23/2015, silenzio suscettibile di opposte interpretazioni.

Dal punto di vista processuale, prima della riforma del 2017 (di cui al D.lgs n. 75/17), non vi erano dubbi, salvo ritenere ratione temporis (cioè per i lavoratori assunti dopo il 6 marzo 2015) applicabile la legge c.d. sulle tutele crescenti, sull’applicazione del rito di cui all’art. 1, commi 47 ss. L. 92/12.

Come confermato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. 9 giugno 2016, n. 11868 – vedi oltre), infatti, restava “fuori dal tema dibattuto […] l’indiscutibile immediata applicazione alle impugnative dei licenziamenti adottati dalle pubbliche amministrazioni del nuovo rito, in primo grado ed in sede di impugnazione, quale disciplinato dalle norme in disamina, nulla ostando nè nelle previsioni della L. n. 92 del 2012 (art. 1, commi 48 e seguenti) nè nel corpo normativo di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001 ed anzi militando, per la generale applicazione ad ogni impugnativa di licenziamento ai sensi dell’art. 18 S.L., la espressa previsione dell’art. 1, comma 47 della legge del 2012”.

Tutto ciò fino a quando il legislatore del 2017, con il D.lgs n. 75/17, intervenendo sull’art. 63 T.U. del pubblico impiego, non ha previsto un nuovo regime speciale di tutela contro i licenziamenti, disponendo che “il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati. Le sentenze con le quali riconosce il diritto all’assunzione, ovvero accerta che l’assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro. Il giudice, con la sentenza con la quale annulla o dichiara nullo il licenziamento, condanna l’amministrazione alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, e comunque in misura non superiore alle ventiquattro mensilità, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.”

Il nuovo regime garantisce indubbi vantaggi al dipendente pubblico rispetto ai dipendenti del settore privato. Tuttavia, come è stato giustamente osservato, ciò non è vero in assoluto, poiché, se è vero che iI dipendente pubblico ha sempre diritto alla reintegra in caso di licenziamento invalido:
– è però svantaggiato in caso di licenziamento nullo o discriminatorio, per il quale, applicando l’art. 18 post – Fornero, avrebbe avuto il diritto alla reintegra piena senza il limite delle 24 mensilità.
– è inoltre svantaggiato in caso di vizi formali (salvo che non ne risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa), alla luce del dettato dell’art. 55 bis comma 9 tre T.U. P.I., secondo cui “la violazione dei termini e delle disposizioni sul procedimento disciplinare previste dagli articoli da 55 a 55-quater, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente, e le modalità di esercizio dell’azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, risultino comunque compatibili con il principio di tempestività. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 55-quater, commi 3-bis e 3-ter, sono da considerarsi perentori il termine per la contestazione dell’addebito e il termine per la conclusione del procedimento”.

Con riferimento al rito applicabile, la novella del 2017 ha individuato, in materia di licenziamenti nel pubblico impiego, una tutela speciale e derogatoria delle norme comuni, che, anche se corrisponde (pur con alcune differenze), nella sostanza, alla disciplina di cui all’art. 18 pre–Fornero, non trova con l’art. 18 L. 300/70 alcun corrispondenza dal punto di vista formale.
In altre parole, poiché il rito Fornero si applica solo alle controversie in cui si invoca non una tutela reintegratoria ma, specificamente, l’art. 18 della L. 300/1970, nel pubblico impiego, dove quella disposizione non trova più applicazione, non troverà più asilo neanche il rito di cui all’art. 1 commi 47 ss. L. 92/12; viceversa il rito applicabile sarà quello “ordinario” del lavoro di cui agli artt. 409 ss. c.p.c.

Ma se, nonostante quanto evidenziato, l’impiegato pubblico licenziato impugna il recesso chiedendo tutela ai sensi dell’art. 18 St. Lav.? Valorizzando il principio dell’unicità dell’impugnazione del licenziamento, si ritiene che non si debba concludere per il rigetto della domanda, ma che il giudice, laddove ne ricorrano i presupposti, debba accordare la tutela prevista dalla legge applicabile (art. 63 T.U. pubblico impiego).

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Cassazione civile sez. lav., 09/06/2016, n.11868

Ad avviso della Corte di cassazione ai licenziamenti di cui sia stata dichiarata l’illegittimità nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico si applica il regime di tutela reale previsto dall’articolo 18 della legge 300/1970 nella sua formulazione anteriore alle modifiche introdotte dalla legge 92/2012.

Il Primo Presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio, nel commentare tale sentenza, ha affermato che si è di fronte ad una pronuncia equiparabile a quelle emesse dalla Sezioni Unite: infatti, la Sezione specializzata, precisa lo stesso Primo Presidente, dopo ampio e approfondito dibattito, ha assunto una decisione unanime, così superando la posizione contraria assunta dalla stessa Corte di Cassazione con sentenza n.24157/2015 e con esclusione, in definitiva, dei necessari presupposti per un’eventuale rimessione alle medesime Sezioni Unite.

Con tale sentenza, dunque, la Cassazione ritorna sulle argomentazioni sviluppate in un proprio recente indirizzo, secondo il quale le modifiche apportate dalla legge 92/2012 non potranno automaticamente essere estese ai dipendenti della pubblica amministrazione sino a un intervento di armonizzazione del ministero per le Semplificazione e la Pubblica amministrazione, così come previsto dall’articolo 1, commi 7 e 8, della medesima legge Fornero.

I fautori dell’indirizzo contrario hanno fondato l’estensione dell’articolo 18 post Fornero, tra gli altri rilievi, sul presupposto che l’articolo 51, comma 2, del Dlgs 165/2001 (testo unico sul pubblico impiego) prevede espressamente l’applicazione della legge 300/1970, e successive modificazioni e integrazioni, ragion per cui esisterebbe un preciso riferimento nella legislazione primaria circa l’immediata precettività dell’articolo 18 nella versione dopo le modifiche della legge 92/2012.

Con la sentenza in oggetto la Cassazione dichiara di non condividere questa lettura, ritenendo che il riferimento dell’articolo 51, comma 2, del testo unico alla legge 300/1970 sia da interpretare non come rinvio mobile, ovvero alla disciplina statutaria tempo per tempo vigente, bensì come rinvio fisso a una fonte di legge cristallizzata alla data in cui è stata introdotta.

La Corte riconosce che tale interpretazione comporta il permanere di una duplicità di normative, ciascuna applicabile in relazione alla diversa natura, privata o pubblica, dei rapporti di lavoro coinvolti, ma respinge con nettezza ogni sospetto di incostituzionalità. Rileva la Corte, a questo proposito, che il lavoro privato e il lavoro pubblico, sebbene contrattualizzato, sono caratterizzati da una obiettiva diversità, in quanto nel comparto pubblico è presente, diversamente dal privato, la necessità di far prevalere la tutela dell’interesse collettivo al buon funzionamento e all’imparzialità della pubblica amministrazione.

Rispetto a questa esigenza, ad avviso della Cassazione, la sanzione reintegratoria è l’unico strumento di rimedio a fronte di un licenziamento illegittimo, laddove la sola tutela risarcitoria mediante riconoscimento di un indennizzo economico non è idonea a rimuovere il pregiudizio arrecato all’interesse collettivo.