Stabilizzazione e calcolo dei tre anni
Il Tar Campania, con la sentenza n. 2893/2020, ha affrontato il tema della computabilità del periodo di astensione obbligatoria nel calcolo della durata dei contratti di lavoro flessibile, necessaria per il conseguimento del requisito dei tre anni previsto dall’articolo 20, comma 2, del Dlgs 75/2017 ai fini della stabilizzazione.
Il Tribunale ha ricordato che in applicazione dell’articolo 22 del testo unico sulla tutela della maternità e paternità, in base al quale i periodi di congedo di maternità devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, applicabile anche alle lavoratrici madri che hanno stipulato con le pubbliche amministrazioni un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, il periodo di astensione obbligatoria deve essere integralmente computato anche ai fini del calcolo della durata dei contratti di lavoro flessibile necessaria per il conseguimento del requisito per la stabilizzazione, previsto dall’articolo 20, comma 2, del Dlgs 75/2017.
Del resto, ha rilevato il Tar campano che detta norma deve essere applicata anche alle lavoratrici madri che hanno stipulato con le pubbliche amministrazioni un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, ai sensi dell’articolo 1, comma 791, della legge 296/2006, che ha previsto l’emanazione di un decreto del ministro del Lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il ministro dell’economia e delle finanze, per disciplinare l’applicazione delle disposizioni previste dagli articoli 17 e 22 del Dlgs 151/2001, a tutela e sostegno della maternità delle lavoratrici iscritte alla gestione separata sopra indicata, nei limiti delle risorse rivenienti dallo specifico gettito contributivo da determinare con il medesimo decreto.
I requisiti per selezionare le categorie protette
«Non costituisce comportamento discriminatorio la previsione, in sede di bando di concorso riservato alle categorie previste dall’articolo 8 della legge 68/1999, del requisito della sussistenza dello stato di disoccupazione anche al momento dell’assunzione trattandosi di previsione avente la finalità di tutelare, in conformità con il dettato legislativo e con i principi affermati dalla Corte di Giustizia Ue, il disabile disoccupato rispetto ad altro soggetto, egualmente disabile ma nelle more fuoriuscito dalla categoria dei disoccupati».
È questo il principio affermato dalla Corte di cassazione sezione lavoro, con la sentenza n. 14790/2020, con la quale ha giudicato la legittimità del provvedimento di esclusione dall’assunzione di un vincitore di un concorso pubblico per titoli ed esami, indetto ai sensi della legge 68/1999.
In particolare, un soggetto, risultato vincitore di un concorso riservato alle categorie previste dall’articolo 8 della legge 68/1999 (il cui bando prevedeva il permanere del requisito della disoccupazione in capo al portatore di disabilità sia al momento della domanda sia all’atto dell’assunzione), era stato escluso dall’assunzione per carenza del requisito della disoccupazione al momento dell’assunzione.
La retribuzione per le mansioni superiori «di fatto»
La Corte di cassazione sezione lavoro, con ordinanza n. 14805/2020, ha accolto il ricorso di un lavoratore (assunto in categoria A) volto al pagamento delle differenze di retribuzione maturate in ragione dell’esercizio di mansioni superiori, riferibili alla categoria B.
In particolare, confermando la debenza delle somme a favore del dipendente, la Corte ha rilevato che nel caso di svolgimento di mansioni superiori di fatto, non è rilevante, ai fini della corresponsione delle differenze retributive, l’accertamento in merito all’esistenza di un atto scritto di conferimento di dette mansioni. Infatti, «lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica, anche non immediatamente superiore a quella di inquadramento formale, comporta in ogni caso, in forza del disposto del Dlgs 165/2001, articolo 52, comma 5, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore e questo diritto non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi nè all’operativa del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva».
Termini del procedimento disciplinare
«In tema di pubblico impiego contrattualizzato, ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare dall’acquisizione della notizia dell’infrazione (articolo 55-bis, comma 4, del Dlgs 165/2001) assume rilievo esclusivamente il momento in cui questa acquisizione, da parte dell’ufficio competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio del procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell’addebito, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione».
Sono le conclusioni della Corte di Cassazione sezione lavoro, contenute nella sentenza n. 14810/2020, con cui è stato respinto il ricorso di un lavoratore, al quale il Comune di appartenenza aveva irrogato la sanzione del licenziamento disciplinare.
In particolare, tra le doglianze opposte dal soggetto, vi era la contestazione circa la legittimità del provvedimento per mancato rispetto dei termini procedimentali previsti per la conclusione del procedimento disciplinare.